IL FILO INVISIBILE TRA L’UOMO E LA TECNOLOGIA: INFORMATICA O FANTASCIENZA?
MICHELANGELO DE BONIS

Calvino e la leggerezza del software
Ogni volta che sento parlare di visibilità o leggerezza mi saltano in mente le lezioni americane di Italo Calvino, un ciclo di sei incontri che l’autore fu invitato a tenere all’Università di Harvard (le “Charles Eliot Norton Poetry Lectures”). Calvino ne scrisse in Italia cinque prima di partire: “leggerezza”, “rapidità”, “esattezza”, “visibilità”, “molteplicità”; l’ultima, che avrebbe scritto in America, doveva avere come tema la “consistency”. Purtroppo ci ha lasciati orfani di quest’ultima lezione perché scomparso prima di tenere l’intero ciclo. Tuttavia, i valori e i concetti che voleva trasmettere sono fortemente radicati ed espressi in quelle che sono chiamate appunto “Lezioni americane”.
In modo particolare, nella lezione dedicata al valore della leggerezza, Calvino scrive:
“Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del Dna, gli impulsi dei neuroni, i quark, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi…
Poi, l’informatica. È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza dell’hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d’elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso.”
Non a caso il titolo completo delle lezioni consegnato alle stampe è Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio: un tuffo nel futuro, un ponte, lungo un intero millennio.
Da ingegnere informatico per anni sono rimasto affascinato dalle intuizioni di Calvino. La leggerezza del software ha avuto la capacità di tratteggiare e condensare un’idea complicata in un concetto semplice: lo ha reso vivo, dando visibilità all’intero mondo invisibile, impalpabile, incorporeo dell’informatica stessa. Al contempo il software si è evoluto nella sua natura, cambiando il modo di scrivere i programmi e gli applicativi. Si è passati da uno stadio di visibilità – di legame indissolubile con l’hardware per cui l’applicativo è pensato – ad uno stadio di invisibilità, in cui il software funziona slegato dal peso corporeo dell’hardware.
L’evoluzione del software dall’hardware al clouding
Nell’informatica la storia dell’evoluzione dei linguaggi di programmazione è un passaggio di notevole importanza perché ci mostra il percorso fatto, indicandoci al contempo la direzione di quello a venire.
L’evoluzione del software altro non è che un allontanamento dall’hardware perché i linguaggi di programmazione tendono a liberarsi, nella loro semantica, da tutte le istruzioni che afferiscono all’hardware. In questo percorso di astrazione si allontana e nasconde la pesantezza, la corporeità e la visibilità della parte fisica nella programmazione.
Durante gli anni Quaranta i linguaggi di programmazione non erano ancora stati concepiti come noi li intendiamo oggi e tantomeno con l’attuale spirito di astrazione. Esistevano degli elaboratori da programmare, aventi la propria particolare struttura ed il proprio tipo di linguaggio da utilizzare. Solo attraverso quello specifico linguaggio si poteva avere accesso alla macchina, da cui la denominazione linguaggio macchina. I programmatori scrivevano le istruzioni nel linguaggio macchina che il processore dell’elaboratore poteva eseguire direttamente. Massima efficienza, velocità, immediatezza, ma anche elevata complicatezza nella scrittura e nella possibilità di commettere errori, per non parlare poi del legame indissolubile alla struttura dell’elaboratore.
La tecnologia inizia però a migliorare i vari componenti hardware. Simultaneamente la comunità di matematici e informatici dà avvio a un profondo lavoro di restyling del software per risolvere gli svantaggi che frenavano l’evoluzione nel campo. Nascono così i linguaggi di seconda generazione. Evoluzione della prima generazione, sono simili al linguaggio macchina, ma hanno la caratteristica di codificare in simboli mnemonici precise istruzioni in modo da essere più facili da utilizzare per i programmatori. Nascono così i linguaggi Assembly. Il codice è direttamente assemblato all’interno del processore che lo trasforma in linguaggio macchina. Tuttavia, permane ancora l’elemento dominante di un forte legame all’architettura dell’elaboratore.
Dal processo, ormai avviato, d’evoluzione dei linguaggi nascono però quelli che verranno subito definiti linguaggi ad alto livello. Si tratta di una terza generazione di linguaggi in cui l’astrazione dall’hardware diventa più sostanziale. La rivoluzione parte dagli anni Cinquanta e Sessanta, con l’invenzione dei linguaggi che avrebbero inspirato tutti i successori: Fortran, ALGOL e COBOL. Pochi anni trascorrono e fanno capolino altri due linguaggi: il BASIC e il PASCAL.
Particolare rilevanza riveste l’anno 1973 con la nascita del C, linguaggio di programmazione su cui tutta l’informatica moderna si fonda. Il C++, evoluzione del C, darà poi origine ad una tecnica innovativa di programmazione chiamata Programmazione Orientata agli Oggetti. Si tratta di una tecnica che segue l’idea di rendere invisibile tutto il processo (troppo) visibile e pesante da cui è sorretto un oggetto. Qui domina la prospettiva di astrarre una realtà per creare un oggetto, il più generico possibile, rendendolo funzionante benché invisibile nei suoi meccanismi interni. Questo concetto getta le basi per ottenere delle applicazioni software ad interfaccia grafica, con la concomitante nascita di linguaggi atti ad aiutare gli informatici in tale contesto: il Java, il Delphi, il C#. Negli anni Novanta fioriscono linguaggi misti come Python e Perl, leggero il primo, pragmatico il secondo. Sempre negli anni Novanta sarà un’altra tecnologia a cambiare le sorti del mondo per tutto il decennio successivo: il WEB che si basa su una rivoluzione architetturale costituita da reti di computer e condivisione delle informazioni a distanza. Da qui la necessità di linguaggi per creare applicazioni per il web: Javascript, Ruby e PHP.
Oggi il programmatore che vuol creare applicazioni sta volgendo lo sguardo verso applicazioni totalmente rivolte al web con una filosofia denominata cloud native. Questa filosofia di programmazione costituisce un cambiamento di mentalità e di progettazione. Si tratta di una nuova prospettiva alla base di un cambiamento culturale: non bisogna più continuare a pensare che il codice applicativo debba avere accesso diretto alle risorse hardware visibili e tangibili, come nelle tradizionali applicazioni (certo il web, il cloud, non avrebbe nessuna difficoltà a gestirle), ma sono le app stesse a rivelarsi abili nello sfruttare i pregi di un’infrastruttura invisibile, distribuita, elastica nelle risorse dell’Information Technology.
Per la natura stessa del cloud, gli sviluppatori di applicazioni cloud-native devono avere un cambio di mentalità importante nella fase di ideazione delle app per i dispositivi mobili. Questo cambio culturale è ancora più necessario nella gestione e programmazione di dispositivi IoT (Internet of Things): perché questi sono dispositivi totalmente fisici ma con un’anima invisibile, derivante dal software spesso dislocato nel cloud, che lo rende funzionante da sé.
La quarta e la quinta generazione di linguaggi sono tali da non essere più adibiti ad un uso generale, bensì cercano di spostare l’attenzione su particolari settori come la matematica, l’elettronica, la robotica inserendo la progettazione visuale, i database e una tendenza alla risoluzione di problemi logici: Mathematica, MATLAB, LabVIEW. La quinta generazione, in modo particolare, si è inoltre specializzata sulla ricerca robotica, ponendo l’attenzione sulla costruzione di Intelligenze Artificiali e sui pattern neurali: il Lisp ed il Prolog sono i primi esempi di linguaggi di questo tipo. Quest’ultima generazione, tuttora in corso di sviluppo, è al centro di imponenti attività di ricerca ed esplorazione nei laboratori di tutto il mondo. La possiamo definire l’epoca di una robotica che sta rendendo visibile tutto ciò che la programmazione, nel suo regno invisibile, riesce a creare.
Asimov, la fantascienza e il processo da visibile a invisibile
Robot, intelligenza artificiale, cloud computing saltano fuori dalla storia dell’informatica, prospettandoci lo scenario di un futuro imminente. Eppure non ci lasciano attoniti e nemmeno pensierosi. Molti intellettuali si stanno ponendo problemi morali sui limiti delle tecnologie e sul loro precipitato nel rapporto con e fra gli umani. Ciononostante le persone hanno un rapporto con le terminologie e le tecnologie citate assolutamente positivo. Questo è opera anche degli autori di fantascienza che con i loro lavori, con le loro visioni utopistiche e fantasie innovative hanno parlato di robot, di intelligenza artificiale e clouding in epoche in cui neppure esistevano le minime basi tecnologiche per poter immaginare tutto ciò. Tutte queste possibilità erano remote, eppure questi autori ce le hanno rese ugualmente vicine.
La fantascienza ha da sempre legato il visibile con l’invisibile creando dei capolavori che hanno modificato il rapporto del genere umano verso la tecnologia. Nell’incipit de I reietti dell’altro pianeta, Ursula K. Le Guin tratteggia con poche parole tutto quello che l’uomo ha dentro di sé rispetto a questo rapporto: aspirazioni, voglia di andare oltre, superare i propri limiti. A ben vedere, si tratta però di un muro da scavalcare che l’uomo, nel suo intimo, non può che affrontare in modo ambivalente, dacché ad esso si collegano anche paure, ansie e possibile fine della propria libertà:
“Il muro chiudeva al suo interno non soltanto il campo di atterraggio, ma anche le navi che scendevano dallo spazio, gli uomini che giungevano con le navi, i mondi da cui provenivano e, complessivamente, il resto dell’universo. Chiudeva nel suo interno l’universo e lasciava fuori Anarres, libera.
Osservato dall’altro lato, il muro chiudeva Anarres. Al suo interno c’era tutto il pianeta: un grande campo di prigionia, isolato dagli altri mondi e dagli altri uomini, in quarantena.”
L’autore che più di tutti ha contribuito a rendere visibile questa realtà invisibile, questi nuovi mondi, nuove soluzioni tecnologiche – dando anche spunto ai ricercatori per concretizzare nel mondo odierno innovazioni futuristiche – è Isaac Asimov, un biochimico, autore di numerosi libri e racconti che hanno cambiato il modo stesso di rapportarsi con la tecnologia in generale. Asimov parla di mondi in cui l’uomo vive con i robot, scrive le regole (le tre leggi della robotica) che devono governare i comportamenti dei robot. Rende visibile attraverso i suoi libri tutto ciò che l’immaginario collettivo dell’uomo non riesce a tenere chiuso dentro di sé (come il muro di Anarres). Parla di galassie lontane, viaggi tra le stelle e intelligenze collettive che pensano al bene superiore.
Asimov mette sempre in luce un dualismo nel rapporto tra uomo e tecnologia. E la finalità di questa dualità non è di mutua esclusione, ma di convivenza e di aiuto reciproco. La scienza è sempre di supporto alla collettività e al genere umano.
Nel suo famosissimo ciclo della Fondazione l’elemento che fa da trait d’union alle varie fasi è la “psicostoria”, inventata dal matematico Hari Seldon: una scienza in grado di prevedere statisticamente il futuro attraverso l’evoluzione della società umana. Una scienza che astrae i comportamenti degli uomini come singoli e li vede come un insieme, come collettivo. Fa pronunciare ad uno dei suoi personaggi, Bayta Darell, nel libro Fondazione e Impero, le basi di questa scienza:
“Le leggi della storia sono assolute come quelle della fisica, e se in essa le probabilità di errore sono maggiori, è solo perché la storia ha a che fare con gli esseri umani che sono assai meno numerosi degli atomi, ed è per questa ragione che le variazioni individuali hanno un maggior valore.”
Un processo di astrazione e di scostamento del focus da ciò che è visibile a ciò che è invisibile è ben presente anche nel personaggio di R. Daneel Olivaw, un robot umanoide, che compare per la prima volta nel romanzo Abissi d’acciaio e diventa egli stesso l’elemento che amalgama il ciclo dei Robot con il ciclo della Fondazione.
Nelle opere di Asimov molti altri spunti di questo tipo potrebbero essere citati, come il cervello positronico dei robot e la loro intelligenza artificiale, oppure il rapporto e la dialettica tra hardware e software, visibile ed invisibile, tutti elementi che risultano talmente in(di)visibili tra loro.
Asimov cerca di andare oltre il visibile, camminare con il non visibile, affiancati da consapevolezza e tecnologia. Un’idea che pervade l’intera opera letteraria di Asimov. Anticipando molte delle soluzioni tecnologiche del mondo moderno, come il tema del software ci dimostra.
In un suo racconto del 1956, L’ultima domanda, Asimov mostra il cammino che l’umanità e la tecnologia svolgono insieme, una evoluzione fatta di scomposizione del visibile in una struttura invisibile. Per quanto riguarda la tecnologia ha immaginato l’evoluzione del software e delle sue strutture di funzionamento totalmente distribuite a livello cosmico, anticipando le tecnologie della “nuvola” e portandolo ad un livello galattico. Con lo stesso principio anche l’umanità si evolve e si rende concetto e invisibile. Il racconto inizia da esseri umani individuali, singoli che pongono una domanda ad un calcolatore innovativo ma grande quanto un intero stabile, il Multivac. La domanda è un leit-motif nel racconto, posta in ere diverse… a cui il calcolatore non riuscirà mai a dare una risposta fino alla fine del racconto stesso.
Anche gli uomini si evolvono: nel futuro immaginato dal racconto essi lasciano i propri corpi per diventare esseri senza corpo – solo menti. Contemporaneamente il Multivac si trasforma: dapprima in Microvac poi in un collegamento AC-Galattico e AC-Universale. Quando l’evoluzione arriva al suo ultimo stadio, gli esseri umani con le loro menti si fondono nel concetto stesso di Uomo; il software e la tecnologia si trasformano in AC-Cosmico. Qui si legge:
“Ad uno ad uno l’Uomo si fuse con l’AC, ogni corpo perse la sua identità fisica in una maniera che in qualche modo non era una perdita ma un guadagno.”
Racconti del genere hanno profondamente risvegliato e innescato all’interno dell’uomo moderno il concetto di fiducia verso la tecnologia, verso il futuro e, perché no, verso l’invisibile anche a scapito del nostro visibile.
Chi lo sa, magari la nostra invisibilità non sarà una perdita ma un guadagno.
BIOTECNOLOGIE Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA STORIA DELLE IDEE Endoxa settembre 2018 FILOSOFIA Informatica Michelangelo De Bonis tecnologia
Saper rendere in parole semplici e accessibili concetti così complessi è dote rara.
Il legame tra visibile e invisibile così come tra scienza e fantascienza reso ancor più affascinante in un contesto, come quello della tecnologia, dato a volte troppo per scontato.
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Ho trovato l’articolo molto interessante ed insolito. Coglie un punto di vista della fantascienza che spesso viene trascurato. Leggendo, non ho potuto fare a meno di pensare al film “Terminator”, ambientato negli anni che stiamo vivendo o giù di lì che, ai tempi della sua produzione, rappresentavano il futuro astratto e pieno di incognite. Spesso alla fantascienza si associa una “lettura” negativa o disastrosa del progresso e della ricerca; con questo articolo, e i vari riferimenti al suo interno, viene dimostrato il contrario.
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La storia dell’evoluzione del linguaggio e del software è scritta in maniera molto appassionata.
Il software è descritto con un rispetto estremo, quasi come si stesse parlando dell’anima per il corpo o del bosone di Higgs per la materia.
Che dire dei riferimenti ai libri di Asimov: fanno venire una gran voglia di leggerli!
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Leggere della dualità software/hardware vista come una lotta tra il visibile e l’invisibile è un modo, per chi lavora quotidianamente sulla tecnologia come me, di prendersi una pausa dai dettagli tecnici per provare a dar loro un senso più universale. Capire che ruolo stiamo avendo nel flusso della storia e dei comportamenti sociali rinnova il valore del lavoro di ogni giorno e definisce il giusto grado di responsabilità diretta verso il futuro che a volte ci sfugge quando osserviamo il quotidiano da troppo vicino.
Grande ulteriore bonus da questa lettura: mette tanta voglia di rileggere Asimov.
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Scienza e Fantascienza
Tutto scorre fluidamente da un estremo all’altro … e l’autore naviga in questo vasto fiume di argomentazioni con la competenza di un abile timoniere, scandagliando le nozioni del sapere con citazioni letterarie, scientifiche e fantascientifiche. L’impalpabile rete che avviluppa e unisce ogni arte e ogni scienza (anche quella immaginaria, frutto della fantasia di uno scrittore) è l’informatica, che si snoda, attraverso un vorticoso racconto, lungo un percorso spazio-temporale e parte dalle origini, coi suoi goffi macchinari, e arriva ai nostri giorni, già proiettati in un prossimo futuro in cui l’evoluzione si materializza nell’immateriale, sempre più simile alle potenzialità illimitate del cervello umano.
La cosa più bella è l’ottica con cui viene vista, in prospettiva, l’evoluzione della tecnologia a favore dell’uomo: concreto ottimismo, basato sull’analisi dei fatti, e larga apertura mentale sono gli ingredienti che accompagnano le riflessioni dell’autore e ci trasmettono un senso di serena fiducia in un futuro ardito e inimmaginabile.
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L’articolo illustra, con naturalezza e fluidità, il punto in cui convergono pensieri appartenuti ad alcuni tra i migliori scienziati e letterati degli ultimi cent’anni. La lettura innesca una profonda riflessione su quell’unico filo conduttore che lega poesia e tecnologia, filosofia e futurismo, psicologia e robotica, quasi a scorgersi da una finestra affacciata sul futuro. L’autore dimostra di possedere una cultura che coniuga un’eccellente conoscenza nel campo delle tecnologie ad un’altrettanto ampia conoscenza letteraria.
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