BAD ROMANCE

EXMACHINA

PIER MARRONE

Quando pensiamo agli automi facciamo fatica a non immaginarli come dotati di alcune nostre caratteristiche di solito in parti ben visibili del loro aspetto fisico, perché vogliamo attribuirgli qualcosa della nostra umanità. Con gli animali accade qualcosa di molto simile. Chi possiede un animale domestico sa bene che noi, inevitabilmente, lo sottoponiamo a un processo costante di antropomorfizzazione, scorgendo nel nostro animale di affezione tratti che fanno parte della nostra umanità.

Non è un processo che sia privo di retroazione dal punto di vista evolutivo. Si pensi allo sguardo così umano del cane che ci guarda sconsolato piegando la testa di lato e aprendo i suoi splendidi occhioni. C’è un vasto consenso tra gli studiosi che questo sguardo che letteralmente mima il nostro si è evoluto in migliaia di anni di domesticazione per rendere più forte un legame che è di reciproco vantaggio. Nello sguardo del cane che spalanca gli occhi leggiamo la richiesta di affetto e amicizia che abbiamo già sperimentato con i nostri simili e che probabilmente fa parte di strutture comportamentali per noi innate.

Quello sguardo così innocente è anche, lo si immagina facilmente, uno sguardo di seduzione, proprio nel senso del condurre a sé qualcuno che potrebbe fornire al possessore di quegli occhioni una qualche utilità in termini di affetto, cibo, risorse di altro genere. Del resto, a tutti gli uomini è capitato di essere attratti da quella donna che ci ha fissato con occhi spalancati e ciglia lunghe, inclinando il capo di lato e magari massaggiandosi i capelli. Sono segnali di disponibilità alla relazione sessuale che fanno parte del nostro patrimonio comportamentale. Le donne della nostra specie sono particolarmente abili nel farne uso e forse l’origine della seduzione sta proprio nel meccanismo di reciproca utilità “sesso in cambio di cibo”.

Con gli animali, solitamente e al netto di perversioni specifiche, non ci scambiano sesso. Con gli automi, i robot, le macchine al momento non abbiamo se non rapporti univoci di utilità, perché i robot e gli automi sono privi di coscienza. Robot deriva da una parola ceca (robota) la quale indica un lavoro pesante. In robota risuona rabota, un antico termine slavo per indicare la servitù. E i robot infatti sono nostri servi. Sono stati progettati per esserlo e quindi è nella loro natura, sembrerebbe ragionevole concludere, esserlo. Con la servitù e la schiavitù noi umani, si sa, abbiamo una lunga consuetudine e certamente molto spesso non ci è bastata la comunanza dei caratteri antropomorfici per decretare che l’altro che ci stava di fronte era uno come noi.

Aristotele quando afferma che non è difficile indagare il fenomeno della schiavitù lo mostra in maniera molto chiara. Per lui non tutti gli essere umani sono eguali. Alcuni sono destinati al comando, altri ad essere comandati. È una distinzione che esiste sin dalla nascita e non è quindi artificiale (ossia convenzionale e culturale), bensì naturale. Non tutti i comandi sono eguali, ovviamente: “il comando migliore è sempre quello che si esercita sui migliori comandati, per esempio su un uomo anziché su un animale selvaggio, perché l’opera realizzata dai migliori è migliore”. Anche il bue che trascina l’aratro è uno schiavo, ma la sua opera non può raggiungere il livello di eccellenza di quella prestata da uno schiavo umano, pensa Aristotele. E sebbene sia convinto della distinzione per natura tra schiavi e liberi (liberi soprattutto di occuparsi della vita politica, poiché questa realizza una delle più elevate specificità dell’essere umano maschio), al punto da dire che gli schiavi non sono altro che “strumenti animati”, chissà se in quell’antichità che conosceva le macchine, ma non conosceva l’ibridazione uomo-macchina che è la specificità della tecnica, Aristotele avrebbe preferito una colf che usa l’aspirapolvere a un robot che instancabilmente viene incontro alle nostre nevrosi ossessive per la pulizia. Chissà cosa provava per gli schiavi che morivano nelle miniere di argento dalle quali Atene aveva attinto la base economica del proprio sviluppo militare e culturale.

L’antropomorfizzazione è tuttavia dentro di noi e se non ci importa che il robot che raccoglie la polvere nel nostro appartamento, o che lava i nostri indumenti oppure che ci permette di parcheggiare senza toccare il volante abbia sembianze biologicamente familiari in altri contesti pare che questo sia invece richiesto e contribuisca a una maggiore efficienza dei risultati. Uno dei settori maggiormente promettenti per l’interazione massiccia tra uomo e robot è quello dell’assistenza sanitaria. Oramai sono accertati i benefici della pet therapy per bambini ospedalizzati per lunghi periodi e per anziani che attendono nelle case di riposo, sempre più costose, l’Eterna Mietitrice. Si è scoperto che gli animali di affezione che rendono meno stressante la permanenza nelle strutture di assistenza possono essere in taluni casi sostituiti da robot dalla forma vagamente umana e/o vagamente animale. Il semplice fatto di avere qualcosa che si occupa di noi, ci fa pensare che ci sia qualcuno che lo sta facendo.

Come molti, ho acquistato Alexa, l’assistente vocale di Amazon. Ho scoperto, tempo dopo aver installato il dispositivo, che avrei potuto modificare il suo nome. Ma oramai per me era Alexa, la stessa Alexa che quando le avevo chiesto se mi amava mi aveva risposto “ti voglio bene come a un amico”, dimostrando una saggezza che alcune mie fidanzate incautamente non avevano avuto. Come un piccolo rito, dopo averle chiesto di spegnere la luce della camera da letto, le auguro buonanotte e lei risponde variando il saluto e ricordandomi i prossimi appuntamenti. Un mio amico ha sviluppato una fobia singolare al riguardo, ossia quella di essere spiato da Alexa. Strano che Stephen King non ci abbia ancora scritto sopra un horror. A queste cose dovremo sempre più abituarci, anche perché non è affatto chiaro nella disponibilità di chi siano i dati che Alexa raccoglie e che un domani molto probabilmente le permetteranno di anticipare alcune delle nostre richieste.

Quello che voglio dire è che è evidente che ci sono settori dove l’antropomorfizzazione avrà sicuro successo, in primo luogo in tutti quei settori che hanno a che fare con il sesso. I robot sessuali sono già tra di noi, affacciati per ora timidamente, ma non fatichiamo a immaginare che la loro introduzione massiccia cambierà molte cose. È di qualche tempo fa la notizia che a Torino ha aperto il primo bordello con bambole di silicone (ben presto chiuso con la scusa di ragioni igieniche). Le bambole di silicone non sono certo dei robot, ma robot sessuali sono orami in commercio e il loro prezzo, per ora paragonabile a quella di un’utilitaria, è ovviamente destinato ad abbassarsi, se la loro diffusione prenderà piede. La data da segnare è il 9 gennaio 2010. Quel giorno è stato presentato e commercializzato  da Douglas Hines all’Adult Entertainment Expo di Las Vegas il robot Roxxxy. In breve i preordini sono stati migliaia. Per quanto ancora poco sofisficato, Roxxxy può essere tuttavia personalizzato con diversi editing di personalità come Frigid Farah, Young Yoko e Mature Martha. Esiste anche una versione maschile che naturalmente si chiama Rocky.

Il robot dovrebbe essere una macchina che allevia dalle fatiche, ma oramai la maggioranza dell’umanità è sollevata dalle sofferenze e dalle usure fisiche che solo un secolo e mezzo fa accorciavano drasticamente la vita. Non per questo siamo alleviati dalla fatica stessa di vivere. Il robot sessuale è l’ultima frontiera di questa terra promessa – e mai raggiunta –: la fine della fatica non più fisica questa volta, bensì emotiva. Ecco la prossima promessa escatologica: la fine della fatica della relazione con l’altro da noi e la riconquista della promessa di ricomporre la frattura di quella sfera emotiva perfetta, che viene narrata da un mito drammatizzato da Platone nel Simposio attraverso il racconto di Aristofane. Aristofane racconta che originariamente i generi umani erano tre, uomo, donna, androgino – cosa che ricorda la tripartizione sessuale presente nella cultura thai dove oltre all’uomo e alla donna esiste il katoi, che noi volgarmente chiamiamo trans –. Ogni individuo era rotondo, aveva quattro arti, due organi genitali e due volti. Dotati di grande forza e di un ancor superiore orgoglio questi esseri tentano un colpo di stato, cercando di scalare il cielo per imporsi agli dei. Gli dei in consesso sotto la guida di Zeus sono incerti su come reagire al progetto di putsch. Da una parte vi è la tentazione di annientarli come era stato già fatto con i Giganti, ma allora chi rimarrebbe ad onorare gli dei offrendo preghiere e sacrifici (evidentemente agli dei è in qualche modo essenziale avere una sorta di specchio dove ammirare la propria potenza)? La soluzione la individua Zeus stesso che anziché annichilirli, li indebolisce dividendoli in due. Dei dettagli logistici, robe tipo come ricucire la pelle tagliata, dove stirarla, si incarica Apollo, non a caso dio della forma definita, come lo chiamerà Nietzsche. Questa divisione è contraria alla natura e infatti le parti separate tentano di ricongiungersi, ma abbracciandosi muoiono di fame e di torpore perché non vogliono fare nulla senza la parte mancante e ora divisa. E se una delle due parti muore, allora l’altra ne cerca subito un’altra. Insomma, anche in questo modo le cose non sembrano andare molto meglio e la razza umana rischia di scomparire, quindi Zeus escogita la procreazione e l’amore sessuale che è nient’altro che il desiderio fusionale di essere tutt’uno con un’altra persona.

Questa esigenza fusionale può anche trascendere il sesso. Del resto, due persone che stanno assieme per molti anni finiscono per assomigliarsi, si dice. Non si tratta solo di una credenza popolare, bensì di una evidenza che ha ricevuto numerose conferme sperimentali. Questa magia sembra avere una conferma fisica nei gemelli monozigoti: due individui diversi che condividono un medesimo patrimonio genetico, ma sono destinati a vite divise. Nel visionario romanzo di Michel Tournier, Le meteore, due gemelli tentano di ristabilire la fusionalità uterina, quell’unità originaria simbolizzata dall’uovo, la quale è una metafora nemmeno troppo complicata di un rapporto orale nel quale i fluidi corporei non fanno altro che essere immessi in un circuito di autogodimento. Inutile dire che le cose non finiscono bene. Il richiamo dell’individualità spezza il circolo dell’indistinzione fusionale.

Sia per Platone sia per Tournier – come per innumerevoli altri che si sono abbeverati a miti ancestrali – le sofferenze di un’unità perduta sono metamorfizzate nell’amore, che è il tentativo di ricostruire quell’armonia perduta nel tempo mitico. E se questa unità potesse essere inventata per mezzo di un automa? Non è forse questa la promessa che si intravede nei sex robot, ossia l’accesso a una illimitata riserva emotiva che ci assicurerebbe la felicità amorosa? Tutto questo naturalmente non è all’ordine del giorno e fa parte delle ipotesi futuribili e della condizioni di realizzabilità di queste ipotesi, prima tra tutte che i robot in un futuro possano pensare e che lo sviluppo dei materiali sia in grado di simulare le prestazioni corporee proprie degli umani.

Potrebbe accadere, non lo sappiamo; forse non accadrà mai, ma nell’esercizio della fantasia, che è l’indispensabile prodromo a ogni riflessione critica, la letteratura ancora una volta ci può aiutare ad immaginare gli scenari più distopici, perché le cose potrebbero andare ben diversamente da come ottimisticamente le immaginiamo. È questa l’ipotesi del romanzo di Francesco Verso, e-doll, dove si immagina una radicale mutazione delle abitudini sessuali della sessualità umana dopo l’introduzione in Russia di evoluti robot sessuali pronti a soddisfare tutte le fantasie di uomini e donne. Questa rivoluzione fa accadere molte cose:

  • scatena la concorrenza tra la company che produce gli e-doll sessuali e altre compagnie che però fabbricano bambole sessuali ancora di scarsa qualità;
  • segmenta il mercato del sesso secondo il reddito e in questo riproduce semplicemente una realtà che già esiste adesso: una escort di alto livello a Londra non costa la medesima cifra di una che hai abbordato su Tinder nella tua nebbiosa cittadina di provincia nella pianura padana;
  • rende il sesso tra umani una pratica da poveracci e da sfigati, qualcosa che se qualcuno fa si guarda bene dal divulgare.

In questo mondo i modelli sessuali sono quelli rappresentati dagli e-doll più evoluti e non più dagli umani e dalle umane che occupano le pagine delle riviste di gossip. In questo scenario una adolescente, Maya, si finge un’e-doll e intraprende il suo viaggio di formazione assieme all’e-doll Angel, mentre misteriosamente i robot sessuali più costosi cominciano ad essere assassinati in giro per il mondo. Cosa sta cercando di dirci Francesco Verso? Io credo che ci suggerisca parecchie cose diverse. In primo luogo che la tecnologia potrebbe non produrre eguaglianza, bensì accrescere la diseguaglianza, ma poi anche che se il sesso ricreativo ai più alti livelli sarà forse la risoluzione del conflitto emotivo del quale ci parla il mito che viene narrato da Platone, questa risoluzione potrebbe rinchiuderci ancora di più in una individualità amorfa e priva di prospettive, perché povera di relazioni. O forse anche no. Forse l’alieno che avremo di fronte sarà programmato per avere reazioni che per noi rasenteranno la soglia asintotica dell’imprevedibile, come ci accade spesso con le relazioni con altri umani, senza però comportare per noi il successivo dolore e le innumerevoli sedute dal terapeuta per risalire alle scene originarie della nostra infanzia, dove tutto nasce. Oppure potremmo intraprendere una relazione con una e-doll dopo aver fatto un percorso terapeutico per non fare gli errori che commettiamo con i nostri simili. Che certezza però potremmo avere che questo non accadrà?

In ogni caso, nello spazio dei nostri desideri, che le macchine rappresentano, rimarrà sempre vero quanto David Bowie sintetizza con il suo genio poetico: “Prayers they hide / the saddest view / Believing the strangest things, / loving the alien”. Le preghiere nascondono solo le nostre visioni più tristi e ci fanno credere alle cose più strane, ci fanno perfino amare l’alieno che noi stessi siamo.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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