VITA DI UN AUTOMA UMANO: SPINOZA E L’ILLUSIONE DEL LIBERO ARBITRIO
RICCAARDO DAL FERRO
“Il messaggio che voglio trasmettervi è il seguente: fingete di avere libero arbitrio. Pur sapendo che non è così, è fondamentale che continuiate ad agire come se le vostre decisioni avessero un peso. Non è la realtà a essere importante, quanto piuttosto ciò che si crede, e credere a una menzogna è l’unico modo di sfuggire al coma vigile. A questo punto la civiltà dipende dall’illusione. Forse, anzi, è sempre stato così.”
Quella dell’automa è una condizione terribile.
Esso è cieco alla sua programmazione e non può accedere alla camera segreta dove sono nascosti il suo futuro, le sue decisioni e il suo destino. Quel destino è scritto in linguaggi strani, che l’automa non può leggere né comprendere, e sta al centro della sua esistenza, il luogo più lontano da raggiungere.
L’automa vive ben sapendo che le sue decisioni non sono vere decisioni, ma soltanto lo svolgimento di un percorso già scritto da chissà chi. Nonostante questa consapevolezza non può agire al fine di scardinare ciò che è determinato dalla volontà di un demiurgo crudele. L’automa può soltanto assecondare quel percorso, forse contemplando la magnificenza della vita, forse maledicendo la sofferenza che gli è stata riservata.
Pochi riconosceranno la vita umana leggendo queste righe, eppure è chiaro che la condizione dell’automa è qualcosa che fa parte anche della nostra esistenza. Il cervello umano non è dotato (per quanto ci è dato di sapere) di una facoltà che ci permetta di fermare lo scorrere del tempo e, sottraendo il nostro corpo e la nostra mente alle leggi meccaniche dell’universo, agire liberamente e indisturbati senza venire condizionati dal mondo che ci circonda e di cui facciamo parte. Per dirla in modo più semplice: siamo oggetti del mondo che, in quanto tali, rimbalzano da una parte all’altra senza potersi sottrarre a questa partita di ping-pong (ma è stato davvero un modo semplice di dirlo?).
In realtà non c’è nulla di semplice nel rendersi conto che la libertà intesa come capacità di agire al di fuori delle determinazioni del mondo è irraggiungibile e illogica. Una buona parte dello sforzo di molti filosofi è andato proprio in quella direzione: come giustificare la sensazione di essere liberi di fronte all’evidenza di non esserlo affatto?
In fin dei conti, quale superbia ci spinge a pensare di essere noi liberi dal meccanicismo imperante, mentre la potenza delle stelle, il movimento delle galassie e il fremere degli atomi e degli elettroni sono imprigionati nelle rigide leggi della causa e dell’effetto? Come possiamo pensare di essere superiori, in libertà e perciò in valore d’esistenza, ai macroscopici movimenti del cosmo che deve sottostare al determinismo che tutto ingloba?
Il problema vero, espresso in modo così chiaro nel brano iniziale tratto dall’ultima raccolta di racconti di Ted Chiang (Respiro), è che noi non possiamo pensare diversamente. La sensazione della libertà, la percezione di essere elementi più o meno slegati dal resto della materia, è imperante e istintiva, come se il nostro cervello fosse costruito intorno a quella falsa consapevolezza. Che sia falsa, non c’è dubbio: la materia di cui siamo composti e da cui scaturiscono i più intimi dei nostri pensieri è la medesima che forma il libro che cade dal tavolo, il meteorite che si sfracella nell’atmosfera, le auto che si scontrano contorcendo le lamiere. Ma c’è di più: la neurologia ha ormai dimostrato che il pensiero arriva sempre un microsecondo in ritardo sugli eventi della vita e anche se noi ci illudiamo di star decidendo quale strada prendere, la strada da prendere è già stata determinata molto tempo prima rispetto al nostro gesto di sterzare, e il nostro pensiero deve solo fare i conti con qualcosa che è già stato deciso dalla concatenazione di eventi precedenti.
Eppure, noi non sappiamo pensarci se non liberi.
È proprio qui che Spinoza afferma tutta la sua attualità. La dottrina della libertà di Spinoza è sempre stata difficile da digerire: siamo determinati da un meccanicismo su cui non abbiamo diritto di voto, eppure la sua filosofia è una richiesta di libertà. Sembra una contraddizione, e in fin dei conti lo è, ma la sua intuizione è fondamentale e contemporanea.
Soltanto uno sguardo che provenga dal di fuori di questo universo potrà adottare la prospettiva necessaria ad accorgersi che tutto, al suo interno, si svolge per principi meccanici, come se osservasse un orologio dall’ingranaggio perfetto ed estremamente complesso. Soltanto lo sguardo di chi abbraccia la totalità di questo cosmo saprà dire da testimone: “Non esiste alcuna libertà al suo interno poiché tutto dipende dai principi deterministici della fisica.” Ma è proprio qui che entra in gioco la libertà: non esiste nessuno sguardo di questo tipo, dal momento che non esiste alcun “esterno” rispetto a questo cosmo. Se il cosmo è Dio stesso (“Deus sive natura”) non c’è alcuna possibilità di una prospettiva che sia esterna dalla sostanza: sarebbe contraddittoria, così come lo erano la res cogitans e la res extensa in Cartesio. Il panteismo spinoziano ci impone di ammettere che, per quanto suggestiva, l’ipotesi di uno sguardo esterno al mondo rimane solo un’ipotesi illogica, tanto quanto la consapevolezza della libertà.
Ciò che dobbiamo chiederci a questo punto è: basta la consapevolezza che la libertà sia un’illusione per disfarcene una volta per tutte? Daniel Dennett è convinto di sì: smascherare l’illusione del libero arbitrio è un po’ come indovinare il trucco che sta dietro il numero del prestigiatore. Una volta capito il trucco, il numero si rivela per ciò che è, ovvero una serie di stratagemmi perfettamente spiegabili che fanno cadere la sensazione di aver assistito a qualcosa di magico. E probabilmente anche Spinoza sarebbe d’accordo con Dennett.
C’è un unica differenza: mentre Dennett è convinto che smascherando l’illusione della libertà e della coscienza riusciremo ad arrivare ad un punto di consapevolezza più alto della natura umana, Spinoza afferma che la libertà è un’illusione di cui non possiamo disfarci proprio perché anche l’idea di uno sguardo esterno al mondo che sappia e veda tutto è al tempo stesso un’illusione.
Tra queste due illusioni non c’è pragmaticamente confronto: l’illusione della libertà ci spinge infatti ad agire e vivere, a prenderci le responsabilità delle nostre azioni, a mantenere la parola data e nutrire le relazioni, ma soprattutto a ricercare la felicità; l’illusione del determinismo comprovato invece ci svuota del valore dell’agire, ci spinge ad arrenderci, perché tanto cosa conta faticare, investire, progredire e ricercare la felicità se tutto quanto è già scritto da una volontà su cui io non ho alcun potere?
La libertà è un’illusione necessaria alla vita umana e senza questa illusione cadremmo nel baratro dell’inedia esistenziale e del nichilismo. Noi non siamo liberi di agire al di fuori delle determinazioni del cosmo, ma siamo liberi di dare a quest’illusione inevitabile il valore che essa merita: è carburante per il nostro agire e la felicità, e senza di essa rimaniamo a secco, fermi sotto un cielo insignificante.
La vita dell’automa è una vita difficile poiché deve vivere nella consapevolezza di non essere libero, pur sapendo di doversi considerare libero per poter dare significato alla sua esistenza.
L’unica libertà è quella di nutrire l’illusione della libertà.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA STORIA DELLE IDEE ENDOXA LUGLIO 2019 Riccardo Dal Ferro Spinoza Ted Chiang