LA CONGETTURA DI VIKTOR F.

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FRANCO FERRANT

Amici se ne fanno pochi. A ben vedere è arduo persino spiegare che cos’è l’amicizia. In fondo le persone della tua vita ti sono state portate dal caso.

Come le amicizie d’infanzia o quelle dei banchi di scuola.

Continuano magari tutta la vita, anche quando tutto è cambiato e soprattutto noi siamo cambiati. E, se ci incontrassimo adesso, non ci sogneremmo mai di fare amicizia. Fa freddo là fuori e un ricordo, per quanto sbiadito, può ancora aiutare.

E poi c’è l’amicizia intellettuale. Detto così sembra brutto. Ma vi è un fascino incomparabile nel dispiegarsi dell’intelligenza. Persino nella dialettica ostile, nel duello delle argomentazioni. I dialoghi platonici svelano la carica erotica nascosta dietro il gioco intellettuale. L’amicizia in fondo è una forma d’amore. I greci lo sapevano bene.

Con Viktor è stato un incontro strano. Intanto era un mio studente e questo ovviamente distorce i parametri. I suoi erano arrivati da oltreconfine all’inizio della guerra. Lui non dava molta confidenza ai suoi compagni. Studiava con impegno ma senza entusiasmo apparente.

Negli anni di scuola la superficialità del nostro rapporto non andò mai al di là di una generica attestazione di reciproca antipatia.

Lui voleva i libri di testo. Io li ho sempre disprezzati, sia da studente che da insegnante. Avevo l’impressione che i libri della mia biblioteca si vergognassero ad averli vicini.

Lui in latino voleva “la traduzione”. Avevo voglia di spiegargli che “la traduzione” non esiste, che semmai dovevamo parlare di “le traduzioni”. Lui mi guardava con fastidio come si guarda un cacciaballe e mi imponeva di dargliene una e di farla finita con le smancerie.

Con i voti poi sfiorava la paranoia. Era convinto che si dovesse reperire una tecnica combinatoria che permettesse “la” valutazione oggettiva, e che solo la mia indolenza mi impedisse di attivarla

Insomma non vedevo l’ora di togliermelo dalle balle.

Era più una fatto caratteriale che una questione di divergenza di opinioni

I più sono respinti dalla constatazione di avere opinioni diverse e stili di vita inconciliabili. Io invece ho sempre trovato sommamente interessanti quelli che mi mettono davanti agli occhi vita che non conosco, altri mondi e altre scelte.

E lo stesso avido interesse provo anche in mondi a me più familiari, negli universi di discorso o nel labirinto della dialettica. Quando qualcuno mi ribalta una prospettiva e mi fa vedere le cose da un punto di vista che non avrei mai preso in considerazione. Vi è qualcosa di eccitante persino nel cercare le armi dialettiche per rintuzzarlo.

Tutto cambiò improvvisamente la notte prima del suo esame di maturità.

Era arrivato, a mezzo pomeriggio, nella piccola libreria antiquaria di un amico a cui ogni tanto davo una mano. Mi chiese nervosamente se potevo aiutarlo a ripassare il programma. Quella sua piccola crisi me lo rese subito simpatico. Gli proposi di rimanere dopo l’orario di chiusura.

Pensavamo di passare un paio d’ore e invece restammo lì tutta la notte. Parlammo del programma i primi cinque minuti e poi la conversazione prese tutt’altra strada. Alle sei e mezza uscimmo stravolti. Ci infilammo nel bar che aveva ancora la serranda aperta a metà e ci abbuffammo di krapfen caldi. Lui passò a casa a farsi una doccia e a cambiarsi d’abito, e poi andò direttamente a scuola. Io andai a dormire.

Ricordo perfettamente, anche nei particolari, la conversazione di quella notte.

Tutto partì da un’osservazione che Viktor buttò lì a proposito della filosofia. Disse che era una vergogna che fosse inserita tra le materie scientifiche. In particolare ce l’aveva con Fichte e “quella sua menata di io e non-io”. Viktor aveva un senso molto concreto della realtà. Io sono qui e le cose sono là e io devo solo trovare il modo di manovrarle il meglio possibile. E quando tentai di spiegargli che la faccenda non era proprio così semplice e che quelle “cose che sono là” sono puri fenomeni, cioè apparenze che noi con i sensi e i pensieri incontriamo solo in un certo modo, e che non possiamo essere sicuri di cosa ci sia veramente dietro, tagliò corto con una conclusione che mi lasciò senza argomenti.

Mi disse che non aveva nessuna importanza per lui stabilire se il mondo fosse veramente come lui lo vedeva, o se tutto, al limite, fosse pura creazione della sua mente autistica, perché la scena non sarebbe cambiata. Le cose che erano là continuavano ad essere là e a funzionare nel medesimo modo, sostanze o fantasmi che fossero. E questo era fuori discussione. Il diavolo di Cartesio era solo un poveraccio a instillare dubbi senza senso, che potevano funzionare solo con caratteri deboli.  Tirò fuori una citazione di Wittgenstein “Il massimo di realismo coincide con il massimo di solipsismo” e aggiunse un corollario “Visto che non posso chiarire la faccenda, me ne frego e vado avanti.”

Le conseguenze di quella notte furono due. La prima fu che, nonostante la mancanza di sonno, Viktor uscì dall’esame con il massimo dei voti.

La seconda fu che quella conversazione fu solo la prima di una serie interminabile. Dopo la sua estate di libertà, al suo ritorno in città, cominciammo a frequentarci regolarmente.

Viktor, a ottobre, superò con facilità il test di ingresso e si iscrisse a ingegneria informatica. Ci incontravamo quasi ogni pomeriggio al caffè. Qualche cinema, qualche cena in Carso, qualche partita a scacchi che non sono mai riuscito a vincere, qualche sera al biliardo. E, soprattutto, interminabili discussioni che si protraevano in luoghi improbabili, anche fino all’alba.

Non eravamo d’accordo su niente.

Per Viktor la scienza è una cosa seria, anzi, per essere precisi, la sola cosa seria. Il resto è passatempo. E la scienza si occupa di cose e di fatti.

Naturalmente tratta anche se stesso come una cosa, complicata, ma perfettamente analizzabile e controllabile.

Al minimo sintomo di raffreddore o di emicrania, ancora oggi, interviene con la guerra farmacologica totale. Ha una fiducia cieca nelle chirurgia. Si è fatto togliere tutti i nei, senza neanche un check preventivo. Soluzione radicale.

Già allora era convinto che le nanotecnologie avrebbero portato la chirurgia a livelli inimmaginabili e che la tecnica dei trapianti avrebbe raggiunto risultati sbalorditivi.

E se obiettavo. “È  un vero peccato che per trapiantare cuori o fegati bisogna star lì in trepidante attesa che un giovane ben strutturato muoia di morte improvvisa”  oppure gli facevo  presente che “In molte parti del mondo quegli organi erano espiantati da vittime sacrificali che non avevano nessuna intenzione di morire” lui prima tentava di smontarmi “Leggi troppi fumetti horror” e poi, non appena si rendeva conto della assoluta mancanza di logica della sua obiezione, ripiegava su argomentazioni più rassicuranti “Tanto ormai in breve saremo in grado di progettare e produrre organi completamente artificiali e perfettamente funzionali, senza rischi di rigetto”.

Quando si laureò, naturalmente con il massimi dei voti, le nostre frequentazioni quotidiane cessarono improvvisamente. Il suo relatore lo segnalò per una borsa di studio al Politecnico di Losanna. Dopo solo un anno fu rimandato in Italia a completare il dottorato all’Università di Pavia, nell’ambito dell’ Human Brain Project. Non ci vedemmo per mesi. Poi però tornò a Trieste per le vacanze e ci incontrammo riprendendo le nostre consuetudini. La maggior parte dell’anno lo passava a Pavia, ma i suoi ritorni in città diventarono più frequenti e di fatto le nostre relazioni ripresero con regolarità, anche se ad intervalli di tempo più ampi.

Mi parlava del lavoro di gruppo in cui era stato inserito. Un progetto europeo per realizzare, in una decina d’anni, una simulazione completa del funzionamento del cervello umano, facoltà percettive e cognitive, e genesi del pensiero. Non potei dissimulare quel che pensavo e non mancai occasione di dichiararlo. “È  una stronzata colossale”. Forse non è il migliore esempio di supporto a un giovane amico entusiasta. Ma mi sarei sentito falsissimo a dire qualsiasi altra cosa.

A dir la verità Viktor non se la prese.

Anzi replicò con la consueta ironia “Non so se sia una stronzata, ma colossale lo è senz’altro, visto che l’hanno finanziata con più di un miliardo di euro”.

E poi cominciò a descrivermi il procedimento di partenza: “Un cervello umano appena uscito dalla formaldeide viene congelato, rivestito di colla e quindi tagliato in diverse migliaia di schegge sottili, ciascuna di soli 60 micrometri. Poi quelle sezioni vengono scansionate con luce polarizzata  per misurare l’orientamento spaziale delle fibre nervose a livello micrometrico e le scansioni sono raccolte in una ricostruzione digitale 3D che descrive la direzione delle singole fibre nervose su scale più grandi: circa 40 gigabyte di dati per una fetta e qualche petabyte per l’intero cervello. La replica mi uscì ovvia “Ma davvero pensi di poter descrivere il cervello come un blocco hardware, con tanto di circuiti integrati, celle e microprocessori? Davvero non ti sembra un’idiozia? Una struttura vivente è un processo, non uno stato, non ha e non può avere la rigidità dell’hardware”.

Viktor continuava a spiegarmi che quella cosa lì era solo il punto di partenza della ricerca e che il passo successivo era indagare l’attività elettrochimica della rete neuronale, per tracciare una specie di atlante, basato su dati di imaging: scansioni anatomiche, profili di connettività di diverse aree del cervello e risultati di esperimenti comportamentali durante la scansione. Il compito suo e degli altri informatici era la classificazione e l’indicizzazione dei dati.

“Possiamo tracciare l’immagine di ogni processo cognitivo o linguistico, ma anche localizzare con precisione le aree del cervello connesse di volta in volta con quelli che noi chiamiamo sentimenti o gusti o convinzioni: gioia, dolore, amore, repulsione, piacere e disgusto; persino le attività che determinano la fede religiosa o il senso della giustizia o il gusto estetico. Teoricamente potremmo alterarle con interferenze elettromagnetiche”.

“E quindi ?” lo stavo guardando con una faccia da schiaffi. Ma lui continuava senza scomporsi “Lo sai che è dimostrato che alcune aree esecutive del cervello si attivano in direzione di una scelta fino a undici secondi prima che noi la compiamo, prendendone coscienza?”

Lo fermai ridendo.

“Boh… non è che ci volesse tanto a confermare che esiste un inconscio… qualcuno c’era arrivato già un secolo fa anche senza superpolaroid. E poi tutto sta ad intendersi su cosa significa spiegare. Voi non state spiegando niente… state semplicemente descrivendo ciò che succede.  Tracciate mappe accurate, tutto qui. Anche alterare il funzionamente neuronale non è una grande novità. Fino a ieri bastava una bottiglia di grappa o un francobollo lisergico. Oggi vi gasate con la prospettiva di interventi sempre più mirati e localizzati. Ma scoprire che si può condizionare la fede religiosa di un individuo, compromettendone i neuroni corrispondenti, ha la stessa valenza conoscitiva di constatare che se si taglia la testa ad uno si cancellano i suoi rimorsi.”

Viktor mi guardava con una certa aria di commiserazione. “Il fatto è che non puoi accettare di non essere uno spirito totalmente libero, padrone delle proprie scelte, ma solo un insieme complesso di cellule variegate, guidate e coordinate da un pugno di materia grigia e gommosa”

“Se è per questo” replicai  “non ho un problema di questo tipo. Non so nemmeno cosa sia lo spirito, però non so neanche che cosa sia la materia e mi pare che la fisica, oggi, sia abbastanza chiara su questo punto. Non lo so io e non lo sapete nemmeno voi. E se anche riduci tutto a ‘informazione’, quello che stai facendo è solo cambiare i nomi, non la cosa.”

Viktor continua ancora oggi a lavorare al progetto, anche se pare che più di qualcuno, anche degli addetti ai lavori,  ormai si sia accorto che probabilmente si tratta proprio di una stronzata. Lui stesso, in mezzo a tutte le polemiche, sembra aver perso il suo entusiasmo e dà l’idea di farsi portare dall’inerzia.

Però non ha perso la fede di poter collaborare allo sviluppo senza remore del suo mondo di cose, tra le quali questo imperfetto, fragile, abietto e un po’ tonto essere umano che siamo io e lui e tutti gli altri. Pensa che l’evoluzione non si fermerà. È  diventato transumanista. Cioè, lui non usa questo termine, ma di fatto è sempre più convinto che nei prossimi anni costruiremo una nuova specie, in un processo evolutivo al di là della pura e semplice selezione naturale. L’obiettivo è mettere in funzione un cervello artificiale con una capacità di allocazione di dati e una potenza di calcolo miliardi di volte superiore a quello umano, e dotarlo di un software di autoapprendimento che sfrutti fino alle estreme conseguenze questa potenza “Già oggi neanche Kasparov riuscirebbe più a battere a scacchi gli elaboratori di ultima generazione”.

“Ovvio” osservo” la scacchiera ha un numero di configurazioni finito, per quanto stratosferico. Dunque servono solo calcolo e potenza di elaborazione: chiamarla intelligenza è fuorviante.  Nel loro piccolo anche i savant, che consideriamo ritardati, o alcuni autistici, riescono a memorizzare interi annuari alla prima lettura o eseguire calcoli come divisioni con decine di decimali o potenze con esponenti a due cifre”.

“Ma non riesci a vedere…” mi dice “… quanto questi esseri artificiali potrebbero aiutarci, proteggerci, salvarci dalle nostre stronzate? O forse hai paura che possano prendere il sopravvento ed annientarci, creando un loro ciclo indipendente di autoriparazione e riproduzione?”.

“No… non è questo. In fondo già oggi il malfunzionamento di un computer potrebbe provocare un disastro nucleare. Certo gli ordigni sono più forti di noi, ma sono solo oggetti. Sarebbe come tagliarsi con il pelapatate, solo più in grande. Un incidente come un altro. Continueranno ad essere solo oggetti.”

“Anche i nostri sentimenti sono oggetti. Li immetti come variabili comportamentali e poi li elabori con l’autoapprendimento. Pensa, ad esempio, alle possibilità di ampliare la capacità prercettiva. Potremmo dotarli di sensori sofisticatissimi che permettano loro di percepire, analizzare e processare impulsi esterni che sono al di sopra o al di sotto della possibilità di ricezione dei nostri sensi. Sarebbero creature magnifiche”.

È vero. Ho pensato spesso che così come la nostra “visione” del mondo sarebbe diversa, se fossimo ciechi come i protei o privi di odorato o sordi, diversa ed esaltante potrebbe essere la nostra percezione se di sensi ne avessimo dieci o più.

Però non occorre essere Kant o Husserl per capire che i colori del tramonto che contempliamo non si trovano nelle frequenze dello spettro elettromagnetico e nemmeno nei fotorecettori della retina o nella attività elettrica del lobo occipitale. Sono solo uno stato di coscienza. E quella cosa lì, là, dentro il tuo oltreuomo, non puoi metterla.

È un po’ tutta la faccenda ad essere bislacca. Lo dice la teoria dei tipi logici di Russell. Lo mostrano i koan zen… come incendiare il fuoco o isolare il suono di una mano sola dentro un battito. Non puoi capire la mente con la mente, così come non puoi inserire il tuo sguardo nel campo visivo.

Viktor capisce benissimo queste cose, ma crede che ci stiamo sopravvalutando.

Così, dato che non accetta confronti filosofici, preferisco rimanere sul personale, e ogni tanto provo a dimostrargli che la vera ispirazione che lo guida è di tipo autoerotico.

In effetti Viktor gode di buon apprezzamento in ambito femminile, ma non ha mai protratto una relazione oltre il sesto mese. Non gli va mai bene niente e nessuna.

“In fin dei conti quel tuo superessere, nella sua forma femminile, non è altro che una proiezione del tuo immaginario erotico, L’equivalente maschile del dildo a batteria pour femme o dell’armonium orgasmatico di Barbarella. Un bellissimo strumento per una perfetta masturbazione. Con optional eccezionali come eleganza di pensiero, comprensione, intuizione, devozione. Beh, devo dire che, se l’obiettivo è questo, mi trova d’accordo e spero che tu ci riesca”

Viktor non risponde a queste provocazioni.

Quasi sempre oggi le nostre discussioni si concludono con una variante del tipo:

“Sei un cretino. Pieno di superstizioni da vecchio coglione che non vuole prendere atto che il mondo andrà avanti benissimo anche senza di lui”.

Magari c’ha ragione Viktor.

ENDOXA - BIMESTRALE LETTERATURA

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