SE LA PASSIONE È UN’AUTOCOMPASSIONE: COMMENTO A L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE

Schermata 2020-07-09 alle 08.11.36SILVIA D’AUTILIA

“Tomáš dichiarava alle proprie amanti di non essere capace di prendere sonno nello stesso letto con un’altra persona, e dopo mezzanotte le riaccompagnava tutte a casa.”

Terrorizzato dalla stabilità affettiva, dal fardello di una relazione logorante e d’ostacolo alla sua libertà sessuale, Tomáš preferisce collezionare corpi, sperimentare incontri diversi della carne senza promettere né sentimenti né garanzie relazionali. Il dormire assieme a una donna pareva all’uomo “il corpo del reato dell’amore”, la prova schiacciante che il mero godimento fisico non possa bastare, che l’incontro tra le due vite non possa esaurirsi a quello della corporeità. Avere rapporti sessuali sempre diversi è per Tomáš la certezza di una vita leggera, senza vincoli, né impegni. Potrebbe sembrare l’attore di un racconto erotico, invece è il personaggio di uno dei romanzi più significativi della letteratura filosofica novecentesca. Parlo de L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera.

Senza troppi giri di parole, il libro si apre con l’evocazione misteriosa, ad oggi ancora oggetto d’interpretazioni, della teoria dell’eterno ritorno, con la quale Nietzsche – secondo l’autore – avrebbe messo molti filosofi nell’imbarazzo. È il 1882 quando il concetto fa la sua prima apparizione nel testo La gaia scienza, dove il filosofo afferma che di ogni accadimento della vita, piacevole o doloroso che sia, si è destinati a riviverne per sempre l’esperienza poiché “l’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere”. Attraverso le pagine del suo romanzo Kundera s’interroga sul senso di questa teoria e interesse del presente lavoro sarà ripercorrerne le tappe.

Un evento eccezionale e assolutamente imprevisto s’interpone tra Tomáš, chirurgo affermato di Praga, e la sua lunga sequela di donne che rivede a intervalli prolungati per evitare l’instaurarsi di possibili relazioni: si tratta dell’incontro con Tereza, una cameriera conosciuta nel ristorante dell’hotel dove aveva pernottato, dopo aver prestato un consulto nell’ospedale del paese in sostituzione del primario a casa per un attacco di sciatica. Quando giorni dopo i due si rivedono, fanno immediatamente l’amore. Poi una febbre improvvisa obbliga la donna a prolungare il soggiorno a casa del medico: sarà questa ennesima situazione inattesa a mettere in discussione i propositi di non-affettività dell’uomo. La cura e l’accudimento della ragazza lo conducono verso un sentimento al quale Tomáš scopre di non saper rinunciare: sperimenta l’Es muss sein, “il deve essere” dell’affettività che mai più, dopo un matrimonio fallito alle spalle, aveva pensato di poter accogliere nella sua vita. Una volta ripartita, si rende conto che se le avesse chiesto di ritornare a casa sua una seconda volta, sarebbe stato probabilmente per sempre. Così è. Grazie a Sabina, la migliore delle sue amiche di letto, Tereza riesce a ottenere un lavoro in città come fotografa per un settimanale e i due iniziano a convivere. Ma a questo punto la vita del medico è di fronte a un bivio dilaniante: continuare con la leggera spensieratezza del pluralismo sessuale, senza promesse né legami duraturi, o intraprendere con impegno una relazione stabile, pesante e ingombrante? È evidente che Tomáš, non disposto ad escludere altre relazioni dalla sua vita, viva l’amore per Tereza in maniera abbastanza fuori dal comune. “D’altronde di unire l’amore al sesso lo ha deciso il Creatore” e il protagonista non capisce perché debba essere lui a farne le spese. Nell’incapacità di scegliere, ricorre così a una terza via: tenere insieme entrambe le possibilità, con tutte le conseguenze che ne derivano. “La sua situazione non aveva via d’uscita: agli occhi delle sue amanti era segnato dal marchio ignominioso del suo amore per Tereza,  a quelli di Tereza dal marchio ignominioso delle avventure con le sue amanti.” È in questo dramma che si consuma l’adesione alla contraddizione, ovvero a un’ossimorica esistenza insostenibilmente leggera. Tomáš capisce che tanto il lato più dilettevole della sua vita, quanto quello più pesante sono entrambi indispensabili. Rifiuta la scelta. Prende insomma la decisione di non cadere barbaramente nella dittatura dell’opzionalità.

Fa la stessa cosa quando, dopo aver ricevuto l’intimazione di ritrattare le sue posizioni pubblicate in un articolo che, in qualità di medico, toccava particolarmente la classe politica allora al comando, nella dicotomia asfissiante tra non ritrattare e ritrattare, alla fine si dimette perfino dalla professione di medico e va a fare il lavavetri.

Tomáš rifugge da un concetto di libertà che è una condanna all’aut aut, al prendere decisioni più pesanti “dei carrarmati russi”. Per questo ama la leggerezza del vizio sessuale, il suo disimpegno e la sua effimerità. Non si spiega a che pro dovrebbe mettersi sulle spalle l’onere di una decisionalità scevra di prove e insegnamenti preliminari. In sostanza ripudia gli effetti dell’improvvisazione che il nascere inconsapevole e il vivere irripetibile provocano.

C’è una domanda filosofica che fa da sottofondo all’intero romanzo: che valore può mai avere un’esistenza che non possa disporre di un’ulteriore possibilità? È in relazione a questo quesito che il lettore è costretto a leggere ogni pensiero, ogni azione e comportamento dei personaggi. Se le regole del gioco prevedono che gli attori possano entrare sul palco una e una sola volta e alla condizione di sparire per sempre già nella scena successiva, in pratica la vita non consente a nessuno di esimersi dalle logiche dell’Einmal ist keinmal, per cui quello che avviene una volta è come se non fosse mai avvenuto.

Vediamo la stessa angoscia, seppur diversamente espressa, anche nel personaggio di Tereza. La morte del cagnolino Karenin regalatole da Tomáš è per lei un evento dolorosissimo: la dimostrazione che nemmeno un amore autentico viene risparmiato dal tempo, che nel suo elargire occasioni, in realtà, scorrendo, consuma ogni cosa. Perché anche un sentimento così puro può essere scambiato e profuso solo al prezzo di un pesante dolore? Tereza è duplicemente vittima: della caducità della vita e della sua costante malinconia a riguardo. Per questo, quando Sabina le procaccia un lavoro come fotografa ne è entusiasta. Fare scatti immobilizza i fatti, le persone, i paesaggi, salvandoli dal loro destino per consegnarli alla memoria. All’indomani dell’euforia per i moti di liberalizzazione del ‘68, con l’occupazione russa che ne seguì, le deportazioni di massa e gli assassini crudi e truci dei dissidenti, la fotografia è la sola a proteggere l’attimo dalla frenesia della storia, dal suo procedere inesorabile. Afferrare l’immagine di una violenza significa conservarla per il futuro: case distrutte, carri armati, macerie, morti avvolti dalle bandiere patriottiche, soldati, giovani donne, scene di sesso e nudità. È abbastanza per lasciare traccia di una pagina amara del mondo?

Sabina non è da meno. È una pittrice, cattura i volti, ne ingabbia per sempre le espressioni e le fisionomie. Chiede di assumere pose per svelare il fascino e la segretezza dei corpi nudi. Gioca con lo specchio, si diverte a recitare e a condurvi di fronte i suoi amici. Oltre a essere una delle tante “amiche” di Tomáš è anche l’amante del professore universitario Franz dal quale però fugge via, offesa dalla sua visione della femminilità, del concetto di donna e di sesso. Quando Sabina decide di non farsi più trovare da Franz, senza preavviso e comunicazione alcuna, l’uomo è del tutto impreparato e affranto. Parimenti, quando Sabina a kilometri di distanza da Tomáš, viene a sapere che l’uomo è accidentalmente morto assieme a Tereza, precipitando da una scarpata a bordo del camion che guidava, la desolazione è fortissima. Riesce a placarla solo andando a passeggiare nel cimitero più vicino, il luogo per eccellenza in cui si guarda in faccia il paradosso dell’esistenza.

I personaggi del romanzo, nelle loro differenze e peculiarità, sono accomunati dal conflitto con la fatalità degli eventi che si manifesta nella forma del caso e della beffarda ironia della sorte. È stata solo una manciata di assurde coincidenze ad aver legato Tomáš a Tereza: il primario avrebbe potuto chiedere a un altro medico di sostituirlo nell’ospedale; oppure se anche avesse scelto Tomáš, quest’ultimo avrebbe potuto evitare di fermarsi a bere un bicchiere proprio dove lavorava Tereza; e perfino la stessa Tereza quel giorno avrebbe potuto non avere quel turno di lavoro. Invece tutta una serie di situazioni si sono allineate affinché quell’incontro si realizzasse, affinché quelle due vite s’incrociassero in maniera accidentalmente necessaria. Non è questa la trama della storia e dell’esistenza di ciascuno? Ci sono forse alternative? La risposta di Kundera non può che misurarsi col concetto di tempo. Nella mancanza di un retroscena della vita, sbagliamo ogni volta che pensiamo alla temporalità come a una linea a due direzioni, a un prima e un dopo. Ogni cosa è purché sia per la prima volta. Al di là dell’essere-per-la-prima-volta c’è il vuoto. Ogni cosa è solo per un attimo. Ecco perché Nietzsche pensava all’eterno ritorno dell’uguale come alla cornice più fedele della realtà: se tutto corre via inesorabilmente, la sola cosa a poter rimanere è la potenzialità dell’attimo, l’occasione continua di poter divenire ciò che si è. È questo lo scheletro eterno di tutto. È questa la condizione complessiva di tutte le forze, scrive il filosofo nei Frammenti postumi. Un caso, una coincidenza, una casualità non sono altro che la discesa sempre identica dell’attimo nella sinfonia della necessità.

  Quando all’inizio del libro l’autore mette le mani avanti sulle pagine che seguiranno scrive che, per negazione, il mito dell’eterno ritorno nietzschiano afferma che la vita che scompare per sempre, sia essa stata bella o terribile, è come se fosse già morta in partenza. Sicché o si rifugge da un concetto di tempo che nel suo passare cancella l’univocità dei fenomeni, oppure si può annunciare l’inconsistenza e l’insignificanza di quegli stessi fenomeni a priori. È inconsistente un incontro, un sentimento, un lutto, una guerra, una liberazione. Perfino la storia stessa. Di questo dramma i quattro personaggi di Kundera sono tutti al corrente. Ne trasmettono, ognuno a suo modo, la struggente consapevolezza, in ogni comportamento e azione. Tomáš incarna meglio di tutti questo paradosso. È un chirurgo, apre la pelle e vuole guardare sotto il rivestimento superficiale delle persone. Ma veste anche i panni di quello che potremmo definire un donnaiolo. Vuole entrare nell’intimità di quante più donne possibile. Vuole scoprirle e stupirsi. Come non leggere in quest’ingordigia l’altra faccia dell’autocompassione? Una sorta di giocare d’anticipo sulle angherie della vita. È assetato del mondo proprio perché sa che la sua sete è miserevole, eternamente insoddisfabile. Una mancanza costitutiva.

Non è forse quello che ci raccontava già Platone nel Simposio a proposito di Eros? Con questo mito il filosofo greco fa discendere Eros dall’unione di Poros con Penia durante il banchetto in onore alla nascita di Afrodite. Poros, personificazione dell’espediente e dell’ingegno, addormentatosi ubriaco sul prato viene visto da Penia, personificazione della povertà, e vuole unirsi a lui. Dal rapporto viene concepito Eros, nella cui natura conviveranno per sempre l’indigenza da una parte e l’ardore dall’altra. Eros è consapevole dei suoi limiti ma cerca di aggirarli con l’astuzia. Ha pietà di sé ma non si arrende. Anzi, proprio perché conosce questa sua indole manchevole e dolorosa, veste i panni del cacciatore alla ricerca continua di nuove vittime.

Non c’è miglior termine di paragone che il mito di Eros per concludere queste riflessioni. Chi è Eros, dio dell’amore e della passione? È colui che portando con coraggio su di sé il fardello del suo destino, ovvero accettando l’Es muss sein della vita, tramuta l’autocompassione in pulsione e desiderio. Ma non è solo un aspetto del suo essere, è il suo essere: ovvero un inseguimento continuo di quel “divieni ciò che sei” nell’attimo di possibilità, in cui ogni granello di polvere trova riscatto per l’eternità.

Endoxa FILOSOFIA LETTERATURA

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