IL GENOMA: CONOSCERLO O NON CONOSCERLO? QUESTO È IL PROBLEMA!

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MAURIZIO BALISTRERI

Lo sviluppo della tecnologia di genome editing CRISPR/Cas 9 ha catalizzato l’attenzione degli scienziati, degli esperti di bioetica e dei giuristi di tutto il mondo. Negli ultimi anni sono stati organizzati importanti convegni internazionali per promuovere una riflessione sulle più importanti implicazioni morali, sociali e giuridiche. Nei confronti delle tecniche di genome editing non sono state avanzate soltanto preoccupazioni relativamente alla loro sicurezza per la persona che verrà al mondo. È stato espresso anche il timore che gli interventi di modificazione del genoma potrebbero avviare un processo irreversibile di disumanizzazione della nostra specie, trasformando la nascita da evento naturale ed indisponibile a prodotto industriale. Più volte, poi, è stata richiamata l’attenzione sul fatto che queste procedure potrebbero ridurre il valore delle persone che presentano anomalie genetiche, che potrebbero apparire come soggetti la cui vita non è degna di essere vissuta. Altre questioni di giustizia sono state sollevate da coloro che temono che i costi delle tecniche di ingegneria genetica possano di fatto impedire l’accesso ai trattamenti terapeutici e/o preventivi alle popolazioni del pianeta meno avvantaggiate. Infine, è stato affermato che il progetto di modifica del codice genetico nasce dall’incapacità di aprirsi all’inaspettato e di apprezzare la vita come dono e che il problema dell’ingegneria genetica è che essa rappresenta “il trionfo unilaterale della volontà sui doni naturali, del dominio sulla riverenza, del modellare sul contemplare”. Tuttavia, con lo sviluppo delle tecniche di genome editing potremmo non soltanto selezionare, ma correggere e in prospettiva anche potenziare i geni di chi nascerà. Potremmo avere, in altri termini, una capacità senza precedenti di modellare il suo genoma: i benefici per le generazioni future potrebbero essere immensi e senza precedenti.

Se oggi comunque ragioniamo intorno alla possibilità di correggere e di modellare il nostro DNA è soltanto perché ormai abbiamo la mappa del genoma umano. Non sappiamo ancora se e quando le tecniche di genome editing diventeranno veramente sicure e potremo impiegarle con successo nella riproduzione. Ad ogni modo la mappatura del genoma umana con il relativo sequenziamento della catena ininterrotta di coppie nucleotidiche che lo compongono, ci permette di conoscere ogni giorno qualcosa di più sulla funzione dei geni. L’accesso al patrimonio genetico apre le porte a importanti applicazioni terapeutiche, ma – allo stesso tempo – solleva anche una serie di legittime preoccupazioni. Innanzi tutto, si pone una questione di equità con riferimento soprattutto all’uso dell’informazione genetica da parte, ad esempio, delle assicurazioni, dei datori di lavori, del sistema di giustizia criminale e del sistema educativo. Le informazioni genetiche, infatti, hanno una natura predittiva e di conseguenza potrebbero essere usate dalle assicurazioni oppure dai datori di lavori per selezionare il personale in base alle loro potenzialità o suscettibilità a particolari patologie. Ad esempio, le assicurazioni potrebbero scegliere di non assicurare quelle persone che, a causa di anomalie del loro patrimonio genetico, si ammaleranno o hanno più probabilità di ammalarsi o prevedere per loro un premio assicurativo più alto. A molte persone, una scelta di questo tipo potrebbe sembrare una forma inaccettabile di discriminazione, ma le assicurazioni potrebbero difendersi sostenendo che esse sono costrette a farlo perché devono difendersi dal rischio che le persone chiedano una polizza soltanto dopo aver fatto un test genetico privatamente. Anche chi cerca un lavoro, poi, potrebbe essere penalizzato per il suo genoma: è vero che le persone vengono già selezionate in base alle loro caratteristiche. Tuttavia, in questo caso anche una leggera suscettibilità genetica ad una malattia potrebbe essere sufficiente a mettere in cattiva luce il migliore curriculum e potrebbe compromettere le legittime aspirazioni professionali di una persona. Qualsiasi società – del resto – investe nella formazione del suo personale: perché, allora, dovrebbe assumere persone a rischio di ammalarsi o di morire prematuramente? La conoscenza del patrimonio genetico potrebbe poi diventare imprescindibile anche nella scelta del partner: che senso avrebbe, del resto, affidarsi al caso? Le persone, cioè, potrebbero selezionare il partner sulla base delle caratteristiche genetiche, scartare gli aspiranti che presentano certe anomalie ed avviare una relazione ‘seria’ soltanto con coloro che possono offrire le migliori garanzie. Per il momento la normativa internazionale vieta qualsiasi discriminazione in ragione del patrimonio genetico e non permette a terzi (assicurazioni, datori di lavori, ecc.) di eseguire o di richiedere test genetici di malattie genetiche che permettano di identificare il soggetto come portatore di un gene responsabile di una malattia e di rivelare una predisposizione o una suscettibilità genetica a una malattia, se non a fini medici o di ricerca medica, e sotto riserva di una consulenza genetica appropriata. È legittimo domandarsi, però, se nel prossimo futuro, con l’aumento del numero dei test predittivi in commercio e della loro affidabilità, le cose potrebbero cambiare. Saremo, cioè, ancora in grado di tutelare le informazioni genetiche personali o gli interessi economici prenderanno il sopravvento su altre considerazioni?

Inoltre, l’accesso all’informazione genetica potrebbe permettere l’identificazione di patologie trasmissibili ereditariamente o di mutazioni (o alterazioni) che sono causa certa di una patologia o che indicano una maggiore suscettibilità, per la quale al momento non esiste alcun trattamento medico disponibile. Anche se, infatti, l’obiettivo del progetto genoma è la prevenzione e la cura delle malattie, per il momento i maggiori benefici sono legati alla scoperta della malattia, spesso quando non si è ancora manifestata e non può nemmeno essere trattata. Per questa ragione – come ricorda Silvia Salardi – diventa importante fare chiarezza e informare le persone che ricorrono ai testi genetici dei meccanismi genetici e che i fattori di rischio non hanno un carattere deterministico ma probabilistico, in quanto l’aspetto ambientale è tanto importante quanto quello genetico. Dato poi che i risultati derivanti dai test genetici potrebbe avere delle conseguenze psicologiche importanti sulla persona direttamente interessata e anche modificare per sempre l’immagine di sé oppure la percezione da parte delle altre persone, la comunicazione degli esiti dev’essere accompagnata da un’adeguata consulenza.  Questo dovrebbe accadere sempre ma – avverte Salardi – la prassi è diversa. Insieme, poi, al diritto a sapere, dev’essere tutelato anche il diritto a non sapere: per alcune persone, infatti, è importante conoscere la propria condizione genetica perché questo permette loro di prepararsi ad affrontare l’eventuale malattia. Altre persone, invece, vedono le cose diversamente e preferiscono non essere informate per poter vivere il presente senza doversi preoccupare di quello che avverrà. Secondo alcuni in questo modo si rinuncia alla possibilità di fare scelte autonome: tuttavia, – scrive Matteo Galletti – anche la scelta di non sapere è autonoma, in quanto è in accordo con i valori del soggetto e la sua concezione della vita.

Fermo restando, poi, il diritto a non sapere, ci possono essere situazioni in cui una persona potrebbe avere bisogno delle informazioni genetiche del padre o della sorella o di un altro membro della sua famiglia per procedere ad una corretta analisi genetica ed ottenere, attraverso una comparazione dei dati, dei risultati molto più precisi. Il problema è che questa richiesta potrebbe comportare una violazione del ‘diritto al non sapere’ delle persone che potrebbero motivare il loro rifiuto con il bisogno di tutelare il proprio benessere psicologico, che sarebbe messo a rischio se, attraverso le analisi riguardanti un altro degli appartenenti alla famiglia si conoscessero – direttamente o indirettamente – condizioni che predicono rischi futuri. Tuttavia – secondo Stefano Rodotà –  un eventuale rifiuto di fornire le informazioni sarebbe in conflitto proprio con un interesse primario delle altre persone, in quanto l’impossibilità di ottenere questi dati può rendere impossibile la diagnosi di una malattia e pertanto risolversi in una violazione del loro diritto alla salute. Si tratta di scenari che sollevano nuovi interrogativi che aspettano una risposta: come è giusto risolvere questi conflitti? A chi appartengono le informazioni genetiche? Secondo Rodotà, almeno nel contesto genetico, non ha più senso pretendere una protezione incondizionata dalla privacy, in quanto l’informazione genetica si presenta ormai più come una proprietà comune che un patrimonio dell’individuo. La questione, comunque, non può essere risolta una volta per tutte, ma va decisa caso per caso valutando le ragioni presentate per conoscere le informazioni genetiche altrui e quindi bilanciando le pretese delle diverse parti coinvolte. Si tratta, ad esempio, di una mera curiosità sulle origini o la genealogia familiare? Oppure le informazioni hanno un grande valore ma possono essere comunque ottenute senza violare un eventuale diritto delle altre persone a non sapere?

Infine, per le persone che desiderano un figlio la possibilità di accedere alle informazioni genetiche del nascituro è sicuramente una risorsa, ma presenta anche dei costi, in quanto aumenta la loro responsabilità nei confronti della persona che nasce. Innanzi tutto, c’è il costo di ricorrere ai test genetici prima e dopo la fecondazione: prima della fecondazione le informazioni genetiche riguarderanno i gameti; dopo la fecondazione, invece, il patrimonio genetico dell’embrione prodotto. Inoltre, una volta avuto accesso alle informazioni genetiche del nascituro, i genitori dovranno valutare la sua condizione e decidere se portare avanti la gravidanza o interromperla. Per altro, a volte le informazioni genetiche possono consentire di escludere o di prevedere la comparsa di una certa malattia, ma la maggior parte delle volte indicheranno semplicemente una minore o maggiore suscettibilità a certe patologie. Nel caso, poi, che abbiano fatto ricorso ad interventi di fecondazione assistita e abbiamo ottenuto più embrioni sani, essi dovranno scegliere quale/i trasferire. Ci sono autori che difendono il diritto – ma non l’obbligo – di selezionare: “Queste concezioni – scrive Filippo Magni – negano il dovere di selezionare il bambino più avvantaggiato, sia perché credono che la riproduzione sia una questione privata, sia perché pensano che la morale dia ai genitori una completa libertà quando prendono decisioni procreative, permettendo loro di tendere a meno del meglio”. Altre autori, invece, ritengono che i genitori abbiano il dovere di scegliere chi far nascere. Ad esempio, Savulescu e Kahane sostengono che i genitori hanno l’obbligo morale ad avere, tra tutti figli ‘possibili’ che possono avere, il figlio geneticamente migliore: “Se le coppie (o i singoli riproduttori) – dicono Savulescu e Kahane – hanno deciso di avere un figlio e la selezione è possibile, allora hanno una ragione morale significativa per selezionare il figlio, dei possibili figli che potrebbero avere, la cui vita si può attendere, alla luce dell’informazione rilevante disponibile, essere migliore, o almeno non peggiore rispetto a quella degli altri” (principio della beneficenza procreativa). Tuttavia, una prospettiva etica di questo tipo sembra troppo esigente, in quanto pretende che le persone che vogliono un figlio rinuncino a qualsiasi loro interesse per impegnarsi solamente a massimizzare – attraverso i figli – la felicità del mondo. I genitori hanno delle responsabilità nei confronti delle persone che mettono al mondo – nessuno intende negarlo – e hanno il dovere di prendersi cura del loro benessere: ma questo non significa che i loro interessi non abbiano valore o contino meno. I genitori devono trovare il modo i bilanciare i propri interessi con quelli dei figli, posso però andare avanti soltanto per tentativi e provando a volte soluzioni originali: sarebbe bello che ci fosse un libretto di istruzioni, che fosse possibile applicare una formula o che bastasse fare un calcolo, ma la vita morale è un’altra cosa.

BIOTECNOLOGIE Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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