IL VIAGGIO DELLA MORFOLOGIA
ENZA MARIA MACALUSO
La morfologia si presenta al dibattito interdisciplinare nella sua veste di scienza della forma intorno agli anni trenta del Novecento, in concomitanza all’attività del medico-filosofo tedesco Viktor von Weizsäcker e alla sua riflessione teorica. Egli dedica i suoi primi studi alla fisiologia della percezione e ne delinea una vera e propria fenomenologia che respinge una concezione passiva e puramente ricettiva del plesso sensazione-percezione per insistere sul ruolo attivo del movimento nella strutturazione dell’attività percettiva. Nasce così, con una direzione trasversale, a partire dai suoi interessi per la fisica, la biologia, l’antropologia, e con una spiccata predisposizione filosofica, la teoria weizsäckeriana del Gestaltkreis (circolo della forma), condensata nell’opera Der Gestaltkreis del 1940.
La correlazione tra percezione e movimento, punto di partenza degli sviluppi teorici della morfologia novecentesca, apre la strada ad una scienza della vita che non si pone in contraddizione con il mondo intuitivo e con la verità dei sensi così come essa si delinea nel suo carattere esperienziale, ma che anzi considera la contraddizione e la riformulazione del dato esperienziale come espressione di un’ulteriore possibilità nella relazione con il mondo esterno. La chiave di volta dello stile morfologico degli studi sulla natura consente di riconoscere per mezzo dell’approccio della teoria della percezione una speciale legalità dei fenomeni colti nel loro sviluppo ed esclude per la scienza il compito, fino ad allora rivestito, di comprendere la totalità delle cose nella loro compiutezza. Ogni ricerca rappresenta il tentativo di un avvicinamento progressivo ad una verità che si dà solo parzialmente e come verità condizionata, in quanto legata al dominio della sensibilità e, quindi, della soggettività.
Weizsäcker si domanda se il mondo non sia come noi lo vediamo. A questa domanda risponde superando la tesi tradizionale a sostegno del carattere ingannevole dei sensi, dal momento che “ciascuno a suo modo ha ragione, perché vede delle cose qualcosa di giusto, sebbene non veda mai tutto”. Viene in tal modo esposto un concetto di realtà che muta e che abbandona una visione unica ed unilaterale e, con essa, la possibilità di accedervi mediante un’unica forma di conoscenza oggettiva. Inoltre, la morfologia ai suoi albori anticipa anche la necessita di una ristrutturazione del quadro generale delle scienze tradizionali e dei rapporti tra di esse.
Il Gestaltkreis, inteso come circolo di percezione e movimento che presiede ad ogni approccio al reale, nasce da una riflessione che procede tra fisica e antropologia con acutissime intuizioni filosofiche, rivolgendosi alla totalità dell’essere umano inscritto in una fitta e complessa rete di comunicazioni tra il suo mondo interno e il suo ambiente, di cui è il solo ad averne consapevolezza. Potremmo definire Weizsäcker come il pensatore delle relazioni che nel considerare l’uomo nella sua unità diveniente abbatte la tradizionale divisione tra mente e corpo e stabilisce il cosiddetto “postulato di unità originaria” secondo cui per vivente si intende ogni organismo dotato di spontaneità e automovimento in grado di farlo muovere all’interno del proprio mondo e di farlo interagire con esso. All’interno della relazione il soggetto si muove percependo il mondo, allo stesso tempo, però, è la percezione del mondo circostante a determinare in qualche modo l’automovimento del soggetto: l’uomo è un essere il cui movimento è contemporaneamente causa ed effetto del mondo che lo circonda. A partire da questa assunzione è possibile riconoscere l’unità originaria di cui abbiamo parlato poiché la vita non si presenta mai per mezzo di momenti che si alternano ed escludono l’un l’altro.
Quel che sembrerebbe susseguirsi nella percezione in una successione lineare, appare piuttosto assumere l’aspetto di un unico processo che si racchiude in circolo, nonostante al suo interno si possano distinguere due diversi momenti, quello percettivo e quello dell’azione sul mondo percepito. L’esempio proposto da Weizsäcker è quello della coppia danzante in cui ciascun danzatore non può considerarsi libero dal movimento dell’altro, in maniera tale che la forma del movimento finale sia il risultato di un’originaria e continua circolarità tra i movimenti individuali implicati. Movimento e percezione sono i concetti basilari a partire dai quali è possibile comprendere la specificità dell’essere vivente inteso come atto biologico. Tentare di interrompere la loro circolarità – questo Gestaltktreis – interromperebbe allo stesso tempo la possibilità di una reale comprensione del vivente.
L’unità di percezione e movimento si esplica nella forma dell’atto biologico, il quale “può essere inteso anche come il ripristino o una nuova costituzione di un ordine disturbato”. Ciò vuol dire che il vivente nella sua unità in atto persegue un principio di coerenza attraverso un lungo e faticoso processo di accomodamento tra il proprio stato ed il mondo esterno. Potremmo ben dire che l’atto biologico costituisce il tentativo di mantenere una situazione di equilibrio tra il vivente ed il proprio ambiente in presenza di un mutamento che può essere ambientale o soggettivo.
Costitutive dell’atto biologico sono la coerenza e la stabilità della relazione ambientale quanto la crisi che la interrompe. Vi sono momenti in cui, in concomitanza con eventi del tutto nuovi che irrompono con la loro impetuosità, l’equilibrio sino a quel momento stabilito si interrompe ed il flusso della vita richiede un nuovo adattamento e un nuovo approccio alla realtà. Pertanto, l’atto biologico non è un’identità ontologica stabile, bensì un’unità diveniente che viene costantemente messa a repentaglio per poi ricostituirsi all’interno di quella struttura circolare che abbiamo definito Gestaltkreis. In quest’ultima, percezione e movimento, inoltre, sono intricati in maniera tale da essere nascosti l’uno all’altro in un’opacità reciproca che li rende intercambiabili, così come intercambiabili sono la componente oggettiva e soggettiva del processo. Ogni atto si stabilisce al contempo come soggettivo-oggettivo e oggettivo-soggettivo e ogni percezione mette in atto un duplice distoglimento dello sguardo: da un lato occorre distogliere l’attenzione dall’automovimento soggettivo che rende possibile la continuità della percezione, dall’altro occorre distogliere lo sguardo dall’oggetto medesimo per percepirne appieno la trasformazione (si pensi ad esempio al caso di un uccello in volo che per essere visto in movimento non può essere isolato dall’ambiente in cui si situa). Questo principio viene definito da Weizsäcker come il “principio della porta girevole” per sottolineare il reciproco occultamento dei due momenti. Di fatto, quando si attraversa una porta girevole non si possono allo stesso tempo percepire l’interno e l’esterno della stanza poiché una visione esclude l’altra sebbene entrambe debbano necessariamente coesistere.
Il carattere costitutivamente dinamico dell’atto biologico è intimamente connesso con l’aspetto esistenziale della vita dell’uomo e con l’esigenza di una strutturalità aperta, nella quale l’instabilità è anche necessità e salvezza, poiché consente quel movimento coessenziale alla vita stessa. In questa realtà asistematica e perennemente al suo stato nascente le funzioni dell’atto biologico non possono essere comprese mediante una logica ferrea e intransigente che procede sulla base del principio di non contraddizione, ma solo attraverso una dialettica che sia propria della biologia, cioè aderente al vivente e alla sua struttura mutevole e contraddittoria e mai completamente traducibile in un sistema logico. Weizsäcker parla di una logica del reale che si pone come antilogica del vivente e che consiste nella “gioiosa libertà della vita di utilizzare la ragione solo nella misura in cui è razionale farlo, e per il resto gettarla dalla finestra”. In tal modo, uno dei grandi temi della biologia teoretica, quello dell’inserimento del soggetto nella scienza, raggiunge nella riflessione weizsäckeriana i suoi risultati più elevati innestando la componente umana nel discorso filosofico sulla natura per mezzo di una vera e propria svolta antropologica che ricalibra il rapporto tra l’osservatore e l’oggetto osservato.
Come viene bene messo in evidenza nel saggio del 1942 su Forma e Tempo, “non possiamo formulare tutto ciò senza chiamare in aiuto il tempo; detto altrimenti: per impadronirmi della molteplicità del Gestaltkreis devo mantenermi nel tempo”. Il senso del mantenersi nel tempo scardina la nozione classica del tempo padroneggiata dalla fisica, che lo considera lineare ed omogeneo, costituito da istanti successivi posti in continuità tra loro, e abbraccia l’intreccio dei vissuti esperienziali del tempo vissuto e soggettivo. La realtà delle forme viene in tal modo posta su un piano che continuamente scivola, scappa di mano, fluisce, e la possibilità di cogliere le “vacillanti forme” risiede esclusivamente nella relazionalità intrinseca a quel processo avente forma che è l’atto biologico. Pertanto, la forma è “ciò che è divenuto costante; ma proprio ciò è quel che si dimostra di nuovo come ciò che fluisce”.
Dal punto di vista della temporalità biologica, condizione di tale processo di formazione non è una successione temporale, ma la coincidenza nel singolo attimo che di volta in volta viene preso in considerazione. Il tempo biologico può dunque stupirci e mostrarci la sua paradossalità dinnanzi alla logica della causalità che, in tal modo, viene completamente messa a repentaglio. Questo accade, ad esempio, quando in un processo di sviluppo l’accadere biologico, in virtù dell’indeterminatezza del futuro, non corrisponde all’aspettativa e si rivela come sorprendente. Il dualismo tra determinatezza e sviluppo, sebbene una loro distinzione sia inevitabile, risulta insoddisfacente per quel che concerne un discorso sul vivente.
Weizsäcker afferma che “la vita non è un orologio, ma ritmo”. Questa espressione è molto significativa e sembra suggerire che ogni atto biologico non semplicemente si svolge nel tempo, ma piuttosto lo determina ritmicamente. La vita vissuta ha un proprio tempo, una propria configurazione ritmica, che può solamente accordarsi a quella altrui, senza mai totalmente uniformarsi ad essa. Si pone a questo punto un problema relativo alla questione della misurazione del tempo in riferimento ai fenomeni dell’esperienza vissuta, poiché se la vita è ritmo, allora sarà la forma delle singole prestazioni umane a determinare il tempo e non viceversa. Weizsäcker chiama questo principio “legge della costanza del tempo figurale” ed è a partire da quest’ultimo che possiamo osservare come, ad esempio, tracciando in aria un cerchio con il dito la velocità lineare del movimento sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà questo cerchio rispetto ad uno più piccolo. Stessa cosa si verifica quando mentre stiamo scrivendo un rallentamento dei movimenti produce una “scrittura in bella”, mentre una loro velocizzazione rende la scrittura più simile ad uno scarabocchio. Questa è una legge di formazione specificamente organica e non ha alcuna corrispondenza nelle leggi della fisica, poiché il movimento puramente meccanico non prevede questa dipendenza reciproca tra la figura e la velocità.
Su questo tema si potrebbe concludere che “la vita non è nel tempo, ma il tempo è nella vita, o più esattamente diviene attraverso la sua autoposizione”. In questo tempo manchevole del carattere di omogeneità si dà un vero e proprio indeterminismo pratico per cui l’indeterminatezza del futuro si contrappone alla determinatezza del passato. Per meglio farci intendere in che modo la componente di indeterminatezza possa considerarsi come condizione sine qua non dell’esperienza, Weizsäcker si serve di un esempio semplice ed efficace, quello di una partita a scacchi. Quest’ultima si realizza solo a condizione che non si conosca la mossa successiva dell’avversario, pertanto l’indeterminatezza della prossima mossa è la condizione reale della partita. D’altro canto il gioco è realizzabile solo all’interno di una precisa realtà entro cui potersi svolgere, una realtà legata essenzialmente alle regole del gioco e alla libertà delle mosse.
Come nel gioco, così nella vita, l’indeterminatezza, che è precisamente “indeterminatezza conforme a legge”, si rivela condizione necessaria per la determinabilità del futuro. In questo processo di sviluppo risulta altresì impensabile prevedere lo schema di tale divenire con soddisfacente sicurezza, dal momento che l’unità diveniente presa in considerazione non è ancora divenuta e, di contro, è possibile conoscerne la composizione solo a partire da una effettiva realizzazione: “la vita è là dove, in ogni momento, un indeterminato diviene invariabile”.
Quello messo a punto dalla morfologia di derivazione goethiano-weizsäckeriana è un modello di comprensione dei fenomeni colti nel loro specifico sviluppo che riguarda tutti gli esseri viventi, compreso l’uomo. A ben vedere, almeno in origine, lo sguardo morfologico sui fenomeni ritiene di potersi estendere – parafrasando Goethe – dal primo elemento chimico-fisico fino alle varie espressioni spirituali degli uomini. Nel concetto generale di forma, pertanto, sono comprese tanto le forme viventi in senso stretto, quanto le forme che potremmo definire “forme dello spirito”, cioè forme culturali, come la poesia, l’arte o la letteratura.
In seguito, soprattutto nel corso della seconda metà del Novecento, la morfologia non ha saputo mantenere la sua promessa interdisciplinare e la sua vicenda teorica è andata incontro ad una progressiva settorializzazione che ne ha determinato anche lo smarrimento. Nell’ultimo ventennio, la morfologia risulta quasi esclusivamente ascrivibile all’ambito della biologia evoluzionistica dello sviluppo, anche nota come Evo-devo, dove ha prodotto dei risultati notevoli e fortemente innovativi. Tuttavia, di recente si sta registrando un cambiamento di prospettiva nel dibattito morfologico contemporaneo e un effettivo riassestamento della scienza della forma. Nel recupero della sua matrice organicista e della sua estensione interdisciplinare, la morfologia si presenta oggi, ai nostri occhi, come una disciplina tanto antica quanto nuova, la quale nel presente riformula i suoi obiettivi di ricerca per mezzo del connubio dei concetti di forma e immagine. In tal senso, il compito della morfologia di condurre un viaggio tra le “infinite forme bellissime” – espressione utilizzata da Charles Darwin per descrivere la varietà dei viventi – riguarda parimenti le forme strettamente biologiche e non.
L’apertura della contemporanea morfologia ad altri ambiti di ricerca come la filosofia, l’estetica e i visual studies, avanza una proposta programmatica verso una nuova morfologia che considera l’esperienza estetica con l’immagine come l’esperienza con qualcosa che non è dato, ma prende forma e si trasforma in maniera analoga a quanto accade con le forme viventi. Il fenomeno dell’immagine viene dunque concepito a partire dal fatto che l’oggetto della visione necessita di essere costantemente rimesso in discussione e riconsiderato dalla prospettiva in cui si realizza come cosa vissuta. Ciò è possibile solo in considerazione dell’effettiva transitorietà tra i due concetti e tra “le due culture”, quella scientifica e quella umanistica, come già auspicato da Charles Percy Snow.
Data la sempre crescente complessità del mondo contemporaneo e la varietà di immagini e informazioni a cui siamo costantemente sovraesposti, non dovremmo forse considerare il compito della morfologia come assolto solo parzialmente e, più verosimilmente, ancora in fase di realizzazione?
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Endoxa settembre 2021 Enza Maria Macaluso Metamorfosi