PRIVACY, LIBERTÀ E SORVEGLIANZA TOTALE

4638981545_f0578a16feSTEFAN LORENZ SORGNER

L’obiettivo principale di queste riflessioni è mostrare che la privacy, la sorveglianza totale e la tutela degli spazi di autonomia personale dall’ingerenza di terzi (libertà negativa) sono oggi le questioni più urgenti sollevate dalla digitalizzazione. A differenza di Musk e di alcuni dei suoi amici che ritengono che l’intelligenza artificiale (IA) sia la minaccia più importante per l’umanità, considero questa preoccupazione soltanto un tentativo di intrattenerci con riflessioni filosofiche affascinanti che distraggono dalle questioni morali più concrete. In un mondo che diventa sempre più digitalizzato, e all’orizzonte si prospetta la possibilità di città intelligenti ed essere umani sempre più ‘aggiornati’, noi dovremmo chiederci come possiamo continuare a difendere e promuovere quello spazio meraviglioso rappresentato dalle nostre libertà negative. Nel recente articolo Il mondo dopo il coronavirus, Harari afferma: “Chiedere alle persone di scegliere tra privacy e salute è, infatti, la radice stessa del problema. Perché questa è una falsa scelta. Possiamo e dobbiamo godere sia della privacy che della salute. Possiamo scegliere di proteggere la nostra salute e fermare l’epidemia di coronavirus non istituendo regimi di sorveglianza totalitari, ma piuttosto dando potere ai cittadini” (https://www.ft.com/content/19d90308-6858-11ea-a3c9-1fe6fedcca75 (5.4.2020)). Ma Harari si sbaglia. Per promuovere efficacemente la salute sono necessarie grandi quantità di dati. Più dati possiamo utilizzare, più affidabili sono le correlazioni risultanti tra salute e comportamento, geni e influenze esterne. Tali dati sono necessari anche per l’innovazione, la ricerca scientifica e l’elaborazione delle politiche. Tutte queste procedure sono di importanza centrale per un paese. Sono necessarie grandi quantità di dati per la prosperità economica, sanitaria e sociale di un paese. Tuttavia, è necessario garantire che i dati siano utilizzati in modo democratico. Al momento una struttura di questo tipo non esiste ancora. Negli Stati Uniti i dati vengono raccolti principalmente dalle grandi aziende. Questo li trasforma in attori quasi politici, il che ha il potenziale per minare le fondamenta delle società democratiche libere. In Cina i dati sono raccolti dal governo che segue valori e norme inconciliabili con le conquiste dell’Illuminismo. Le strutture attualmente prevalenti in Europa minano i nostri interessi più forti. Qui il focus è sulla protezione dei dati. Questo impedisce in pratica di realizzare un’ampia raccolta di dati digitali anche a livello politico, con il risultato che stiamo perdendo l’opportunità di utilizzare questi dati a vantaggio degli interessi della democrazia e per promuovere la nostra salute.

La raccolta di dati è particolarmente importante quando si tratta di questioni che riguardano la salute. Se dobbiamo scegliere tra salute e privacy, dovremmo scegliere la salute, perché la maggior parte dei cittadini identifica una maggiore durata di una condizione di salute con una migliore qualità della vita. L’idea di rinunciare alla privacy non dovrebbe renderci tristi. Non amiamo la privacy, amiamo la libertà. Possiamo avere salute e libertà, ma non salute e privacy. Perché pensiamo di aver bisogno della privacy? Ci sono due teorie principali che cercano di spiegarlo, la teoria della proprietà e la teoria della sanzione, e non si escludono a vicenda.

Secondo la teoria della proprietà, i dati sono la nostra proprietà intellettuale e quindi un’estensione di noi stessi. Questo significa che la sottrazione dei nostri dati da parte del governo –  o di chiunque altro – equivarrebbe ad una espropriazione. Ma è proprio così? Se i dati sono di nostra proprietà che possiamo scambiare con altri beni a nostro vantaggio, come ad esempio la nostra assicurazione sanitaria, allora non si tratterebbe di un’espropriazione. Avere un’assicurazione sanitaria universale è un risultato estremamente importante, ma mantenere in vita il sistema richiede enormi afflussi finanziari. L’utilizzo dei nostri dati per compensare parzialmente questo servizio è nell’interesse della società.

Inoltre, la teoria della sanzione afferma che abbiamo bisogno della privacy perché temiamo che i dati raccolti, archiviati da un governo possano essere usati contro di noi. Temiamo sanzioni. Tuttavia, le sanzioni sono necessarie. Se un assassino di un bambino innocente viene catturato e sanzionato, questo è giusto e ampiamente accettato dalla società. Semplicemente non desideriamo essere sanzionati per atti che non dovrebbero essere sanzionati, né moralmente, né istituzionalmente, né legalmente. Questa è la questione cruciale. Il timore di tali sanzioni è anche il motivo per cui temiamo che i nostri dati personali vengano archiviati in un unico luogo. Ma come si possono dissipare queste paure? Innanzitutto, dobbiamo ridurre la possibilità di accesso ai dati da parte degli esseri umani, perché il rischio di abusi è troppo alto. I dati dovrebbero essere concessi principalmente agli algoritmi. Solo in circostanze specifiche gli esseri umani dovrebbero avere il diritto di accedere ai dati. Si tratta di una sfida significativa che deve essere costantemente affrontata. In secondo luogo, dobbiamo diventare molto più aperti al pluralismo. Dovrebbero essere puniti solo gli atti in cui viene fatto un danno diretto a un’altra persona. Ad oggi questo è lontano dall’essere il caso in molte parti del mondo, anche nelle democrazie più sviluppate, come la Germania, dove, ad esempio, l’incesto tra gli adulti consenzienti è proibito. Si tratta di un contratto che riguarda due o più adulti consenzienti che scelgono di fare sesso insieme. Il governo non dovrebbe avere il diritto di avere voce in capitolo in quest’ambito. Se le conseguenze di un atto fossero moralmente rilevanti, allora un governo potrebbe costringere una coppia a sottoporsi a test genetici prima di sposarsi, come avviene ad esempio in Arabia Saudita. In questo caso, si potrebbe anche vietare a due persone geneticamente sorde di avere figli insieme. Ciò rappresenta un pericolo per il diritto alla libertà riproduttiva, che è un aspetto della libertà negativa. Quando due o più adulti fanno sesso l’unica cosa importante dovrebbe essere se hanno acconsentito a farlo liberamente. Se hanno accettato di farlo liberamente, il governo non dovrebbe intervenire, come avviene in Spagna (in Spagna l’incesto tra adulti consenzienti è legale). Terzo, dovremmo promuovere l’e-governance per rendere più trasparenti i processi decisionali relativi ai nostri dati. C’è molto di più da dire su questo tema, dalla necessità di creare un’infrastruttura veloce e ben funzionante alla necessità di realizzare algoritmi affidabili per ridurre la necessità dell’intervento umano. Tuttavia, questo compito esula dallo scopo del presente contributo.

Non è necessario che la sorveglianza totale porti alla libertà, ma la sorveglianza totale può essere nel nostro interesse nelle circostanze che ho appena menzionato. La sorveglianza totale non deve essere un esproprio, ma potrebbe essere il nostro pagamento per qualcosa che la maggioranza delle persone considera un importante ingrediente della qualità della vita, cioè la nostra salute. Paghiamo con i nostri dati la nostra assicurazione sanitaria universale. Comunque la sorveglianza totale non deve portare a sanzioni illegittime. Per ridurre il rischio che ciò accada, i nostri dati personalizzati dovrebbero essere archiviati in modo sicuro e essere accessibili principalmente tramite algoritmi. Infine, dovremmo promuovere molto di più il pluralismo. Ogni persona dovrebbe avere il diritto di vivere in accordo con i propri bisogni e desideri idiosincratici. Per chiarire i limiti della libertà individuale, è importante specificare che cosa costituisce un danno: la mia libertà finisce dove inizia la libertà di un’altra persona.

Se seguiamo quest’impostazione e la implementiamo legalmente, possiamo ottenere un uso democratico dei dati. A tal fine, è necessario riconsiderare l’importanza sia dei dati che della raccolta dei dati digitali, in quanto dobbiamo fare una scelta tra salute e privacy. E in questo caso dovremmo scegliere la libertà.

I critici di questo approccio ritengono che la sorveglianza – e qualsiasi raccolta di dati digitali sul coronavirus attraverso un’applicazione – dovrebbe essere una questione di scelta. Tuttavia, l’implementazione realistica di una soluzione di questo tipo – su base volontaria (opt-in) – ha diversi aspetti problematici. Devi avere un pubblico illuminato ed un’enorme quantità di persone che sono disposte e pronte a partecipare. In particolare nei paesi con una lunga tradizione liberale, questa è una sfida enorme. Ci sono molte ragioni per cui le persone potrebbero decidere di non aderire: mancanza di consapevolezza di essere positivi al coronavirus, esclusione digitale, mancanza di comprensione, mancanza di fiducia, paura delle sanzioni, pigrizia, piacere di essere un free rider, mancanza di cure, assenza di una forte motivazione individuale. (Inoltre, la disponibilità di tale app potrebbe addirittura peggiorare la situazione, poiché trasmette una falsa sensazione di sicurezza ed  aumentare la probabilità che le persone prendano meno misure precauzionali). La questione centrale è che abbiamo già prove empiriche evidenti che molte persone possono non avere interesse a partecipare a soluzioni opt-in, anche in quelle situazioni in cui non hanno difficoltà a considerare l’atto specifico come moralmente giusto. Il caso di registrarsi come donatore di organi è strutturalmente analogo a quello di aderire a un app che permette di tracciare i casi di coronavirus. In diversi paesi con un’opzione opt-in per le donazioni di organi (in cui cioè le persone possono scegliere se donare oppure no i propri organi), donare i propri organi è considerata la cosa moralmente giusta da fare, ad esempio in Germania. Tuttavia, anche se c’è un’enorme carenza di organi, la maggior parte delle persone non si registra come donatrice di organi. Invece nei paesi con un’opzione opt-out – in cui cioè l’opzione predefinita è la donazione di organi (ad es. in Austria), quasi nessuno decide di rinunciare e la donazione di organi è considerato un atto eticamente banale. In teoria, sembra giusto che un’app preveda l’opzione opt-in, ma il cittadino attivo altruista illuminato che è digitalmente alfabetizzato e disposto ad aderire attivamente a un tale sistema non lo troviamo facilmente nella vita reale. Registrarsi ad un’app per il tracciamento dei contatti per il coronavirus è analogo al registrarsi come donatore di organi, per cui possiamo aspettarci reazioni pubbliche analoghe.

Inoltre, non sono necessarie molte persone per mettere in crisi il sistema delle registrazioni opt-in e causare un’enorme quantità di nuove infezioni. Hai bisogno soltanto di un paio di persone asintomatiche e capaci di infettare molti soggetti (cioè, super-diffusori) che non aderiscono, per avere molti più casi in una società, ad es. un barista, un membro attivo in una comunità religiosa, un operatore sanitario.

Inoltre, l’approccio che ho suggerito ha l’ulteriore vantaggio che i dati digitali vengono utilizzati anche per pagare, almeno in parte, il sistema sanitario universale, il che è un risultato enorme. Prende sul serio l’importanza della raccolta dati per le innovazioni, la ricerca scientifica e l’elaborazione delle politiche. È nell’interesse delle persone e di un governo essere in grado di raccogliere e utilizzare i dati digitali. Per garantire che un’enorme pluralità di stili di vita diversi possa essere abbracciata in una società in cui è disponibile un sistema sanitario universale altamente efficiente, abbiamo bisogno di un uso democratico dei nostri dati digitali. Questo approccio sembra un passo iniziale promettente per lo sviluppo di strutture sociali, legali e politiche appropriate per realizzare un corretto utilizzo democratico dei nostri dati digitali.

 

 

Immagine
“Facebook: The privacy saga continues” by opensourceway is licensed under CC BY-SA 2.0

 

 

 

 

 

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