PRENDITI UNA PASTICCA, SENTI A ME! MA SCEGLI QUELLA INTELLIGENTE!

4813687658_bbfc03278a_bMAURIZIO BALISTRERI

Sembra che siamo ormai pronti ad una nuova era della medicina: non pensate subito agli interventi sul patrimonio genetico o ai robot che si prendono cura delle persone fragili. Le vecchie medicine, quelle che usiamo abitualmente quando stiamo male, stanno diventando intelligenti perché è sufficiente inserire nella loro composizione piccolissimi dispositivi ed esse saranno presto capaci non soltanto di curare (o prevenire un problema), ma anche di raccogliere e trasmettere una valanga di informazioni. Sembra che sarà sufficiente scaricare una app ed il gioco è fatto: potremo seguire il percorso del farmaco e sapere in tempo reale quello che sta combinando. A quel punto potremo controllare anche la temperatura e la pressione e in prospettova, almeno così sembra, anche avere qualche suggerimento su cosa portare a tavola per integrare eventuali carenze o per migliorare l’efficacia della terapia. Chi deve prendere una pasticca più volte al giorno prima o poi si pone questa domanda: “ma questa mattina (o questa sera, dipende dai casi) la pillolina l’ho presa?”. Si tratta di un problema ampiamente noto ed esistono in commercio (chi volesse può trovarli anche su Amazon) molti dispositivi che possono aiutare a risolverlo. Si va dal distributore di pillole automatico che ricorda agli utenti di assumere i farmaci agli orari prestabili attivando luci rosse e segnali acustici (che continuano a suonare fino a quando il dispositivo viene inclinato per rilasciare le pillole) all’organizer giornaliero che si può riempire facilmente e che va bene per pillole di tutte le dimensioni e che rende più facile pianificare l’assunzione del medicinale. La descrizione del prodotto parla chiaro: puoi mettere in borsa o nella tasca lo scomparto della giornata e non ti dimenticherai mai più di assumere le tue pillole! Vuoi mettere però con una pillola intelligente che ti permette di sapere immediatamente se l’hai presa attraverso un’occhiata veloce allo schermo del tuo cellulare? Ma che dico? Domani non ci sarà bisogno nemmeno di consultare l’app, perché potremo rivolgerci a Google Home o Alexa e ricevere la risposta che aspettiamo. Inoltre, nessun dispositivo o organizer oggi in commercio permette di seguire la terapia farmacologica ed avere aggiornamenti sul trattamento in tempo reale: con una pillola intelligente, invece, potremmo sapere subito se la pressione si è abbassata, se il livello glicemico è tornato alla normalità, se l’emorragia si sta ritirando. Se, poi, qualcosa va storto e la pillola che abbiamo assunto ha effetti collaterali (secondo uno studio di alcuni anni fa, non si tratterebbe di un evento remoto perché ogni anno in Italia a causa di reazioni avverse ai farmaci morirebbero circa 40.000 persone e un numero molto più alto di persone sarebbe costretta al ricovero, con un costo per la collettività che si aggirerebbe intorno ai 10 miliardi), i suoi sensori potrebbero consigliarci di andare subito al pronto soccorso più vicino oppure mettersi in contatto con l’ospedale e sollecitare subito l’intervento di un medico. A quel punto potremmo sentir bussare alla porta e trovare un operatore sanitario che ci invita a mantenere la calma perché stiamo per avere uno shock anafilattico. Davanti a questi scenari che sembrano cambiare per sempre il volto della medicina, è difficile non vedere un segno delle ‘magnifiche sorti e progressive’ dell’umanità. Non c’è alcuna ragione di avanzare il sospetto che le Big Pharma – le case farmaceutiche che hanno fatturati di miliardi e che operano nella produzione, commercializzazione e distribuzione di farmaci in tutto il mondo – abbiano puntato su queste nuove tecnologie soltanto per continuare a fare soldi con i vecchi medicinali. È vero, infatti, una casa farmaceutica può avere interesse ad aggiornare un vecchio farmaco oppure a renderlo intelligente, in quanto un farmaco smart può essere considerato equivalente ad un nuovo prodotto e dà diritto ad un altro brevetto. Si deve, però, fare molta attenzione a non semplificare troppo le cose, in quanto – e questo vale sia che si tratti di una persona oppure di una società commerciale – le motivazioni alla base di una scelta possono essere sempre molteplici. Il fatto, poi, che le società farmaceutiche scelgano con attenzione i loro investimenti e cerchino soluzioni vantaggiose non soltanto non dovrebbe sorprenderci – non viviamo in società ad economia capitalistica, altamente competitive? – ma potrebbe essere una ‘qualità’ moralmente approvabile ed ammirevole. In fondo, la vita di tantissime famiglie dipende dalla capacità di chi amministra una società di mantenere la sua competitività sul mercato e non disperdere la posizione di vantaggio raggiunta nel tempo a causa di scelte poco responsabili. Anche ammesso, poi, (ma senza con questo essere disposti a concederlo) che le società farmaceutiche siano mosse soltanto dalla ricerca del profitto, non avremmo ancora una ragione per diffidare della sicurezza dei loro medicinali. Gli interessi economici di una società non sono necessariamente incompatibili con quelli della società: al contrario, i padri del pensiero liberale affermano che il profitto economico stimola la creatività e l’impegno e di conseguenza è capace di produrre a lungo termine risultati che altrimenti non sarebbe facile raggiungere. A chi la pensa diversamente si potrebbe rispondere che, almeno in occidente, esistono organismi di controllo e sorveglianza dei medicinali immessi in commercio che sono più che sufficienti a tutelare la salute ed il benessere dei cittadini. Questo non significa che non possiamo comprendere la preoccupazione di chi sente parlare per la prima volta di pillole in grado di trasmettere – attraverso sensori –  informazioni in tempo reale a qualsiasi dispositivo elettronico mobile di comunicazione. Teniamo conto, però, che stiamo parlando di sensori – inseriti nei farmaci – prodotti con materiali biocompatibili, biodegradabili o, alla fine, espulsi dall’organismo. Il rischio maggiore per le persone è legato alla possibile violazione della privacy, in quanto a differenza delle informazioni raccolte su carta, i contenuti digitali – come sappiamo – sono facilmente accessibili e possono essere riprodotti all’infinito. La possibilità, comunque, di essere danneggiati da un eventuale violazione della privacy dipenderà dal tipo di informazioni personali pubblicate o condivise. Non possiamo escludere che in questi casi qualcuno possa sentirsi imbarazzato o comunque in difficoltà all’idea che altre persone abbiano accesso con facilità ad informazioni personali sulla propria condizione di salute o sui propri problemi. In altri casi, poi, la pubblicazione di queste informazioni – soprattutto se permettono di risalire a particolari malattie o stili di vita socialmente non accettati – potrebbe esporre le persone al rischio di discriminazione da parte della propria comunità. Tuttavia, è giusto considerare non soltanto i rischi ma anche i possibili benefici in quanto, in molti casi, i vantaggi potrebbero compensare ampiamenti i rischi. Sembra giusto che siano le persone stesse a valutare e decidere in piena autonomia se i benefici in gioco giustificano il rischio di essere vittime di un cyberattacco. Non è per niente semplice, però, – almeno in una società liberal democratica – evitare che le pillole intelligenti diventino l’unico trattamento disponibile. Dovremmo riuscire a guardare le cose in prospettiva, provando ad immaginare la società che nascerà dallo sviluppo scientifico e tecnologico dei prossimi anni. Cosa dovremmo fare? Dovremmo forse costringere le industrie farmaceutiche a produrre versioni diverse di una stessa pasticca solamente per preservare o promuovere la pluralità di posizioni e di preferenze presenti all’interno della nostra società? Si tratterebbe di un’ingerenza nella libertà d’impresa che non potrebbe essere giustificata con la necessità di prevenire un danno nei confronti di altre persone. Inoltre, anche ammesso che fosse possibile garantire l’acquisto o, comunque, il ricorso a versioni diverse – più o meno tecnologiche – dello stesso medicinale, la libertà di scelta delle persone potrebbe essere tutelata soltanto calmierando i prezzi, cioè imponendo per legge un tetto massimo al costo di questi medicinali. Nel caso, poi, che il trattamento sanitario fosse coperto dal servizio sanitario pubblico, è giusto che il paziente scelga di curarsi con la pillola intelligente perché così potrebbe condividere – in maniera anonima – i dati relativi al suo funzionamento (ed eventualmente relativi alla propria salute) con la propria comunità. Ha ragione Glenn Cohen, tra il pagare le tasse e condividere i dati non c’è differenza: se, cioè, è giusto obbligare il singolo cittadino a pagare le tasse, allora perché non dovremmo obbligarlo a condividere i propri dati relativi alla sua salute? In entrambi i casi, si presta un servizio (che promuove il benessere della comunità) che ha un ritorno importante, in termini di benefici, anche per chi contribuisce. L’importante è che dai dati non sia possibile risalire all’identità della persona, perché altrimenti il soggetto diventa vulnerabile allo sguardo delle altre persone. È legittimo chiedersi, infine, se il servizio sanitario nazionale o le assicurazioni private (ma si potrebbe pensare anche un tribunale) abbiano il diritto di imporre una cura con medicinali intelligenti per controllare la compliance di una persona, ovverosia la sua capacità di curarsi secondo la prescrizione del proprio medico. Il rischio che alcuni paventano è che questi dispositivi digitali possano permettere – e forse alla lunga incoraggiare – forme di controllo e sorveglianza sui cittadini che non hanno precedenti e che per ovvie ragione fino a ieri erano impensabili. Il fatto cioè che il medico possa, con il consenso del paziente, avere facilmente accesso ad una grande quantità di dati sul paziente è sicuramente un vantaggio: il problema si pone quando questi dati sono usati per controllare la vita del paziente. Qui, però, non dobbiamo dimenticare che nell’ambito di intervento che riguarda la salute pubblica c’è una tensione tra il valore dell’autonomia e il bene della comunità. A prima vista, qualsiasi interferenza con l’autonomia personale può apparire inaccettabile, in quanto c’è ormai la consapevolezza di quanto sia importante difendere le scelte delle persone che riguardano la salute dalle ingerenze altrui. Tuttavia, nel caso degli interventi che riguardano la salute pubblica per uno stato può essere sbagliato attenersi rigorosamente al principio del rispetto dell’autonomia, perché  ha il dovere di promuovere la salute della collettività attraverso programmi che possono essere efficaci soltanto se incoraggiano certi comportamenti. Questo discorso potrebbe valere anche per le forme di controllo e di sorveglianza che possono essere messe in atto attraverso l’assunzione di pillole intelligenti: il controllo di certi comportamenti infatti potrebbe essere un prezzo da pagare per incoraggiare comportamenti che favoriscono la salute personale e pubblica.

“Thrills, Spills and Pills” by Pranjal Mahna is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

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