AVERE UN FIGLIO SU MARTE È MORALE? ESSERE GENITORE AL TEMPO DEI VIAGGI NELLO SPAZIO

47976517502_b2c777e038_bMAURIZIO BALISTRERI

I viaggi nello spazio e la colonizzazione di altri pianeti non sono più soltanto un tema per la fantascienza, sono ormai anche un argomento filosofico e uno spunto per interessanti discussioni bioetiche. Pensiamo, ad esempio, alla nascita e al mettere al mondo: chi si occupa di bioetica è abituato a ragionare sui temi che riguardano la responsabilità e il ricorso alla tecnica da una prospettiva – scusate il gioco di parole – molto terra terra, non c’è molto tempo per osservare le stelle. Dal momento, però, che si guarda sempre più allo spazio come ad una possibile ‘meta turistica’ e come il luogo privilegiato per l’esplorazione e per la costruzione di nuovi insediamenti umani, sarebbe sciocco continuare a far finta di niente e non provare a far volare la propria immaginazione. Non mi domanderò se mandare esseri umani nello spazio o su altri pianeti sia morale. A differenza di quanto potrebbe sembrare, la questione meriterebbe una maggiore attenzione. Non dimentichiamo che non tutti condividono l’entusiasmo nei confronti delle missioni spaziali: alcuni pensano che le nostre risorse potrebbero essere impiegate in una maniera più responsabile. A me, però, interessa un’altra questione: sarebbe morale far nascere un figlio su Marte? Prima di rispondere a questa domanda, è necessario fare una premessa di carattere generale, che non riguarda solamente i viaggi sul pianeta rosso, ma interessa qualsiasi missione spaziale. Il problema maggiore di qualsiasi viaggio o missione nello spazio è quello della sopravvivenza: nel momento in cui lasciamo il nostro pianeta troviamo un territorio sempre più ostile. Prendiamo, ad esempio, Marte, che è il pianeta più simile alla Terra del nostro ‘sistema solare’: non soltanto troviamo una temperatura molto bassa (tra -120 e -14°C) e un’atmosfera rarefatta, ma anche una minore forza di gravità (un terzo) e radiazioni solari, invece, 700 volte superiori. La distanza, cioè, è l’ultimo dei problemi: con le tecnologie che abbiamo a disposizione potremmo anche mettere in conto una missione di almeno tre anni tra viaggio di andata e ritorno sulla Terra (e questo periodo include anche il tempo di permanenza su Marte in attesa che la Terra si avvicini). Il punto è che per andare su Marte in sicurezza avremmo bisogno di dispositivi (o tecnologie) in grado di proteggerci da un ambiente che altrimenti non è compatibile con la vita umana. È vero che potremmo continuare ad usare per le nostre missioni nello spazio soltanto macchine ‘intelligenti’ – i celebri rover – e accontentarci di contemplare l’universo attraverso i loro ‘occhi’. Ma se non abbiamo alcuna voglia di rinunciare ad andare su Marte non esistono altre possibilità: dobbiamo cambiare Marte radicalmente (in inglese si usa l’espressione terraforming per indicare il processo che consente di rendere un pianeta simile alla Terra) oppure riprogettare completamente noi stessi in modo da acquisire quelle caratteristiche che permettono la sopravvivenza. Secondo Elon Musk per rendere il pianeta rosso abitabile sarebbe sufficiente far detonare 3000 bombe nucleari al giorno e per sempre, perché queste esplosioni farebbero aumentare la temperatura, liberando nell’atmosfera l’anidride carbonica intrappolata nelle calotte polari. A me sembra, però, che esista una soluzione molto più semplice: modificare il patrimonio genetico delle persone che parteciperanno alle missioni spaziale e alla costruzione di nuovi insediamenti, in quanto gli interventi di genome editing avrebbero un costo relativamente contenuto e – almeno in una prima fase –  potrebbero essere praticati su un numero ristretto di persone. Non si tratterebbe, poi, di una soluzione che potrebbe sollevare particolari problemi morali. Parliamoci apertamente le riserve nei confronti degli interventi di genome editing non mancano e le cose non sono migliorate dopo la nascita delle prime bambine geneticamente modificate. Le principali preoccupazioni morali, però, riguardano gli interventi migliorativi o di potenziamento (in altri termini, finalizzati a migliorare e potenziare le capacità e le disposizioni umane). L’intervento di modificazione che sto proponendo, invece, non avrebbe alcuna finalità migliorativa, ma servirebbe solamente a permettere alle persone in missione su Marte di sopravvivere. Per questo motivo, non credo che esageriamo se lo consideriamo meramente terapeutico: a voler essere precisi, si tratterebbe di un intervento di terapia genica sulla linea somatica.

Gli interventi di terapia genetica possono essere praticati sulla linea germinale oppure somatica: i cambiamenti genetici prodotti dagli interventi sulla ‘linea somatica’ non possono essere trasmesse alla prole, in quanto riguardano solamente il patrimonio genetico delle cellule dell’organismo (in altri termini, non cambiano il patrimonio genetico degli ovociti e/o degli spermatozoi). Anche se, pertanto, le persone che andranno su Marte avranno un codice genetico modificato, esse non potranno trasmettere le caratteristiche che permettono la sopravvivenza naturalmente: ogni volta che hanno un figlio dovranno sottoporlo ad un intervento di terapia genetica. Non ci sarebbe bisogno di aspettare, comunque, la nascita del bambino, in quanto si potrebbe modificare il patrimonio genetico degli embrioni oppure dei gameti, prima della fecondazione: il risultato non cambierebbe e la modifica poi potrebbe essere trasmessa con la riproduzione. L’intervento di terapia genica potrebbe essere praticato in un laboratorio del nuovo insediamento, ma gli embrioni potrebbero essere prima modificati sulla Terra e poi trasportati su Marte. Il luogo dove la modificazione genetica degli embrioni verrà realizzata non ha alcuna rilevanza: la cosa importante è che l’intervento sia stato sperimentato, possa essere considerato sufficientemente sicuro e che, pertanto, non esponga chi nasce a rischi ingiustificati e/o inaccettabili. Il fatto, inoltre, che la procedura non possa essere praticata con il consenso di chi nascerà non rappresenta un problema, in quanto noi abbiamo il dovere di prenderci cura dei nostri bambini. Quello che conta è che l’intervento promuova gli interessi e il benessere di chi viene la mondo e che sia possibile immaginare che chi nasce avrebbe potuto essere favorevole all’intervento. Dato che la questione riguarda i viaggi nello spazio o su altri pianeti, immaginarlo non è difficile, in quanto l’alternativa sarebbe nascere con una costituzione genetica inadatta all’ambiente.

Se la Terra diventasse un pianeta inabitabile, il cibo incominciasse a scarseggiare e l’aria diventasse sempre più irrespirabile, nascere su un altro pianeta sarebbe sicuramente un gran vantaggio. Anche se vivere in un nuovo insediamento può essere difficile – soprattutto nel primo periodo – l’alternativa, rimanendo sulla Terra, sarebbe quella di andare incontro ad una morte terribile. Inoltre, rimanendo sulla Terra, la specie umana sarebbe condannata lentamente all’estinzione. Nell’ipotesi in cui, invece, i viaggi nello spazio avessero una ragione esclusivamente scientifica (ad esempio esplorazione dell’universo) oppure commerciale, le cose sarebbero più complicate, in quanto venire al mondo su Marte potrebbe essere peggio che nascere sulla Terra. Non penso che le persone che nascono su Marte non potrebbero avere una vita degna di essere vissuta. A parte il fatto che – come scrive Jonathan Glover –  la vita dovrebbe essere veramente tremenda per spingere una persona a concludere che per lui (o per lei) sarebbe stato meglio non nascere (e che anche nelle situazioni più difficili possiamo trovare una ragione per continuare a vivere), non abbiamo motivo di pensare che la vita nei primi insediamenti su Marte sarà insopportabile. Le persone non soltanto avranno con ogni probabilità tutto quello che serve per vivere e per qualsiasi altra esigenza potranno sempre contare sull’assistenza e il supporto della madrepatria, ma potranno anche avere facilmente accesso ad una varietà importante di beni (ad esempio, potranno ascoltare la musica, avere del tempo libero per leggere o coltivare altre passioni). Tuttavia, il primo insediamento sarà costituito probabilmente da un gruppo molto ristretto di persone che lavoreranno insieme per affrontare e risolvere le questioni della loro sopravvivenza e nel frattempo raccogliere informazioni sulla conformazione e sulle potenzialità del pianeta. Anche se la cooperazione non fosse imposta con forza – attraverso misure coercitive –, ma semplicemente incoraggiata, le persone, comunque, non saranno mai libere di scegliere la propria vita, in quanto ognuna di loro dovrà contribuire con le proprie competenze al successo della missione. Inoltre, dovremmo considerare che, una volta che partiranno dalla Terra, gli astronauti trascorreranno probabilmente la maggior parte del tempo sempre a contatto con le stesse persone, in ambienti angusti che non permettono una separazione tra spazio pubblico (o di lavoro) e personale. Attraverso la realtà virtuale e i collegamenti a distanza (videochiamate, social network ecc.) essi potranno anche comunicare con i propri amici e familiari ed entrare in contatto con altre persone, ma non potranno più ritrovarsi per caso faccia a faccia con un vecchio amico o con uno sconosciuto o sentire battere il cuore quando uno sguardo fa scoppiare dentro di noi il colpo di fulmine. Inoltre, essi vivranno in un ambiente non ancora antropizzato e nel quale, pertanto, non sarà facile muoversi o spostarsi liberamente senza l’ausilio di mezzi meccanici o dispositivi tecnologici. Dopo una giornata di lavoro non potranno concedersi una passeggiata nel parco o nei boschi o una partita di tennis con gli amici oppure semplicemente una pizza fuori con la propria famiglia. Non avranno né una piscina in cui immergersi per allentare lo stress e lasciare fuori le preoccupazioni, né sentieri nascosti tra bellezze naturali oppure in montagna che potranno attraversare. Secondo Konrad Szocik, le persone che abiteranno nel primo insediamento su Marte dovranno combattere la noia attraverso occasioni di distrazione nella forma di gioco o di altre attività: tuttavia, potrebbe essere difficile trovare la giusta ricetta contro la depressione e l’impotenza. Infine, non dovremmo dimenticare che il viaggio su Marte potrebbe essere di sola andata, in quanto le modificazioni genetiche che sono necessarie per sopravvivere su questo pianeta potrebbero rendere più difficile o impossibile ritornare ad avere una vita normale sulla Terra.

Secondo Szocik la riproduzione è necessaria per mantenere una colonia di successo su Marte: noi invece pensiamo che, considerate le difficoltà che i primi insediamenti dovranno affrontare, mettere al mondo bambini su Marte potrebbe essere una scelta moralmente irresponsabile. Le persone che domani parteciperanno al lunghe missioni spaziali o alla costruzione di un insediamento umano su Marte o un altro pianeta hanno il diritto di pensare che qualsiasi loro sacrificio sarà ampiamente compensato dalla possibilità di prendere parte ad un’avventura straordinaria. Tuttavia, esse non dovrebbero imporre i propri valori – o le proprie scelte – ad altre persone: anche le altre persone dovrebbero avere la possibilità di scegliere la vita che più preferiscono. Anche se, pertanto, attraverso gli interventi di modificazione genetica potremmo essere in grado di garantire la sopravvivenza su Marte a qualsiasi essere umano senza grandi difficoltà, le missioni nello spazio non dovrebbero coinvolgere nuovi esseri umani, ma riguardare soltanto persone che sono capaci di valutare le conseguenze delle proprie azioni e fare scelte consapevoli.

Mars Celebration (NHQ201905310044)” by NASA HQ PHOTO is marked with CC BY-NC-ND 2.0.

BIOTECNOLOGIE ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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