I VIAGGI NELLO SPAZIO COME PROBLEMA MORALE
MAURIZIO BALISTRERI
Fino a ieri lo spazio è stato il punto più lontano a cui siamo stati capaci di spingerci con la nostra immaginazione: oggi lo spazio è diventato il luogo ideale per progettare e costruire un mondo nuovo. A qualcuno le missioni spaziali possono sembrare un lusso che non abbiamo il diritto di concederci: i più critici sostengono che invece di guardare allo spazio, dovremmo tenere i piedi per Terra e risolvere problemi come la fame, la questione ecologica, il cambiamento climatico e il terrorismo. Tuttavia, non è facile rinunciare ai viaggi nello spazio! Forse soltanto viaggiando nello spazio sarà possibile dare finalmente una risposta a quella domanda che da sempre ci ha ossessionato: siamo davvero soli nell’universo oppure esistono altre forme di vita, anche più intelligenti? È da decenni che attraverso le nostre sonde (abbiamo iniziato con le Pioneer, poi sono arrivare le Voyager) inviamo messaggi nello spazio nella speranza che qualcuno sia capace di intercettarli. Nemmeno inviando segnali radio in tutte le direzioni del cosmo abbiamo avuto più fortuna: forse è arrivato il momento di avviare un’esplorazione più seria e profonda del nostro universo. Lo spazio si presenta ormai sempre più come la nuova frontiera: da una parte spaventa perché è sconosciuto e pericoloso, ma, dall’altra parte, incanta con la sua ricchezza e le sue promesse. Potremmo esplorare l’universo – pezzettino dopo pezzettino – comodamente da casa: una cosa, però, è contemplare l’universo attraverso le immagini ad alta risoluzione di un rover o un satellite, un’altra cosa è l’esperienza diretta che possiamo fare calandoci veramente in quella dimensione. È vero che con le nuove tecnologie digitali sarà probabilmente sempre più difficile distinguere l’esperienza che si può fare attraverso la realtà virtuale ed immersiva dall’esperienza reale. Tuttavia, viaggiare nello spazio non è un tipo di esperienza che può essere facilmente ‘simulata’, in quanto significa mettersi alla prova e dimostrare a se stessi e agli altri il proprio coraggio e richiede la capacità di fare i conti con le proprie paure e di accettare una sfida difficilissima. Infine, dovremmo anche considerare che i viaggi nello spazio rappresentano anche un investimento, in quanto forse soltanto colonizzando altri pianeti potremmo sperare di evitare l’estinzione. A causa, infatti, di scelte o comportamenti poco responsabili oppure a causa di un qualche evento naturale, domani il nostro pianeta potrebbe diventare un luogo sempre meno vivibile. Ha senso, pertanto, muoversi in tempo e preparare con grande anticipo una vita di fuga: Elon Musk potrebbe avere ragione, abbiamo l’obbligo morale di diventare una specie multiplanetaria. Se guardiamo le cose da questa prospettiva, i viaggi nello spazio non appaiono più un’idea bizzarra, ma il modo più responsabile di guardare agli interessi e al benessere delle prossime generazioni e fare in modo che la specie umana possa continuare ad esistere e prosperare anche in futuro.
Ad ogni modo, qualsiasi progetto di colonizzazione dello spazio deve fare i conti con difficoltà che possono sembrare insuperabili, almeno dal punto di vista delle conoscenze e delle tecnologie attuali. Nella letteratura più recente sui viaggi nello spazio questi problemi non vengono ignorati, ma si è convinti che presto avremo le conoscenze scientifiche e tecnologiche sufficienti per affrontarli. A quel punto – si afferma – gli esseri umani potranno sopravvivere anche lontano dalla Terra. Al momento comunque sono soprattutto due le soluzioni tecnologiche a cui guardiamo con speranza: la prima consiste nella trasformazione del pianeta attraverso un processo in grado di modificare a fondo le sue caratteristiche geologiche e climatiche (terraforming o geoingegneria climatica), la seconda passa per la modifica non dell’ambiente, ma del codice genetico degli esseri umani. Secondo Elon Musk, la soluzione preferibile è sicuramente la prima, quella del terraforming. Prendiamo, ad esempio, in considerazione Marte, che – malgrado le sue caratteristiche – viene considerato il pianeta migliore del sistema solare in cui avviare un processo di colonizzazione umana. Non è un’impresa banale rendere Marte simile alla Terra e per farlo servirebbero grandi investimenti economici, ma secondo il fondatore di Tesla e SpaceX la cosa è sicuramente fattibile: è sufficiente bombardare con testate nucleare i poli e sia il clima che la geografia del pianeta cambieranno. Da un punto di vista morale, non si tratta di una soluzione particolarmente problematica. Per prima cosa, un progetto di terraforming anche molto radicale non potrebbe comportare la distruzione di altre forme di vita, in quanto oggi sappiamo che la vita su Marte non c’è. Anche se, comunque, la vita su Marte ci fosse, questo non significa che sarebbe sbagliato metterebbe in atto interventi di terraforming che modificano profondamente le sue caratteristiche, in quanto non abbiamo il dovere morale di preservare qualsiasi forma di vita soltanto perché è in vita. Questo è l’errore che compiono coloro che – come ad esempio i biocentristi o i sostenitori dell’etica della terra – allargano il cerchio della rilevanza morale agli organismi vegetali e agli ecosistemi. Abbiamo il dovere morale di non far soffrire gli animali ed anche di riconoscere loro dei diritti, ma non abbiamo il dovere morale di trattare come persona qualsiasi organismo o entità vivente. Possiamo, poi, essere legittimamente preoccupati che la distruzione o la scomparsa della natura abiotica possa mettere a rischio la sopravvivenza delle generazioni future o privarle di un’importante risorsa, ma la distruzione o la modifica di un ecosistema non è una scelta necessariamente criticabile e i vantaggi possono compensare ampiamente le conseguenze più negative. Ad esempio, con la costruzione di nuovi insediamenti nello spazio – almeno a medio e lungo termine – la crescita della popolazione mondiale potrebbe essere un problema meno pressante. Inoltre, ci sarebbero vantaggi anche per altre forme viventi e per gli ecosistemi e il pianeta. La colonizzazione di Marte non soltanto favorirebbe la diffusione di organismi vegetali e animali, ma darebbe nuova linfa agli ecosistemi naturali e promuoverebbe la loro biodiversità e bellezza. I transumanisti affermano che dovremmo superare l’umano e che soltanto attraverso l’ibridazione con la tecnologia sarà possibile uscire dalla condizione fisiologica di vulnerabilità e debolezza. La posizione dei transumanisti a me sembra più che condivisibile, ma ancora troppo limitata, in quanto il superamento della condizione naturale è auspicabile non soltanto per gli esseri umani, ma – almeno in linea di principio – per tutti gli esseri viventi (inclusi gli animali non umani e l’ambiente). Per altro, adottare una posizione di principio contro qualsiasi modificazione della natura non è il modo migliore di tutelarla, in quanto le modifiche possono incrementare il suo valore.
Comunque, quando ragioniamo sui viaggi nello spazio e la costruzione di nuovi insediamenti su altri pianeti, il genome editing può apparire un’alternativa molto più praticabile ed economica del terraforming. Per prima cosa, il costo di un intervento di genome editing è insignificante rispetto a quello che potrebbe avere un processo capace di rendere un pianeta più abitabile per la specie umana. Inoltre, mentre un processo di terraforming richiederebbe prevedibilmente moltissimi decenni, invece il risultato degli interventi di genome editing si otterrebbe immediatamente (o quasi) e gli astronauti geneticamente modificati potrebbero partire subito per qualsiasi missione spaziale. In questo caso il problema non è legato alla modificazione del codice genetico delle persone, in quanto interventi di genome editing vengono già praticati da decenni per finalità terapeutiche. Gli interventi di potenziamento (che, cioè, non servono a curare o a prevenire una malattia quanto piuttosto a migliorare le disposizioni fisiche e mentali) sono considerati più controversi, ma le modifiche che potremmo praticate sugli astronauti non avrebbero una finalità migliorativa. L’obiettivo, del resto, non sarebbe quello di creare individui con capacità superiori alla media, ma di permettere alle persone che partono per lo spazio di sopravvivere in un ambiente che altrimenti – a causa ad esempio delle radiazioni solari o dell’assenza della forza di gravità – sarebbe ostile. Tuttavia, i cambiamenti che introduciamo deliberatamente sugli astronauti a livello di patrimonio genetico per favorire le missioni nello spazio e la colonizzazione di altri pianeti potrebbero col tempo allontanare sempre più la popolazione delle colonie (spaziali) da quella della Terra. La questione non è semplicemente che le persone che continuano a vivere sulla Terra potrebbero avere difficoltà ad andare su altri pianeti, mentre chi vive nello spazio – a causa delle modificazioni che ha ricevuto (o con le quali è nata) – potrebbe avere difficoltà a ritornare sulla Terra. Il punto è che la lontananza e l’isolamento potrebbero rafforzare sia nelle persone che vivono sulla Terra che in quelle che abitano su altri pianeti la convinzione di appartenere a specie diverse. Il fatto che domani possano nascere specie umane diverse non è di per sé moralmente rilevante: da un punto di vista morale, non è importante la specie a cui si appartiene, contano altre cose. Il problema è che più le specie ‘umane’ diventano diverse (o, ad ogni modo, si percepiscono tali) più aumenta il rischio che le parti sviluppino un atteggiamento di sospetto e di diffidenza reciproci: alla fine il risultato potrebbe essere la difficoltà di mantenere relazioni o addirittura la guerra. Non è vero, poi, che per i viaggi nello spazio il genome editing rappresenti una vera alternativa alla trasformazione di un pianeta attraverso processi di terraforming o di geoingegneria, in quanto qualsiasi processo di colonizzazione richiederà un intervento profondo sugli ecosistemi naturali. Un piccolo insediamento non ha la necessità di modificare radicalmente il proprio ambiente: le cose cambiano, però se programmiamo l’arrivo di una popolazione sempre più numerosa oppure pensiamo che un pianeta dovrebbe essere capace di accogliere l’intera specie (umana). Sarebbe ingenuo, pertanto, pensare che i problemi dei viaggi nello spazio possano essere risolti una volta per tutte solamente attraverso interventi puntuali di genome editing sugli astronauti: serve, invece, un approccio integrato capace di mettere insieme soluzioni progettuali diverse.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA ENDOXA LUGLIO 2022 Maurizio Balistreri VIAGGI NELLO SPAZIO