A SCUOLA DI PAURA

MONICA VISINTIN

pic_giant2_021215_SM_Students-Scared-DTPaura? Ho incominciato a pensarci due settimane fa, quando ho deciso di mettere mano alle cose da dire in una lezione aperta alle famiglie dei miei studenti. La paura aveva poco a che fare con una mia vecchia paranoia, la paura di parlare in pubblico (che in effetti ha rovinato parecchie ore di sonno facendomi fare degli incubi da paura) quanto piuttosto con la paura di deludere il mio pubblico affrontando un argomento vasto e difficile, la violenza dei riti sacrificali nell’immaginario delle civiltà antiche. A questi paurosi pensieri si aggiungeva il fatto che la paura ha molto a che fare con le origini del sacrificio: pratica che consiste non solo nel dono ad un’autorità superiore di qualcosa che investiamo di sacralità, ma anche nel dare addosso al simulacro di un predatore pauroso, riducendolo a vittima nelle mortificanti vesti di un capro espiatorio.

L’ironia, e aggiungo tragica visto che su molti altari che allietavano il mio triste Power Point c’era l’aristotelico capro (τράγος), voleva che lo scenario delle mie corbellerie sacrificali fosse l’aula magna di un liceo classico: luogo spesso innalzato a scenario di paure e sacrifici. Sacrifici con le offerte più diverse: ore passate con gli amici, ore di sonno, lo studio della matematica, la pratica sportiva, di curiosità intellettuale sacrificata al vano apprendimento del greco e del latino, e un caleidoscopio di oggetti preziosissimi che confesso di aver rimosso a dispetto della loro ripetuta evocazione nel ricevimento genitori, liturgia che, nella mia esperienza, si risolve più spesso nella terapia della paura che in un reale scambio di informazioni sul profitto dei ragazzi. Quest’ultimo è infatti comodamente garantito dal legislatore che impone la trasparenza e l’accesso agli atti pubblici (ivi comprese le prove scritte con annesse griglia di valutazione) e da una corrispondenza fatta di comunicazioni di voti a libretto, pagelline, pagelle e fogli informativi quadrimestrali, certificati delle competenze e da ultimo anche dal registro elettronico che permette alle famiglie di essere informati su voti e assenze dei propri figli praticamente in tempo reale: a ciò si aggiunge il dovere della scuola, nella persona degli insegnanti, di offrire indicazioni relative all’impegno, domestico e in classe degli studenti stessi, oltre a indicazioni sui loro livelli di attenzione, interazione e maturazione personale attraverso i colloqui settimanali.

Ma nel ricevimento dei genitori spesso le richieste vanno ben oltre gli adempimenti amministrativi ed educativi: da entrambe parti, infatti, ci sono degli adulti che vogliono essere rassicurati sulle loro capacità di educatori, nella presunzione non sempre innocente di essere i principali artefici delle espressioni intellettuali di creature dotate di libero arbitrio. Così, in questo gioco delle parti, spesso poco edificante, ci sono scene come quella del libero professionista con la giornata occupata da lavoro, corrispondenza, trasferte, meeting, ricomposizioni e riarticolazioni dei legami matrimoniali, palestra, teatro o apericena etc etc che assicura di aver visto e vedere giornalmente suo figlio immerso per tutto il pomeriggio in uno studio matto e disperatissimo; mentre, in posizione amebea, troviamo il Figaro delle P.A. che giura e spergiura di avere spiegato, lavorato, verificato e valutato bene benissimo e di qualità. Nel mio caso, molto spesso la mia parte si ferma al La la la la la la la la la la, con omissione dei particolari del mio curriculum: un po’ per modestia, un po’ perché del cristianesimo ho salvato solo l’imperativo Ama il prossimo tuo come te stesso e quindi offro la mia disposizione all’ascolto come augurio che altri possano farlo con me e un po’ perché, come ebbe a dire una volta il mio psicoterapeuta, sono una dannata repressa con pericolose inclinazioni alla vigliaccheria e all’accidia.

Insomma, il ricevimento genitori è la spia rivelatrice del fatto che la funzione attribuita ottimisticamente alla conoscenza da Tito Lucrezio Caro per tramite del suo maestro Epicuro, ovvero quella di dissipare le tenebre del terrore ingenerato dalle false credenze, è ben lontana dall’essere messa in atto dalla scuola. Al contrario: quello della scuola sembra essere un terreno coltivato a paure fertile come pochi: della scuola fa paura molto, a partire dagli insegnanti. Concorrendo con il crescente bisogno di titoli culturali e competenze specifiche per entrare nel mondo del lavoro, molti identificano nella scuola, e fattispecie quella italiana, un’istituzione anacronistica tenuta in piedi da dipendenti pubblici ipso facto ipertutelati, svogliati e demoralizzati ed un veicolo di contenuti e pratiche completamente slegate dalla realtà, perpetuate più in ossequio ad una sorpassata religio che con l’ottica della promozione dell’individuo. Anzi, sembra che il senso della sopravvivenza della scuola possa ridursi, in ultima analisi, alla capacità di creare e stringere legami (re-ligare, per l’appunto): con l’esperienza di amici e genitori, innanzitutto, per rinsaldare i legami intraspecifici attraverso il sadomasochismo del rito iniziatico. Forse soltanto i ragazzi che soffrono di fobia scolare sanno rinunciare al piacere perverso de La Notte prima degli esami, in cui è possibile desiderare e denigrare al tempo stesso gli strumenti di tortura per la mortificazione del nostro élan vital.

In questa trasfigurazione della scuola ad altare di un rito collettivo non manca l’identificazione del mostro con il maestro, caratteristica di ogni iniziazione re-ligiosa: il superamento degli esami si realizza con la vittoria su un avversario tanto detestato quanto forzatamente prodigo di insegnamenti per il futuro, che spesso hanno solo tangenzialmente a che fare con il sapere di cui è custode. Non a caso non sono pochi quelli individuano analogie con le istituzioni carcerarie, rilevando che nell’opinione pubblica, soprattutto fra gli studenti, la funzione contenitiva e liberticida della scuola è spesso prevalente su altri compiti compresi nella mission dell’istruzione pubblica.

Ed è proprio quest’istanza liberticida e quindi paurosa che è maggiormente in contrasto con lo spirito di una società che, pure fra i ripensamenti ideologici orientati al marxismo o allo spirito delle grandi religioni monoteiste (principalmente cristianesimo e islamismo), è ormai completamente compresa nei meccanismi di un’economia liberista e di una civiltà consumistica: evidenza incontestabile cui la scuola stessa ha cercato di reagire adeguando la propria comunicazione al lessico (e talora ai principi) dell’economia di mercato e includendo nozioni come quelle di utenza, offerta formativa, portfolio, agenzia formativa, senza però riuscire a mascherare completamente la propria originaria vocazione ped-agogica e quindi essenzialmente direttiva. La scuola di oggi incarna il paradosso dell’ambizione a raggiungere la standardizzazione degli obiettivi comuni (le contestatissime competenze, la cui certificazione genera in molti insegnanti la paura di essere valutati per delle azioni, quelle didattiche, ritenute non quantificabili) attraverso l’individualizzazione dell’offerta rivolta a dei soggetti che, oggi come non mai, pretendono di avere assoluta libertà di scelta nell’esperienza scolastica. Senza questi presupposti non esisterebbero quegli incubatori di fobie collettive che sono i gruppi Whatsapp di genitori e studenti in cui, in aggiunta alle spesso legittime preoccupazioni didattiche, si covano psicosi come la paura della didattica digitale, paura per il rifiuto della didattica digitale, paura del gioco del rispetto, paura dei progetti contro l’omofobia, paura dell’edilizia scolastica, paura delle mense, paura degli extracomunitari e degli studenti che entrano in classe in corso d’anno (terrore anche di molti insegnanti, i più astuti dei quali non hanno nemmeno paura di manifestarlo ai diretti interessati), paura dei compiti in classe, paura che alcuni copino il compito in classe magari con l’aiuto del cellulare, paura dei compiti per le vacanze, paura del divieto di usare il cellulare in classe, paura dell’uso del cellulare come strumento didattico, paura degli esami per il superamento del debito formativo, paura per le misure messe in atto dalla scuola per il superamento del debito formativo (come i deprecati corsi di recupero estivi, che non di rado interferiscono con le vacanze già prenotate per la famiglia), paura dell’alternanza scuola lavoro, paura della preparazione degli insegnanti di lingua straniera, paura per la collocazione oraria dell’ora di Insegnamento di Religione Cattolica, paura dell’orario definitivo, paura per le assenze per malattia degli insegnanti, paura per i supplenti, paura di un mancato riconoscimento dei crediti formativi, paura di perdere la continuità didattica, paura del registro elettronico e altri ancora che di cui sono venuta a conoscenza negli inevitabili colloqui con amici genitori di figli in età scolare: quel genere di esperienze che ti fanno considerare con interesse l’ipotesi di consultare un esorcista per liberare la loro anima da demoni così maliziosi, perché sai che ogni tua parola s’infrangerebbe contro il muro delle loro paure come un calice di cristallo sul pavimento.

Sono paure tenaci, che non si tengono a bada neanche con l’iniziativa politica. I media hanno attribuito il crollo politico dell’ex premier Renzi all’emanazione della famigerata della legge 107 del 2015, più nota come La Buona Scuola. L’entropia di iniziative di realizzazione difficile o controversa come la valutazione del merito dei docenti o l’alternanza scuola lavoro ne fanno tutt’altro che una buona legge, ma un fatto è certo: si tratta dell’ennesima conferma che il problema della scuola non sta non sta nei modi di realizzarla, ma nella sua esistenza. Un vizio da cui non si guarisce neanche con la lettura compulsiva del blog di Alessandro D’Avenia o con le acrobazie apologetiche di libri come La lingua geniale, tutta roba che nei delusi dalla scuola non fa altro che esacerbare il senso di distanza da una realtà vagheggiata ostinatamente come mediocre e improduttiva.

Ma ciononostante, la scuola sopravvive anche e soprattutto con la forza di moltissimi che onorano con la loro passione il sapere e lo spirito di ricerca di cui sono mediatori e di quanti, studenti e famiglie, credono ancora nel valore della fiducia come argine alla deriva del narcisismo liberistico. Sarebbe bello che il loro coraggio diventasse contagioso e spegnesse il furore di una società avvelenata di egocentrismo autolesionistico, vero maestro e allievo di quella che a buon diritto si può chiamare scuola di paura.

 

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