THE LUNAR CRUISES CORPORATION
TONY KARED

Tempo fa, leggendo un articolo sulla Stanford Encyclopedia of Philosophy, mi è venuta in mente una frase del Buko, il quale non si fidava troppo delle statistiche perché, sosteneva, un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore, statisticamente, ha una temperatura media. L’articolo era incentrato su una bizzarra idea che teorizza la possibilità di rendere questa valle di lacrime un posto felice. Come? Facendo molti figli; ogni figlio uguale vita con più felicità che infelicità, quindi molti figli, statisticamente, uguale più felicità. L’articolo mostrava anche dei grafici per rendere al meglio il concetto. Naturalmente «felicità» è la mia traduzione, i filosofi, più scaltri di me, parlano di tenore di vita o, meglio, di qualità della vita. Io, da buon intellettuale, mi sono immediatamente posto il problema in questi termini: sono felice? Sono infelice? La mia vita è stata più felice o infelice? La mia è una vita degna di essere vissuta? La risposta è calata sul mio pensiero come una luce proveniente da decine di secoli di filosofia: mi basterebbe avere un poco più di soldi e un po’ di figa in più; oltre, naturalmente, all’immortalità. Ma questa è, ovviamente, la base costituente del mio solipsismo, quindi ho provato ad articolare una teoria più complessa che potesse inglobare le necessità di una fetta più vasta del genere umano – e ho quasi intravvisto, con orrore, l’altro me filantropo. Sono partito da una unità campione, ad esempio una grande città popolosa come Rio de Janeiro, perché, come tutti sanno, i brasiliani sono tutti felici. Ho pensato ai grattacieli, ai palazzi di lusso, alle enormi ville che dominano la città, tutti posti ricchissimi di felicità; e alle favelas, un po’ meno ricche di felicità. Ho deciso, in maniera del tutto arbitraria, di classificare i primi (ville, palazzi di lusso, ecc.) come persone felici e i secondi, quelli delle favelas, come persone infelici. E mi si è stretto il cuore al pensiero di queste persone felici che sono costrette tutti i giorni a incontrare, per strada o al supermarket, o all’entrata del bar preferito, le persone infelici, perché c’è il rischio, non succede spesso ma può accadere, che la persona felice perda un po’ della sua felicità nell’incontrare una persona infelice. Questa perdita di felicità è, per me, inaccettabile. La mia posizione filosofica sarebbe questa: si ritorna sulla Luna (ci siamo già stati, è un bel posto), si costruiscono delle palazzine popolari ma pressurizzate, collegate tra loro da enormi tunnel che, ogni tanto, fanno una deviazione che porta a un mercato del popolo (dove si potranno acquistare, a prezzi ridotti, varie tipologie di generi di consumo e alimentari di scarto) ; ci mettiamo tutti gli infelici, così che nella terra possa prosperare, senza perdite, la felicità. Questi insediamenti lunari potrebbero anche diventare un’attrattiva turistica («Gita sulla Luna per vedere gli infelici – 1000€ due giorni all inclusive.» Ovviamente eliminando qualsiasi interazione tra le due specie per evitare quella perdita di felicità di cui sopra); potrebbero restituire un congruo ritorno economico. E io? Terra o Luna? Io sarò Chief Executive Officier della Lunar Cruises Corporation.
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