LO SPIRITO IMPERSCRUTABILE, OVVERO GLI STRACCI DI HEGEL
ANDREA RACITI
“Ah, ma da dove comincia la casa propria, signorina Stackpole?”
“Non so dove cominci, ma so dove finisce. Finì molto tempo prima che io arrivassi qua”
H. James, Ritratto di signora
1. Scrutare la casa propria
Iniziamo da Henry James.
Da un dialogo che, per certi versi, potrebbe sembrare quantomeno frivolo ad alcuni, mi piace trarre spunto per addentrarci nella via che ho deciso di imboccare per interrogare l’imperscrutabile. Una via in qualche modo già tracciata, la quale, a mio avviso, ci mostra i profondi e incancellabili solchi degli stivali dialettici di Georg Wilhelm Friedrich Hegel.
Potremmo percorrere altre vie? Certamente. La particolare via che imbocchiamo è percorsa solo dal grande filosofo svevo? Nient’affatto. Ma è il suo sguardo quello che tenterò di interpretare brevemente, perché credo che esso, più di altri, possa aiutarci a scrutare l’imperscrutabile.
Certamente, partire da uno scambio di battute (apparentemente) frivolo tra Ralph Touchett e la signorina Stackpole, tratto da uno dei grandi romanzi di Henry James, non me lo nascondo, forse, avrebbe potuto attirarmi gli strali polemici di Hegel stesso, del tipo di quelli che possiamo gustare ancora oggi rileggendo le sue Anmerkungen (annotazioni) contenute nei Lineamenti di filosofia del diritto.
Ciò detto, lasceremo che Hegel se ne faccia una ragione. Difatti, non intendo parlare a suo sfavore, posto che sia possibile, tecnicamente, parlare pro o contro qualcuno in filosofia.
Credo che in quelle due righe di dialogo si ritrovi, concentrato in una forma assolutamente scevra da ogni banalità, uno dei problemi centrali della filosofia hegeliana: l’infinità incondizionata dell’esser-uomo.
Mettendoci negli ingrati panni (per Hegel) di quello che il filosofo tedesco usa chiamare anche “io astratto” (il mero soggetto empirico), l’infinità incondizionata che costituisce l’esser-uomo non è e non può in alcun modo essere alla portata del singolo.
In altre parole, per il singolo in quanto tale non rimane altro che dismettere i suoi ingrati panni e guardarsi non più sub specie singuli, bensì sub specie Absoluti.
Solo così il singolo è salvato, ossia, strappato con amorosa violenza alla particolarità alla quale, rimanendo per sé, sarebbe condannato. La presa violenta dell’Assoluto salva l’uomo dall’altra violenza che l’io, nella sua astratta libertà, si impone da sé quando rimane per sé.
Per questo Ralph Touchett, nel romanzo di James, chiede: “Ah, ma da dove comincia la casa propria (…) ?”. Dov’è che comincia il mio esser-uomo, il mio appartenermi, ciò che propriamente è umano, ovverosia: da dove inizia l’inizio? Un inizio che nell’uomo si riaccende ininterrottamente e non ha una collocazione orientata in un punto qualsiasi della storia umana, poiché questo inizio, l’esser-uomo, fonda la Storia.
Si sente l’eco di Heidegger in questa interpretazione del pensiero hegeliano. Ma, d’altronde, sia nelle considerazioni sulla soggettività incondizionata di Hegel contenute nel Nietzsche che, soprattutto, nel saggio Il concetto hegeliano di esperienza, si potrebbe leggere – e neanche troppo tra le righe – la segreta sintonia tra la parusìa dell’Assoluto, dello Spirito essente-in-sé-e-per-sé e lo Sein-Ereignis heideggeriano, al quale il Dasein appartiene nella misura in cui l’Essere si ritrae dall’essente disvelandolo.
In questo senso, nella sua essenza e nella sua stessa azione, l’uomo vive solo e soltanto l’esperienza dell’imperscrutabile. Per scrutare l’imperscrutabile, unicamente il punto di vista della Scienza, ossia, del sapere filosofico autentico, che sa se stesso come l’Assoluto, conferisce significato al singolo. Un sapere filosofico hegelianamente inteso, sa se stesso come l’Assoluto solo quando adotta la prospettiva del cammino necessario della Storia come l’incedere della Libertà universale verso la sua realizzazione compiuta.
Se veramente l’esser-uomo si pone solo come Totalità, ossia come (auto)movimento necessario della Libertà umana nella Storia da essa stessa prodotta (il “teatro della storia mondiale” delle Lezioni sulla filosofia della storia), l’uomo non sarà mai presso di sé nella sua essenza particolare astratta, né, tanto meno, se rimane arroccato nella universalità chiusa in se stessa, immota e immutabile, solo pensata (in sé).
Quest’ultima deve tornare a se stessa arricchita delle sue determinazioni particolari, come risultato del processo della Libertà, che, per Hegel, non può che identificarsi con lo Stato moderno. Non per niente uno degli scritti giovanili (del 1915) di Carl Schmitt – pesantemente influenzato dalla filosofia del diritto hegeliana – reca il titolo Il valore dello Stato e il significato dell’individuo: solo lo Stato costituisce il valore, soltanto esso costituisce il regno della Libertà concreta, ossia in cui, hegelianamente, avviene un con-crescere, l’auto-movimento della Totalità (l’Umanità) che produce la sua Storia manovrando letteralmente l’azione dei popoli storici verso la realizzazione dello Stato: il regno della libertà. In questo superiore contesto universale, allora, l’individuo assume un significato, ossia, diviene libero, abitando l’unico valore possibile: l’ethos universale dello Stato.
2. L’umanità sfuggente
A quest’altezza, cogliamo quanto sia vicina alla prospettiva hegeliana la risposta della signorina Stackpole alla domanda di Touchett che riportiamo nuovamente: “Ah, ma da dove comincia la casa propria (…)?”. Ed è qui che il lettore di James potrebbe rivalutare in positivo un personaggio che per quasi tutto il romanzo viene presentato come estremamente pedante e parolaio. Con brevità disarmante e sorprendente, la signorina Stackpole si limita a rispondere così: “Non so dove cominci, ma so dove finisce”. L’inizio, in particolar modo quando parliamo dell’inizio (arché) inteso come esser-uomo che agisce nello spazio di libertà del suo ethos, contiene il singolo che in esso non può scrutare, come se fosse la sua essenza propria, la sua “natura umana”; né, tanto meno, potrebbe scrutare in esso – e, pertanto, appropriandosene come il suo proprio prodotto – in quanto lo avrebbe pre-disposto artificialmente con il suo lavoro individuale, come avviene nello stato di natura lockiano.
In questo senso, la massima appartenenza dell’uomo a se stesso può concepirsi solo nella misura in cui non appartiene a sé, bensì al Sé, all’Assoluto imperscrutabile per una determinazione empirica che non si sappia come transeunte, come salvato nella negazione (ecco, l’Aufhebung): un essere il cui movimento accidentale assume un significato in quanto appartenente all’ethos universale che lo dis-pone nel Suo movimento pensante, e solo perciò eminentemente possedutosi nel proprio fine (en-tele-cheia).
In questo senso, nel sapersi e, perciò stesso, nel possedersi nel proprio fine e nella propria fine, come risultato complessivo del processo storico universale, l’uomo si appartiene in quanto sottratto a sé, gettato nell’imperscrutabile. Questo inizio può essere scrutato solo facendogli parlare la sua Lingua, la Lingua dell’imperscrutabile. Ovvero, in Hegel, la lingua della filosofia dello Spirito, intesa come coscienza della Storia come “opera di Dio stesso” in cui ciò che è accaduto e che accade tutti i giorni “non è senza Dio” (nicht nur nicht ohne Gott), come troviamo scritto alla fine delle Lezioni sulla filosofia della storia.
In base a questo punto di vista, insomma, l’umanità si appartiene in quanto sfugge a se stessa, poiché un’immane distanza – scarto incolmabile dallo sforzo tanto del singolo quanto di una moltitudine tamquam dissoluta che vuole una libertà formale – la “separa” dal Sé che la contiene (in questo senso, potrebbe intendersi anche un bellissimo verso di Bukowski: “Humanity, you never had it to begin with”).
Ciò che è avvertito dal singolo in guisa di separazione e di scissione è la somma appartenenza alla Lingua (Sprache) che ci parla e alla Patria (Heimat) che ci abita. In questa duplice dimensione consiste l’umano dell’uomo, il suo ethos. La nostra lettura incrociata James-Hegel potrebbe risultare, a questo punto, non del tutto impertinente se notassimo che il dialogo del romanzo jamesiano che qui abbiamo considerato si svolge tutto nella tensione tra appartenenza a una patria e ad una lingua.
Nello stesso dialogo, Ralph Touchett si lancia nell’ardita affermazione che conferma in qualche modo la concezione di una Lingua imperscrutabile come propria dell’esser-uomo: “Le lingue non contano nulla”, perché conta “lo spirito, il genio”. Molto prima che il singolo o una qualunque determinazione collettiva contingente, comunque per sé, vi arrivi – poiché essi non possono in alcun caso giungere in ciò che già-sempre li abita e li parla – il Sé che lo contiene e lo muove lo ha già strappato, lo ha già negato alla sua umanità e, così facendo, in essa lo ha salvato.
La cosiddetta verità della certezza sensibile giunge necessariamente dinanzi ad un imperscrutabile, ad un indicibile. Vale la pena di rileggere le parole di Hegel al riguardo, contenute nella Fenomenologia dello spirito: “Coloro che affermano quella certezza e realtà degli oggetti sensibili, dovrebbero essere rimandati alla scuola elementare della saggezza, cioè agli antichi misteri Eleusini di Cerere e di Bacco, per imparare innanzitutto il segreto del mangiare il pane e il vino. L’iniziato a questi misteri non giunge soltanto a mettere in dubbio l’essere delle cose sensibili, ma arriva anche a disperarne; da un lato consuma e porta a compimento egli stesso la loro nullità (ihre Nichtigkeit), dall’altro la vede consumare”. Hegel aggiunge che anche gli animali sono capaci di far questa esperienza della nullità delle cose sensibili, anzi, essi la vivono in modo più profondo: disperando delle cose sensibili e certi della loro nullità, “se ne impadroniscono senza mezzi termini e se ne cibano”. Da qui, la pretesa di essere-per-sé nella propria solipsistica certezza sensibile è condotta direttamente dinanzi all’indicibile: “Quando dico “una cosa singola” (ein einzelnes Ding) dico piuttosto qualcosa di interamente universale, in quanto ogni cosa è una cosa singola, e, analogamente, questa cosa è tutto quello che si vuole. Se poi la si determina più precisamente come questo pezzo di carta (als dieses Stück Papier), allora tutto ciò che è carta è un questo pezzo di carta, e io ho detto sempre e soltanto l’universale. L’atto linguistico ha dunque la divina natura di invertire immediatamente l’opinione, di farla divenire altro e di non lasciarla giungere alla parola (nicht zum Worte kommen zu lassen)”. L’opinione (die Meinung) che, per sé, serbava la certezza sensibile viene posta dinanzi all’imperscrutabile dell’universale, che, in questo stadio dell’esperienza della coscienza, permette il passaggio alla figura della percezione (die Wahrnehmung).
3. Gli stracci di Hegel
Scrutare l’imperscrutabile, dunque, vorrà dire forse: dire l’indicibile, ossia lasciarsi parlare dall’Assoluto che ci abita. In questa direzione va l’esegesi di Agamben, contenuta ne Il linguaggio e la morte, del passo della Fenomenologia che abbiamo commentato in questa sede: “Il contenuto del “mistero eleusino” non è, dunque, altro che questo: far esperienza della negatività che sempre già inerisce a ogni voler-dire, a ogni Meinung di una certezza sensibile. (…) Come l’animale serba la verità delle cose sensibili semplicemente divorandole, cioè riconoscendole come nulla, così il linguaggio custodisce l’indicibile dicendolo, cioè prendendolo nella sua negatività”.
Prendere l’indicibile (l’universale) dicendolo riporta il singolo al rapporto con l’ethos imperscrutabile: qui l’etimologia della parola ci viene in soccorso. “Imperscrutabile” deriva dal tardo latino imperscrutabilis, termine composto da perscrutari, che indica l’atto di “frugare rovistando attraverso qualcosa”, e dalla particella negativa in-. Imperscrutabile sarebbe, pertanto, l’impossibilità di frugare rovistando attraverso qualcosa. E, dalla lettura del passo della Fenomenologia, deduciamo che è proprio il “qualcosa” che non può esser frugato rovistando: l’immediatezza universale, il questo pezzo di carta nell’esempio di Hegel, non può essere detto in quanto tale, la cosa sensibile è nullificata nell’atto del dire che rimanda ad un universale indicibile, custodito nella medesima enunciazione.
In questo contesto, la frase della signorina Stackpole nel romanzo di James: “Finì molto tempo prima che io arrivassi qua”, assume la valenza di impossibilità dell’ethos nel suo duplice ma unitario senso di proprium e di linguaggio, nella misura in cui questi mantengono spezzato il proprio legame con il giammai appropriabile imperscrutabile.
Indagando ancora l’etimologia di “imperscrutabile”, notiamo ancora un dettaglio interessante: scrutari, il “frugare rovistando”, deriva dal sostantivo scruta, ossia “stracci” (termine imparentato probabilmente, secondo alcuni studiosi, anche con scrotum, ossia lo scroto).
Ripartiamo dallo straccio: logoro, consunto manufatto, di solito un tessuto, che può essere utilizzato per un altro scopo, diverso da quello “naturale”.
Ecco che due letture praticamente opposte del pensiero di Hegel ci si stagliano dinanzi.
La nullificazione del singolo empirico (e delle masse anonime composte da queste “accidentalità”) nel contesto della sua relazione all’universale lo riduce letteralmente a scruta, ossia a stracci, un essente per sé inutilizzabile, senza scopo, che solo nelle mani dello Spirito universale, della Totalità, può perseguire non più uno scopo, bensì lo Scopo: la realizzazione storica dell’Idea della Libertà universale. Lo Scopo non può e non potrà mai essere il suo scopo, ma il singolo, volente o nolente, cosciente o meno di ciò, partecipa come mero strumento (Mittel) al “banco da macellaio” della Storia, alla quale vengono immolate “la felicità dei popoli, la saggezza degli Stati e le virtù degli individui”, come Hegel scrive nelle già citate Lezioni sulla filosofia della storia. A questo destino, secondo Hegel, non sfuggono soprattutto quelli che egli chiama i grandi “individui cosmostorici”, come Alessandro, Cesare, Napoleone: essi, alla stregua di qualunque altro individuo sono meri strumenti, scruta, stracci nelle mani dello Spirito im-per-scrutabile che, sfruttando i loro fini particolari e spesso egoistici, ripulisce il mondo dalle macerie per far spazio alla Sua Libertà. L’unica differenza di rilievo tra i grandi della Storia e la massa anonima degli io empirici consiste nel fatto che, nei primi, i loro scopi personali coincidono immediatamente con il Fine universale dello Spirito: la realizzazione della Libertà universale, tale che, questi individui, quasi tutti morti dopo una vita infelice o comunque ammazzati, sono coloro attraverso cui lo Spirito – e qui sta anche la sua “astuzia” – realizza il progresso della Libertà nella storia umana.
Tuttavia, anche un’altra lettura, che, a mio avviso, integra e invera la prima, può essere tentata. La mostrerò partendo sia da un’ultima suggestione etimologica che, ancora una volta, traggo dalla parola “imperscrutabile”, sia dal testo hegeliano sulla filosofia della storia. Come abbiamo visto, è dal termine “scruta”, stracci, che deriva “imperscrutabile”. L’atto di scrutare (scrutari), del “frugare rovistando”, ha a che fare con l’operazione di “stracciare”, indicata dal termine latino volgare del “distractjare”, composto da dis- e tractiare, che attraverso il participio passato tractus deriva dal verbo trahere. L’essere scruta, per il singolo empirico e per le collettività politiche storiche transeunti, non sarebbe quindi essere meri strumenti nelle mani dell’ “astuzia della Ragione”, alla quale si verrebbe semplicemente immolati: fermarsi a questo punto di vista “pieno di sentimento”, per Hegel, significa non aver alcun interesse a comprendere quelli che egli chiama “gli enigmi della Provvidenza”. A tal fine, la singolarità contingente (individuale e collettiva), viene negata, sì, ma nella direzione dell’imperscrutabile che la dis-trae, letteralmente la tira-via dalla particolarità autodistruttiva della sua individualità, per elevarla all’ethos che la custodisce già-sempre nella trazione fuori dal suo isolamento. Il dis-tractjare a opera dell’Assoluto sulla singolarità contingente, dis-trae quest’ultima dalla sua as-trazione. Solo se è tratto nel non-suo, solo negandosi, il contingente è conservato nell’Umanità imperscrutabile da cui è abitato e parlato. Se si guarda alla waste land che il “teatro della storia mondiale” ci offre quale tetro spettacolo con la consapevolezza della custodia in cui l’Assoluto trae il contingente, quel confuso “ammasso di macerie” potrebbe assumere un significato, secondo Hegel.
La scissione dell’uomo dalla sua Umanità non è altro che la custodia in cui quello è dis-tratto dalla sua astrazione, dal suo isolamento. Questa scissione, una sorta di “relazione a un inappropriabile” – usando un’espressione di Walter Benjamin – consente la custodia dell’uomo da parte dell’esser-uomo. Per questo, nelle Lezioni più volte citate, Hegel paragona il ruolo degli eventi accidentali nel contesto della Storia alla costruzione di una casa, alla quale concorrono aria, acqua, ferro, legno: tuttavia questi elementi acquistano un senso solo in questo con-correre, nella concretezza di questo con-crescere, che li sottomette a Sé, sì, ma custodendoli nella Sua permanenza.
Se non è una risposta, perché credo non lo sia, rileggere in questo senso Hegel, potrebbe, forse, mettere in forma la domanda di Henry James che ci ha guidato in questo breve percorso, e che il grande romanziere americano mette in bocca a Ralph Touchett:
“Ah, ma da dove comincia la casa propria, signorina Stackpole?”.
Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Andrea Raciti endoxa gennaio 2020 FILOSOFIA Hegel Imperscrutabile spirito