D’ANNUNZIO – MARINETTI: LA CELLA MONASTICA E L’ALCOVA D’ACCIAIO, L’ULTIMO INCONTRO

DAnnunzio-Marinetti

PAOLO CASCAVILLA

10 febbraio 1938. I due poeti si incontrano al Vittoriale di Gardone Riviera. Dopo venti giorni D’Annunzio muore. Marinetti trova la forza di partire volontario per il fronte russo nel 1942, ha 66 anni. Muore in una villa sul Garda 2 anni dopo.Marinetti si reca al Vittoriale con amici, in automobile. Si scambiano doni. D’Annunzio regala il gagliardetto con il motto “Me ne frego”, quello che sventolava sulla sua automobile mentre entrava a Fiume. Marinetti la leva di un aereo bimotore “Caproni”.

Marinetti. Con l’autoblinda sei entrato a Fiume ed io solo un paio di anni prima sono entrato ad Aviano e Tolmezzo. Automezzo mobile e forte. Velocità e potenza, le due caratteristiche del futurismo. Ah… in essa ho ambientato un romanzo con tutte le mie donne, le mie amanti, quelle di qualche anno e di qualche sera. E poi l’amplesso con l’Italia, signora di brezze carezzevoli e di ebrezze continue. L’Italia che per ogni futurista viene prima di ogni cosa, prima della libertà, della vita. Un’opera che rievocava la guerra e ad essa diede impulso anche la marcia su Fiume, che tra tante belle imprese è la più bella di quelle da te compiute. Dove fu senza limiti l’amore e dove fu gettato il seme della nuova Italia.

D’Annunzio. Fiume forgiò molti, ma non me stesso. Mi arricchì di nuove sensazioni, questo sì. C’era un’ansia rivoluzionaria, sentivo che poteva partire una crociata di uomini liberi, popoli poveri, proletari, lavoratori che cercavano riscatto. Ed io dovevo trovare le vie. Nella moltitudine scoprii una bellezza riposta. Una bellezza che si rivela per l’improvviso clamore che scoppia nell’anfiteatro o nella piazza pubblica o nella trincea, ed allora un torrente di gioia gonfia il cuore di colui che seppe suscitarlo con il verso, con l’arringa, col segno della spada. Un atto, una parola, un gesto… e si apre dall’oscurità delle anime innumerevoli della folla una unità, bella e immediata. E nasce l’azione ardita, virile, forte, libera…

Marinetti. A Fiume udii la potenza della tua parola. Ti invitai, ricorderai, a circondarti di ufficiali più volitivi e decisi. Ma era fuoco quello che gettavi su quella massa tumultuante, che amavi e possedevi, e da te dipendeva. E mi chiedevo se per te era più importante un atto d’amore, desiderato e voluto, o quello di infuocare e poi contenere le folle che ti ascoltavano.

D’Annunzio. Veramente quella mezza ora che il mio spirito, la mia volontà di dominio vivevano prima che io apparissi alla ringhiera, quella misura di tempo mi era senza misura sublime. Il popolo tumultuava e urlava chiamandomi, sotto le mie finestre la disumanata massa ribolliva, riscoppiava come materia in fusione. Io dovevo rispondere alla sua angoscia, dovevo esaltare la sua speranza, dovevo sempre più rendere cieca la sua dedizione, sempre più rovente il suo amore a me, a me solo. E questo con la mia presenza, la mia voce, il mio gesto, la mia faccia pallida, con il mio sguardo di guercio. Certe cadenze mi balenavano dentro come quei balenii che appariscono a fior di metallo strutto ai margini della fossa fusoria. Una forza non più contenuta mi saliva allora dal sommo del petto, mi giungeva alla gola, credo che mi soffiasse non so quale fluorescenza o fosforescenza tra i denti e le labbra. Gittavo un grido…

Marinetti Noi futuristi abbiamo perseguito e perseguiamo il disprezzo del pubblico, quello dei palchi e dei cappellini variopinti delle signore delle prime rappresentazioni. Abbiamo provato e proviamo orrore per il successo immediato che incorona opere banali, mediocri, digerite, rivomitate. Gli autori devono inseguire un solo obiettivo, l’originalità innovatrice. Abbiamo ripudiato e ripudiamo i temi abusati, l’adulterio, l’amore romantico… Le nostre provocazioni lasciavano in noi un piacere, una voluttà nell’essere fischiati.

D’Annunzio. Io preferisco la voluttà dell’applauso, di quella frenesia che percorre la folla, la massa che si abbandona, come fusa e amalgamata da una turbina…

Marinetti. Io mi sono sentito e mi sento figlio di una turbina e di Gabriele D’Annunzio…

D’Annunzio. Ahimè! Non sono stato mai tentato da una turbina… Sono stato un amante egoista, infedele, individualista, esasperato, sempre alla ricerca di sensazioni, ma anche tenero e malinconico… Sono stato sempre tentato dalle donne, quelle di carne, vive di desiderio.

Marinetti. Noi futuristi abbiamo sviluppato una grande nuova idea, la bellezza meccanica, l’amore per la macchina. I motori sono misteriosi. Hanno capricci, bizzarrie. Bisogna accarezzarli, amarli… se li trattate così, queste macchine vi danno il doppio del rendimento. Nel futuro ci potrà essere una sensibilità della macchina. Auspichiamo la creazione di un tipo non umano, nel quale saranno abolite la bontà, l’affetto, l’amore. Nella carne dell’uomo dormono ali possenti… Il tipo non umano sarà crudele, combattivo. Il cuore sarà ridotto alla sua funzione, una specie di stomaco del cervello. E l’uomo moltiplicato non conoscerà la tragedia della vecchiaia.

D’Annunzio. Ed è una tragedia che giunge all’improvviso. Ora spento nell’amore e nel sesso sono spento anche nell’arte.

Marinetti. Una violenta simpatia personale mi ha obbligato ad ammirare che eri sempre avanti a tutti, il seduttore prestigioso, l’ineffabile discendente di Casanova e Cagliostro e di tanti avventurieri italiani. Ho aspirato con voluttà il misterioso profumo di furberia e di fortuna provenienti dai tuoi gesti femminei… Ho subito il fascino del tuo corpo vibrante, acido di eterno adolescente, giovane arbusto primaverile.

D’annunzio. Sono stato sempre un questuante d’amore. Non ho mai avuto il senso del peccato, ma dà un piacere sublime la folla che si piega al mio volere o la donna che asseconda ciò che desidero. Non sono mai stato sprezzante della donna.

Marinetti. In noi c’è odio e disprezzo per l’amore. Quello orribile e pesante amore che impedisce all’uomo di superare se stesso. Più che della donna vi è nei nostri manifesti il disprezzo della femminilità. Nel manifesto della donna e della lussuria si esalta la lussuria come forza, elemento dinamico della vita. Per la razza forte, orgoglio e lussuria sono le virtù incitatrici, focolari ai quali scaldarsi. Sì, La lussuria è gioia dolorosa, dolore gaudioso. E’ la comunione di una particella di umanità con tutta la sensualità della terra. E’ la creazione. E l’uomo è creatore nell’arte, nella rivoluzione, nell’amore. Smettiamola di schernire il desiderio, attrazione ad un tempo sottile e brutale, qualunque sia il sesso di due carni che si vogliono, tendendo verso l’unità. Non la lussuria disgrega, dissolve… Le complicazioni vengono dalla sentimentalità, dalla gelosia artificiale, dal patetico delle separazioni e della fedeltà eterna, dall’istrionismo dell’amore romantico. Bisogna fare della lussuria un’opera d’arte, far sbocciare i fiori dai germi di carni mute.

D’annunzio. Il tuo impegno a uccidere il chiaro di luna… Mi faceva sorridere. Come si fa poi? Ogni amore per me è stato slancio e crescita. La molla del mondo. Il sesso il vero levame della mia arte. E ora che lo cerco con la volontà e la mente anche l’arte langue… Io ho condotto mesi e mesi di vita conventuale, senza vedere nessuno. Al tavolino 12 ore al giorno. Una fatica lunga, paziente, ostinata… Risoluto a non muovermi se non quando finivo quel libro, quel libro che amavo, sul quale spasimavo. Non avevo la forza di abbandonarlo, neanche per la pausa di un giorno, di un’ora con Barbara o Eleonora. Provavo una strana ebrezza dolorosa e voluttuosa a un tempo, che mi invadeva il cervello. Con che strana violenza lo spirito si attaccava a quell’opera, così profondamente concepita e così sottilmente penetrata dal fuoco dell’intelligenza. E dietro c’erano giorni e notti di amore, di seduzione, di desiderio inesausto.

Marinetti. Un distacco che durava molti mesi. Tu solo eri capace. Per questo sei il più grande artista. Il più grande poeta… Io sono solo il creatore di nuove forme, l’animatore dell’aeropoesia.

D’Annunzio. E anche quello dell’alcova meccanica, elettrica… Non è l’autoblinda, non la macchina d’acciaio, che mi seduce…  Ma l’alcova velata e nascosta, la cella monastica. Mi ricordo Madame B.  L’accolsi sulla soglia, io con un kimono azzurro cupo, orlato di nero. Brevi gesti e lenti, poi seduto le presi le mani… come un rito antico, ero vero e sincero. Lei per me, in quel momento era l’unica donna del creato ed io l’unico uomo del creato. E sentivo quella donna abbandonarsi dolcemente… Mi disse che le parole che le dicevo erano forse quelle che ad Eva sussurrò il serpente nel paradiso terrestre. Io partivo con lei, insieme ci avviavamo per un paese ignoto e misterioso, in cui tutto era lecito. Imploravo l’amore con la stessa insistenza di un assetato che implora una goccia d’acqua nel deserto. Ed era vero. Tutto vero. Nessun atto mai contrariava o urtava la volontà della donna. Mai avevo fretta. Non esisteva più il tempo.

Marinetti. Abbiamo amato la stessa donna. Isadora. Lei mi disse, seduti in un bistrot di Parigi, che quando tu le parlavi, quando tu parli a una donna, ti trasfiguri al punto da somigliare ad Apollo. Quando ami elevi l’anima della donna sopra la terra, fino alle regioni divine dove si muove e risplende Beatrice. Sapevi trasformare la donna più ordinaria in un essere celeste. La mettevi al centro dell’Universo.

D’Annunzio. Una passeggiata con Isadora o con Eleonora… In una pineta, insieme, i rami ci intricavano, ci legavano, poi il vento, una brezza sottile, i suoni, le nostre voci sussurrate… E avvertivo che con lei e solo con lei si poteva essere soli nella natura. Io e lei divenivamo creature del bosco, piante, foglie. Lei faceva parte degli alberi, una ninfa, una dea. Un incantesimo? Era una sensazione vera, pura…

Marinetti. Con Isadora trascorsi un ultimo dell’anno. A Parigi. Soli. Ballò per me, tutta la notte. Cenammo quel Capodanno con squisitezze indiane, sapide di spezie, con frutta tropicale. Brindammo con lo champagne più rinomato… Dopo la mezzanotte un pianista, senza mai guardarci o aprire bocca, suonò per noi. E Isadora riprese la danza, esaltava ogni parte del suo corpo. Nuda in un candido brillìo di fiori di acacia, tra le tende perlacee e fuori si scorgeva la luna chiara, in una notte gelida. Dopo andammo nel freddo di Parigi ad ammirare l’alba del nuovo anno nei giardini di Versailles.

D’Annunzio. Darai questa mia foto a Benedetta, A lei, donna e compagna del poeta F. T. Marinetti, lei custode di una forza che contro tutto e tutti sarà rivelata. Benedetta è la tua forza. Avrei voluto anch’io, nella fase calante della vita trovare una donna come Benedetta, ti ha dato tre figlie… Una donna ardente e forte, fedele e stimolatrice a nuove imprese. Ho ammirato i suoi quadri a Venezia. Ed è lei che ha completato la rivoluzione dell’arte… Non solo la vista, i suoni, i profumi, i sapori. Anche il tatto. L’arte come il sesso… con i cinque sensi. E poi non è lei che ha detto che in guerra dovrebbero andare i vecchi, mentre i giovani devono restare in patria per procreare? A te questa copia di Alcyone nel vicesimo anniversario dell’impresa di Buccari.

Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE LETTERATURA STORIA DELLE IDEE

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