ASCOLTARE LO STRANIERO
GIANLUCA GUASTAFIERRO
“Forse che mi contraddico? | Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico, | sono vasto, contengo moltitudini.”
Walt Whitman, Foglie d’erba, Il canto di me stesso
Il tema dello straniero è diventato nella società moderna oggetto di Main-Stream: ci sono molti che in ambito sociale, attraverso le loro opinioni personali, influenzati da una politica dell’esclusione che investe violentemente l’Europa, trasfigurano il concetto di straniero, riducendolo a una minaccia per la propria cultura. Lo straniero è dunque collocato all’interno dei soliti clichè della Doxa che rappresentano lo straniero come minaccia culturale ed economica. La Doxa si muove all’interno di scenari che relegano ai margini l’Episteme: a differenza della Doxa, la scienza porta avanti una ricerca sulle radici di un fenomeno sociale e oltre a tentare di aprire un dialogo senza la pretesa di fornire risposte definitive, mette in luce la ricchezza individuale e collettiva del fenomeno sociale dello straniero. Il compito dell’Episteme pertanto non è quello paternalistico di offrire all’opinione pubblica un modello irreprensibile, ma di proporre gli strumenti necessari per una filosofia del dialogo, capace di essere aperta allo straniero, che va al di là dei legami consanguinei senza trascurare le differenze interne a quest’ultimi e, nondimeno, a noi stessi.
Sulla base di queste considerazioni non ridurrei l’esperienza dello straniero esclusivamente a una relazione personale, interna alla nostra cultura e alla relazione con l’altro, parlerei invece di rapporto transindividuale all’interno del quale la persona fisica si spoglia dei suoi valori, delle sue convinzioni epistemologiche e si affaccia in un quadro etico della convivenza. A mio avviso, un’etica della convivenza non dovrebbe prendere come criterio di fondo il principio della tolleranza, ma piuttosto quello della reciprocità. La tolleranza non è un principio morale in grado di favorire il dialogo, perché alimenta una gerarchia tra ‘noi’ e ‘gli altri’ inasprita dalla Doxa in quanto siamo ‘noi’ che scegliamo che rapporto vogliamo instaurare con ‘gli altri’. La reciprocità è invece basata su un rapporto di simmetria ed è sempre aperta alle differenze interne a noi stessi e agli altri.
Con il termine relazione extra-culturale si vuole richiamare l’attenzione a un rapporto con lo straniero non solo di tipo sociale, ma anche di coscienza. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per comprendere come la coscienza europea sia stata nel passato, e continui a esserlo anche nel presente, un catalizzatore determinante capace di sminuire tutto ciò che non fosse europeo. Come illustra il filosofo Achille Mbembe in Critica della ragione nera, il nero viene considerato sì come un essere umano, ma verrebbe percepito inferiore per quanto riguarda la ragione, per cui il suo valore tenderebbe verso lo zero, ovvero al livello delle cose. Questo è soltanto uno dei possibili esempi di come si traduce nella pratica la gerarchia sociale del ‘noi’ e ‘ gli altri’. Qui la relazione extra-culturale si trasforma in un rifiuto oltre che in una minaccia verso il prossimo che chiude l’individuo in una relazione monoculturale asfissiante “che enfatizza i confini e la mutua distinzione in termini che producono richieste repressive di conformità comune e strategie assimilatrici”. Siamo di fronte a un fenomeno sociale nel quale il globale pretende di uniformare le culture, eliminando le differenze, le biografie delle persone, lo status, le origini, la religione, insomma la storia particolare che li ha condotti verso un altro paese. Ancora una volta si ripresenta l’aspetto dell’uguale a sé stesso, un fenomeno etnocentrico, nel quale il soggetto non è in grado di decentrarsi dalle proprie convinzioni e di rifletterle. La relazione extra-culturale ha bisogno di riflessione e dicendo questo intendo un processo di apertura al prossimo che ha come obiettivo finale la convivenza con quest’ultimo, anziché la mera coesistenza, perché quest’ultima privilegia le categorie, anziché discuterle o rimuoverle.
Quando avviamo una ricerca sulle differenze in noi stessi, stiamo tentando di riflettere su che cosa abbiamo di estraneo. Prendere coscienza della nostra ‘estraneità’ è un risultato che può sorprendere anche le anime più sensibili ed empatiche, in quanto c’è sempre il rischio che le differenze in noi stessi vengano interpretate come forme di alienazione o di contraddizioni interne nelle quali non ci riconosciamo. Occultare le differenze interne significa come afferma Amartya Sen arroccarsi nella propria identità e violenza, celebrare come unica forma possibile di appartenenza quella che riduce o assorbe l’individuo in una collettività, senza la capacità di prendere in considerazione altre categorie o culture che possono dar senso alla propria vita. Si deve avere il coraggio di spogliarsi della convinzione che le proprie credenze siano condivisibili da tutti. Tale considerazione non è un invito ad accettare il relativismo culturale, ma a considerare e riconoscere ciò che un tempo abbiamo considerato non moralmente condivisibile, perché estraneo a noi stessi e alla nostra comunità. Il diverso, l’alterità che spaventa, non è nient’altro che una reazione refrattaria alle nostre differenze interne: l’altro, cioè, è un problema perché non siamo più in grado di riconoscerci nelle nostre contraddizioni e differenze e abbiamo la pretesa di adeguarci ad un modello di identità unitario. Abbiamo un problema a riconoscerci nell’altro, abbiamo un problema a riconoscerci ed accettare noi stessi. Il traguardo sociale è di trasformare l’aridità con se stessi e con gli altri in una forma di risonanza, nella quale l’altro è riconosciuto in noi senza bisogno di gerarchie di nessun genere. La risonanza è un concetto che prima di tutto esclude l’eco e che si basa su un rapporto simmetrico, nel quale la mia visione non deve essere condivisa, ma pronta alla divergenza, per permettere un dialogo attraverso il quale gli interlocutori siano in grado di rivedere le categorie che dal passato ad oggi hanno generato un muro territoriale e sociale. Di fronte a questo fenomeno non possiamo sottrarci alla responsabilità morale che si basa sull’ascolto attivo. Prima di tutto, però, dobbiamo essere in grado di ascoltare noi stessi, prendendo coscienza che ognuno di noi, sin dalla nascita, è straniero a sé stesso.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA ENDOXA SETTEMBRE 2022 GIANLUCA GUASTAFIERRO STRANIERI A NOI STESSI