SCONOSCIUTI ALLA MEMORIA

2677257668_0920ecf431_bGIULIANA VENDOLA

“Tu mi hai rubato gli occhi”, e mi porgeva la rosa più bella del suo giardino. L’attimo di lucida presenza che mia nonna riusciva ancora a regalarmi, la frase che ho cercato di tenermi stretta per tutta l’esistenza per ricordare chi fosse, chi fossi. Mia nonna pronunciava quelle sei parole e poi il buio, dinanzi allo specchio tornava a perdersi nel suo riflesso, a stupirsi davanti a lineamenti che non racimolava, a far la conoscenza dell’estraneo spigoloso che le faceva il verso. Maria ha trascorso dieci anni in compagnia di un invadente e sadico straniero che sul più bello le faceva calare il velo del presente, portandola a credere di essere alla prima notte di nozze col marito trentenne di fianco, facendole avvertire sulla pelle l’umidità delle mattine in cui accompagnava sua madre al vascone dell’antica fontana, tra amarezze di provincia e chianche sbilenche. L’Alzheimer è scivolato così, quatto quatto, entrando come l’ospite indesiderato nella sua memoria, divertendosi a sparpagliare i tasselli delle sue dimensioni spazio temporali recenti e prossime, appuntandole in cima solo quelle di una vita remota. I medici la chiamano “patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo, processo di annientamento delle cellule del cervello e deterioramento di ogni funzione cognitiva”; per gli Enea pronti a caricarsi sulle spalle con cura i loro Anchise non è altro che uno sleale vampiro in grado di succhiare i vissuti, di passare una mano d’intonaco bianco sul volto di chi ami ed è lì a imbeccare ricordi. Era questo l’estraneo che si era insediato nella mente di Maria sfondando i cancelli della ragione, iniziando un’opera di sgretolamento dagli ultimi scalini: il pensionamento, la nascita di sua nipote, la commedia teatrale di fine anno messa in scena con gli alunni, il foulard che le aveva regalato suo figlio per gli ottant’anni, le rughe. Nulla, le pareti erano bianche; restava una Maria straniera a se stessa, aggrappata all’adolescenza, alle brame della giovane maestra che seguiva con la coda dell’occhio le parole scarabocchiate dei suoi bambini.

Secondo il fenomenologo tedesco Bernhard Waldenfels passiamo tutta la vita “imprigionati nella nostra propria immagine, sgomentati dalla nostra propria voce, tagliati nella nostra propria carne” per poi ritrovarci improvvisamente colpiti da un evento irrompente che parte dal proprio corpo, si fa estraneo e nello stesso tempo ci trasforma in sconosciuti dinanzi a noi stessi. Se così fosse allora la malattia, quell’impostore che finisce per abitarci, l’Alzheimer non sarebbe altro che un accadimento irrompente, una fase che ci incrina, ci trasfigura, ci allontana da noi stessi, pur nascendo e morendo nella nostra corporeità. Ed è forse questo il motivo per cui quell’abusivo, che si nutriva di ombre, cicatrici, pieghe di Maria, le aveva lasciato il laccio, la traccia del suo sguardo da ragazza, dei lineamenti freschi e orientali che finiva per ridipingere continuamente su una nuova tela. Sempre lo stesso cipiglio, il suo, che la mattina le sembrava di un’anonima testarda e con il passare delle ore riprendeva i tratti familiari, per poi sgattaiolare nello scantinato dei dimenticati. Fino al lampo in cui per sbaglio incrociava un taglio, il mio, in cui mi sbirciava e si riconosceva, avvertendo al tempo stesso la vicinanza e lo strappo doloroso di ciò che la malattia le stava togliendo. Quel giorno durava un soffio e lo dimostrava l’ansia che Maria aveva nel dire quanto mi vedesse sciupata, come se sapesse di avere il tempo contato nell’oggi, di avere pochi secondi ancora con se stessa prima di ripiombare nell’oblio. Lei aveva fretta di donarmi sprazzi di amore lucido, perché sapeva di avere alle calcagna la perdita d’intuizione, pensiero, visione, movimento e voce. Era l’unico istante in cui Maria tornava a essere mia nonna, in cui i confini rientravano, riprendendo a combaciare. Forse nel mio volto c’era un’aura che risvegliava in lei l’appartenenza, la casa, il senso del proprio; forse, era in gioco un sentimento così viscerale che nemmeno il fariseo, il tarlo che le aveva svuotato ogni cassetto, mangiucchiandole abiti, gestualità e quotidianità, sarebbe mai riuscito a sabotare. “Tu mi hai rubato gli occhi”, e mi porgeva la rosa più bella del suo giardino. Me la tengo stretta, per ricordare chi è, chi sono.

PET scan of an healthy brain compared to a brain at an early stage of Alzheimer’s disease.” by Institut Douglas is licensed under CC BY-NC-ND 2.0.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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