UNO STATO STRANIERO
PIER MARRONE
Qualche anno fa mi capitò di portare la mia amata gatta persiana da una veterinaria. Si era in periodo di elezioni, alle quali non partecipo dal 1996 (ovvero vi partecipo non recandomi alle urne. Interromperò il mio digiuno elettorale quando riterrò che le libertà in Italia siano in pericolo). La dottoressa iniziò un lungo monologo sulla necessità di pagare le tasse, anche se elevate nel suo caso (ma non meno nel mio, che sono un lavoratore dipendente), concludendo la sua ammirevole filippica con l’epocale frase “Perché lo stato siamo noi!” Commosso da tanta ammirevole manifestazione di senso civico, non mi sarei certo atteso che concludesse la visita alla mia adorata felina proponendomi un pagamento in nero con conseguente sconto, se non fossi già stato ammaestrato dalla vita sull’ipocrisia umana, soprattutto quella di chi proclama ad alta voce di avere dei principi. Chi segue realmente dei principi di comportamento, non ha bisogno di proclamarli, ma li esibisce nei suoi comportamenti e non nelle sue parole.
Fatta la tara all’ipocrisia della veterinaria, però la stolida professionista faceva emergere un problema reale, che ha a che fare con la giustificazione dell’autorità. Noi normalmente obbediamo all’autorità. Paghiamo le tasse (soprattutto quando siamo costretti a farlo), non falsifichiamo diplomi di istruzione, non esercitiamo abusivamente le professioni, rispettiamo molto spesso il codice della strada, non parcheggiamo, a meno che non siamo dei bastardi, nei parcheggi riservati ai disabili. La maggior parte di noi è del resto composta da persone che non sono bastarde. È questo il motivo per il quale obbediamo all’autorità? Lo facciamo perché in generale siamo brave persone? In effetti, la maggior parte di noi si comporta come tale la maggior parte delle volte, ma è chiaro anche che molti di noi hanno degli impulsi anti-sociali ai quali non danno quasi mai corso (non ti piacerebbe tirare sotto con la macchina quel collega che te ne ha combinato di tutti i colori? Non vorresti tirare una sberla a quella tizia chiacchierona che ti fa perdere un sacco di tempo in fila alla cassa del supermercato?).
D’altra parte, dobbiamo anche chiederci se obbediamo all’autorità unicamente per paura delle sanzioni. Prendiamo il codice della strada. Lo seguiamo non solo perché vogliamo evitare di prendere delle multe, ma anche perché viviamo nella generale presunzione che le norme del codice della strada saranno seguite anche dalla quasi totalità di chi percorre la rete stradale. Sono delle norme che seguiamo perché ci aiutano anche a fare delle previsioni sul comportamento altrui. Però possiamo, proprio a partire da questo insieme di norme, porre delle domande più specifiche. Ad esempio: sarebbe possibile che questo insieme di norme emergano in maniera spontanea, senza nessuna autorità statale che le imponga? Sarebbe possibile erogare delle sanzioni senza lo stato al quale obbedire?
I problemi relativi all’autorità dello stato sono quindi più di uno, come sempre accade quando si mette in questione qualcosa che ci sembra così naturale come l’aria che respiriamo. Anche lo stato ci immaginiamo che, se non è stato sempre lì, sia comunque presso di noi da molto tempo, qualche volta da un tempo immemorabile, come ad esempio alcuni russi e alcuni ucraini amano pensare. Ma il problema è, tuttavia, sempre lì: per quale motivo obbedire allo stato? Magari, qualcuno potrebbe pensare che essere senza stato è l’equivalente per la vita sociale di essere senza aria, ma sarebbe in errore, perché noi conosciamo società che esistono senza la presenza dello stato, che è un’invenzione recente. Si potrà forse dire che lo stato rende possibili (o rende impossibili) alcune o molte cose che in una società dove lo stato è assente non ci sono, ma l’analogia chiaramente non sta in piedi. Quindi, se ne deve concludere che non esiste nessun analogo naturale per l’esistenza sociale dello stato. Lo stato è un’istituzione artificiale, un’invenzione totalmente umana e non un dato di natura.
Oltre a questo problema: “perché obbediamo all’autorità dello stato?”, che in effetti ha più di una risposta, ce ne è un altro, ossia: “perché riteniamo legittima l’autorità dello stato?”. La soluzione che una importante tradizione filosofica ha escogitato è stata questa: l’obbligo di obbedire allo stato deriva da un contratto volontariamente sottoscritto, per mezzo del quale un gruppo di uomini e donne, magari in rappresentanza di altri uomini e donne, fonda lo stato nel quale viviamo. Questo contratto vale a sostenere che l’autorità legittima dello stato, che non è quindi basato sulla violenza dell’arbitrio. Piuttosto, attraverso questo contratto lo stato assume il monopolio legittimo della coercizione, ossia della violenza legale. Ci sono numerosi problemi in questa idea contrattualistica. Il più evidente è che non ci sono tracce storiche di un contratto all’origine degli stati nazionali che conosciamo. La loro origine è piuttosto la violenza, la guerra, la conquista, il furto e la sopraffazione. Da nessuna parte ci viene una testimonianza di un pacifico consesso di saggi rappresentanti che decidono di dare forma stabile alle loro relazioni fondando un’organizzazione superiore a tutte le altre organizzazioni insediate in un dato territorio. C’è però anche un altro problema. Ammettiamo pure, per amore dell’argomento, che ci sia stato, che ci sia potuto essere un tempo dove questo accordo contrattuale sia stato stipulato su base volontaria. Anche se così fosse, perché questo contratto dovrebbe essere vincolante per noi? Un contratto è vincolante per coloro che lo sottoscrivono, non per coloro che non lo sottoscrivono. Il semplice fatto che abbiamo sempre convissuto con la sua presenza non rende legittima la sua autorità. Se questa linea di ragionamento fosse valida, si potrebbe sostenere che coloro che vivono all’interno di un territorio dove prospera da molto tempo, da prima della loro nascita, un’organizzazione criminale dedita all’estorsione, all’omicidio, al traffico di essere umani, di armi, di sostanze illecite rendono legittima l’esistenza di questa stessa organizzazione criminale.
Noi, dunque, non abbiamo sottoscritto nessun contratto che renda legittima né l’esistenza né l’autorità dello stato. Però si potrebbe mettere in campo questa analogia: se io sottoscrivo un contratto per affittare un appartamento, il fatto stesso che paghi il proprietario vivendo in quell’appartamento è una dimostrazione del fatto che io ritengo sia legittimo che il proprietario pretenda il pagamento dell’affitto per il fatto di erogarmi un servizio. Allo stesso modo, il fatto medesimo di usufruire dei servizi dello stato significa che io ritengo legittimo sottostare alle regole che lo stato ha erogato per usufruire di quei servizi. L’analogia sembra in effetti funzionare, ma in realtà è una similitudine molto debole. Infatti, se io non intendo usufruire di un alloggio in affitto, in condizioni normali posso andarmene ad abitare da un’altra parte, poiché se il proprietario mi costringesse a versare del denaro e mi rinchiudesse dentro l’appartamento, questi atti sarebbero ritenuti illegittimi, mentre se non riconosco l’autorità dello stato non posso in condizioni normali andarmene da nessuna altra parte dove non ci sia uno stato. Emigrare in Antartide non è infatti un’opzione praticabile.
Un’altra linea di difesa del contrattualismo sostiene che in effetti non ha la minima importanza che un reale, effettivo atto contrattuale ci sia stato all’origine dello stato. È sufficiente che lo stato si ispiri nelle sue linee basilari a dei principi che dei soggetti razionali avrebbero scelto in condizioni di scelta opportunamente specificate. Queste condizioni di scelta potrebbero implicare che nessuno dei soggetti sappia precisamente chi egli sia, il suo sesso, il suo reddito, il suo livello di istruzione. È chiaro che questo è un esperimento di pensiero, una tecnica molto amata dai filosofi, che opera sui cosiddetti enunciati controfattuali, enunciati del genere “cosa sarebbe accaduto se…”, “cosa accadrebbe se…”. In questo caso, l’esperimento mentale si enuncia in un modo simile a questo: “a quali principi di organizzazione fondamentale dello stato si dovrebbero ispirare dei soggetti x?” Quindi, l’idea di questo esperimento di pensiero sarebbe che tu legittimi lo stato a farsi obbedire, perché se ti trovassi in condizioni opportune di scelta, sembrerebbe razionale a chiunque obbedire allo stato. Se il ragionamento fosse valido, la conclusione sarebbe molto forte. Disgraziatamente, il ragionamento non è valido. La ragione è semplice. Le condizioni di scelta di cui parla questo esperimento possono variare di molto, perché non risulta ovvio che cosa sia esattamente un “soggetto razionale”. Razionale potrebbe essere un soggetto che scelga i principi che permetteranno di organizzare uno stato dove ci sia il maggior sistema totale di libertà per ciascuno compatibile con il godimento di tale sistema per ciascun altro, ma potrebbe essere anche un soggetto che avesse una forte propensione per il rischio e decidesse di optare per principi che darebbero origine a un’organizzazione statale basata su caste. Tutto dipende da quali valori i soggetti ritengono meritevoli di essere perseguiti. Intendere la razionalità come una funzione universale, che deve solo essere attivata per produrre il risultato migliore a prescindere da ogni altra condizione, mi pare assomigli a una richiesta talmente onerosa da sconfinare nella volontà di potenza.
Queste brevi notazioni per indicare quanto sia difficile fondare in maniera razionale la nostra obbligazione a obbedire allo stato. A questo punto, uno potrebbe semplicemente dire che se non ci fosse lo stato, ci sbraneremmo tra di noi, perché non esisterebbero i vincoli imposti dalla legge, vincoli che sono supportati da questo ente, lo stato, che mantiene il monopolio della coercizione. L’idea è intuitivamente forte, ma sembra anche questa essere talmente generica da risultare debole. Se fosse vera, infatti, allora non ci dovrebbero essere mai state organizzazioni non statali capaci di mantenere l’ordine, applicare regole, erogare sanzioni. Eppure queste organizzazioni sono esiste ampiamente prima dell’esistenza dello stato in senso moderno e anche ora continuano a esserci all’interno degli stati. Libere organizzazioni che si formano su base volontaria e emettono codici di comportamento che i soci sono liberi di accettare o, se li rifiutano, di andarsene via, magari entrando in un’altra associazione. È evidente che queste associazioni non possono essere paragonate alla complessa organizzazione dello stato. Che somiglianza ci può mai essere tra un’organizzazione che raggruppa dei fanatici di cinema francese, dei proprietari di case, degli amanti della briscola con la complessa burocrazia di uno stato? Una delle differenze più importanti è che lo stato eroga servizi di protezioni per le persone (la polizia) e per lo stato medesimo (l’esercito), mentre le altre organizzazioni non lo fanno.
Certo, ci sono organizzazioni che forniscono servizi di protezione per i propri membri, ma si tratta di organizzazioni criminali che si legittimano attraverso l’intimidazione e l’ingiustizia, mentre lo stato e le altre organizzazioni, che sono considerate legittime dallo stato intendono legittimarsi attraverso il consenso volontario e mediante comportamenti ispirati generalmente alla giustizia. Per questo i cittadini in genere preferiscono denunciare un reato del quale sono state vittime a organi dello stato e non alla camorra. Questo, si sostiene, indica che ritengono il suo potere legittimo. Ma allora il problema potrebbe essere riformulato in questo senso: “un’autorità che non hai mai delegato a esercitare un’autorità su di te, ha un potere legittimo su di te?” Si può pensare che possa essere così. Ad esempio, tutti noi ci avvaliamo dell’autorità di professionisti (medici, commercialistici, tecnici del gas, operai edili) senza che li abbiamo esplicitamente delegati a esercitare un’autorità su di noi. Quando li paghiamo quella nostra delega diviene effettiva. Allo stesso modo accade per lo stato. Quando paghiamo le tasse riconosciamo la sua autorità legittima. Anche questa è un’analogia che però parrebbe essere molto debole. I professionisti possiamo non pagarli se pensiamo che la loro prestazione sia stata al di sotto di standard professionali accettati generalmente, senza commettere ingiustizia. Se il servizio che loro ci erogano è ritenuto da noi inadeguato e questi professionisti ingaggiano altre persone per costringerci a pagare, commettono un illecito. Però lo stato ci costringe a pagare per servizi che spesso sono di pessima qualità e/o per servizi che noi non abbiamo richiesto.
Questo ultimo è un fatto che non ha bisogno di essere ulteriormente argomentato, perché tutti hanno in mente episodi che riguardano servizi che lo stato ha erogato in maniera particolarmente inefficiente, pur in presenza della possibilità di erogarli a un prezzo minore e con maggiore qualità. Se però noi questi servizi non vogliamo pagarli in tutto o in parte, lo stato attiva dei suoi funzionari che ci costringono a pagare con la violenza, ad esempio bloccandoci il nostro conto corrente o sequestrandoci dei beni. Come è possibile giustificare questo comportamento dello stato e in quale modo si differenzia in maniera sostanziale da quello di professionisti che ci obbligano attraverso dei teppisti a pagare per servizi che non hanno erogato o hanno erogato al di sotto di standard accettati? A me al momento viene in mente una solo giustificazione, che è quella della coesione sociale. Se smettessimo di pagare per il sistema sanitario nazionale, è facilmente immaginabile il carico di effetti negativi che ne deriverebbe, con conseguenze negative a molti livelli sia nella sanità sia nella sicurezza sociale. C’è una correlazione molto forte tra una elevata diffusione dell’assistenza sanitaria e minore diffusione dei crimini. Naturalmente, si potrebbe porre il problema se effettivamente c’è necessità dello stato perché questo servizio sia erogato. Molti ne dubitano. Alcuni altri, probabilmente non altrettanti, pensano che sarebbero sufficienti delle associazioni volontarie per erogare questo e tutti gli altri servizi erogati dallo stato. Solo queste associazioni volontarie sarebbero fonti di autorità legittime.
Certamente, lo stato non è una di queste associazioni, perché non presuppone un’adesione volontaria. Noi ci troviamo a vivere nello stato, ma quanti di noi possono dire di avere fatto una scelta consapevole di adesione all’ordinamento dello stato? Pochi. Nessuno ha invece fatto quella scelta volontaria che sarebbe necessaria per giustificarne l’autorità legittima. Allora, perché è così difficile metterne in questione l’autorità? Penso per almeno due motivi:
(1) il primo è che lo stato dove viviamo lo legittimiamo semplicemente perché ce lo siamo trovati nella nostra vita. Czeslaw Milosz, nel suo La mente prigioniera, immaginava che questo era il meccanismo che legittimava gli stati totalitari: si presentano con l’evidenza di un fatto naturale, come se ci fossero sempre stati. Sembrano immortali. L’osservazione di Milosz è acuta e io credo corretta, solo che vale anche per i nostri stati democratici; vale, io penso, per ogni stato. Del resto, nessun stato ha l’interesse a promuovere, magari attraverso l’educazione la resistenza al potere e all’autorità. Questa tendenza a ritenere l’autorità naturale, anzi: a essere attratti dall’autorità, come se nell’autorità ci fosse anche un sottofondo erotico, è probabilmente propria della psiche umana. Numerosi esperimenti di psicologia sociale sembrerebbero dimostrarlo:
(2) la seconda ragione è che lo stato è un’istituzione che esercita una sua egemonia su un territorio delimitato e generalmente molto esteso. Per governare territori di questo genere pare sia necessaria una organizzazione complessa. Con questa osservazione la partita sembrerebbe essersi conclusa a favore dello stato, ma è davvero così? Non ci potremmo invece chiedere se è realmente necessario vivere nei confini di un territorio esteso? L’esperienza storica sembra smentire questa conclusione. Quale che sia la possibile alternativa allo stato come lo conosciamo (uno stato superminimo, ridotto a polizia, esercito e magistratura, come vorrebbero i libertari; nessuno stato come vorrebbero gli anarchici) non può essere una domanda disgiunta da quest’altra: quale sia l’alternativa realistica all’esistenza dello stato. Questa ultima interrogazione non ha al momento una risposta né chiara né ha il carattere dell’urgenza. È un’interrogazione che per ora vive solo nell’utopia. Ma si tratta di un’utopia che vale la pena di coltivare, perché nessuna autorità merita di essere accettata per il semplice fatto che si impone alle nostre esistenze.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA ENDOXA SETTEMBRE 2022 Pier Marrone STRANIERI A NOI STESSI