IL VAMPIRO OPPURE LO ZOMBIE? TUTTA QUESTIONE DI INTENZIONALITÀ
RICCARDO DAL FERRO
Nello zombie non c’è niente. Non c’è contenuto, solo guscio. Non c’è idea, anima, liquido, non c’è niente se non un contenitore semovente. Lo zombie atterrisce perché è un’idea mostruosa molto più familiare rispetto ad altre.
Infatti, se lo volessimo confrontare con il vampiro, troveremmo delle differenze molto significative.
In primo luogo, il vampiro non è vuoto, è pieno di un parassita, qualcosa che si è sostituito all’individuo, all’anima. Nel vampiro, la maledizione imperitura “prende il posto” del sé e all’interno del corpo che vede deformati i canini, la struttura ossea e le cellule epidermiche, alberga un demonio (letteralmente, un daimon) che prende possesso di qualcosa che non è suo. Al contrario, nello zombie nulla prende il posto, non c’è alcuna sostituzione. Nel guscio vuoto rimane il vuoto, la vacuità totale e dispersiva che ci si presenta di fronte ad uno sconfinato deserto. Lo scambio che si manifesta nel vampiro (il demonio al posto della coscienza) non avviene nel contagio dello zombie, dove all’anima si sostituisce il niente.
In secondo luogo, il vampiro mantiene una volontà, un’intenzione. Per quanto distorte e disdicevoli, le intenzioni di Nosferatu sono distinguibili dal resto dei suoi commilitoni o dei suoi detrattori, sappiamo che i suoi desideri sono diretti ad un obiettivo e che i suoi gesti, per quanto poco irreprensibili, vanno nella direzione di qualche cosa da conquistare. Il vampiro è interpretabile, la sua malvagità negoziabile, la sua individualità infernale ma presente. Per quanto riguarda lo zombie, andare alla ricerca delle sue intenzioni è come cercare una luce in mezzo ad un bosco notturno, un’oasi nel mezzo del deserto di Gobi. Lo zombie non ha volontà, non desidera, è guidato da una meccanicità che non lascia spazio all’obiettivo, al perseguimento, alla direzionalità. Lo zombie non è interpretabile poiché il vuoto che presenta all’interno di quel guscio non ha alcun significato, né possiamo noi stessi attribuirgli un significato poiché cadremmo preda di una superstizione. Lo zombie non ha scopo perché il mezzo senza sguardo, è lo strumento di forze prive di legami con la razionalità e ci lascia atterriti perché in lui, volenti o nolenti, rivediamo parti della nostra esistenza. Questo è il motivo per cui lo zombie ci allontana più del vampiro. Di fronte a Dracula possiamo persino provare fascino, ma lo zombie ci ripugna ardentemente. Un po’ come quando in un insettario ci troviamo di fronte alla tarantola, che ci spaventa ma affascina, e la blatta, che ci allontana senza se e senza ma: la tarantola ha un suo carattere, la blatta ci appare come meccanismo ripugnante intriso di vuoto cosmico.
Quando guardiamo negli occhi il vampiro (cosa che ad un filosofo capita molto spesso, e non perché di cognome faccia Van Helsing), ciò che vediamo è una creatura prescelta fra milioni e miliardi. La maledizione che attraversa il corpo di Vlad l’Impalatore non è cosa per tutti, anzi: sono pochissimi gli individui che divengono vittime di questo dubbio privilegio, ed esso porta con sé molti doni preziosi, tra cui l’immortalità, la forza sovrumana e un’intelligenza che rasenta il divino (o il diabolico). Il vampiro affascina perché rappresenta una trasformazione dalla normalità dell’umano all’anormalità del luciferino, dall’omologazione del biologico all’eccentricità del demoniaco, e a tutti noi l’idea di scambiare l’ordinaria mortalità per un’infernale immortalità solletica e crea aspettativa. La possessione poi prende per la gola il nostro sadico bisogno di essere rapiti, relegati, schiavizzati all’interno del corpo da una volontà che potenzi l’esistenza al prezzo della nostra fragilità, ed è il motivo per cui le vittime di Dracula spesso si donano ad Esso con una docilità che rischia di sembrare consenso.
Lo zombie non ha nulla di tutto questo. Non ha nulla di speciale perché gli viene tolto qualcosa di ordinario (la soggettività) senza che essa venga sostituita da qualcosa di straordinario. Rimane vuoto, è un umano ridotto, depotenziato, al punto da risultare disumano, o meglio: a-umano. Lo zombie può essere chiunque perché a chiunque può essere tolta quella soggettività, anche a coloro che ne sembrano privi pur non essendo zombie. Lo zombie non affascina perché non è prescelto, è semplicemente accaduto, è un evento, è una botola dentro cui è caduta l’anima, irrecuperabile e priva di testimoni a favore. Allo zombie che perde l’anima non viene dato né restituito alcunché: non diventa più forte e anzi inizia a decomporsi velocemente; non gli viene data l’immortalità e anzi è di fatto già morto (ma sicuramente qualche cattolico dirà che può ancora procreare e che i suoi diritti vanno difesi); non è più intelligente, pur riuscendo a confondersi in mezzo a molti di coloro che passano l’intera giornata su Tik Tok. Lo zombie non ci guadagna nulla, non ha più storia personale perché non ha più cognizione del tempo, delle causalità, dell’interiorità. E la cosa ci atterrisce perché ci accorgiamo che a noi, quella cosa lì, capita più spesso di quanto desideriamo ammettere.
Infatti, l’ultima grande differenza tra i due mostri è la seguente: il vampiro è integrale, lo zombie può essere parziale. Con questo intendo dire che quando la maledizione colpisce la preda del vampiro, l’individuo ne viene completamente invaso e non rimane alcunché di colui o colei che era prima del morso. Il morbo scorre veloce nel sangue e inesorabilmente trasforma il soggetto nella sua totalità fino al punto da essere integralmente un vampiro. Ma lo zombie, questo strano addormentamento del sé, capita ogni giorno all’essere umano in modo parziale. Infatti, molti dei nostri comportamenti sono “zombificati” poiché ci impegniamo in cose senza che le nostre intenzioni siano coinvolte: passare tre ore di fila a “scrollare” contenuti su Instagram senza davvero trarne un vantaggio oppure ascoltare il racconto dello zio al pranzo di Natale annuendo energicamente ma senza comprendere una sola sillaba di quanto sta dicendo. Molte delle nostre convinzioni sono zombificate perché finiamo per nutrire idee senza capire da dove esse siano arrivate: così come qualcuno diventa terrapiattista perché lo dice il suo youtuber preferito, ma senza mettere in discussione le fonti e verificare personalmente, altri diventano “terrasferisti” (perdonate il neologismo) per lo stesso motivo passivo, ovvero perché qualcuno di simpatico glielo ha detto in un video dove critica ferocemente il partito contrario, ma senza mai portare storia dei ragionamenti, prove o argomentazioni adeguate a comprendere le radici di certi fatti. Questo vale per tutti i problemi che coinvolgono idee divisive e complesse: dal diritto all’aborto alla serie TV più discussa del momento, dal credo religioso al dibattito sull’ultima canzone di Shakira: i motivi per cui aderiamo ad un partito oppure all’altro non dipendono dalla nostra volontà critica, ma da rimbalzi casuali di parole, esperienze e tendenze che, di fatto, trasformano quella parte della nostra esistenza in uno zombie parziale.
Attenzione però: nessuno è esente da questa inevitabilità. Anche i premi Nobel e i grandi filosofi finiscono per “svuotarsi” quando si parla di cose specifiche o di esperienze particolari perché non possiamo essere intenzionali su tutto e la nostra volontà è sempre una coperta troppo corta che lascia fuori i piedi oppure le spalle. Lo zombie è in tutti noi perché parti zombificate delle nostre idee e della nostra esistenza ci perseguiteranno sempre e comunque. Siamo creature limitate e, in quanto tali, non possiamo arrivare ad illuminare coscientemente ogni angolo della nostra vita e della nostra testa.
Lo zombie ci ricorda tutto ciò ed è un mostro che ci atterrisce perché è forse il più umano di tutti.
Se però non vogliamo che la zombificazione naturale e parziale della nostra esistenza finisca per mangiarsi tutto, dobbiamo renderci conto di quanto detto sopra. Il modo perfetto per far sì che il morbo prenda ogni angolo del nostro sapere e della nostra coscienza, tramutandoci nelle creature semoventi di “The walking dead”, è quello di dimenticare che la zombificazione è un processo naturale che va continuamente contrastato, che non c’è soluzione il cui esito sia quello di de-zombificarci completamente o che ci esenti dal problema. Ci sarà sempre qualcosa che muore, che si decompone, che viene abbandonato dalla coscienza e dalla volontà, dentro di noi. Questo deteriorerà le relazioni, il lavoro, l’autostima e i nostri risultati, ma se dimenticheremo di usare sempre una dovuta autocritica per individuare questi processi di cancrena, ecco che essa prenderà il sopravvento e ci inghiottirà in fretta.
La lotta contro la zombificazione è uno dei più importanti e delicati compiti della filosofia: renderci conto di quanto, continuamente, si zombifica dentro di noi. E, una volta accortomi di ciò, rimettere in moto il cervello e la mia volontà per contrastare il contagio.
C’è chi muore da filosofo e chi vive troppo a lungo fino a diventare del tutto uno zombie.
Io, sinceramente, vorrei tenere sveglia la mia volontà, almeno ancora per un po’.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Endoxa gennaio 2023 Riccardo Dal Ferro Zombie