FINZIONI SPECISTE
MASSIMO FILIPPI
ENRICO MONACELLI
I processi della différance, della traccia, dell’iterabilità, della dis-appropriazione […] sono all’opera dappertutto, cioè ben al di là dell’umanità.
Jacques Derrida, “Il faut bien manger” o il calcolo del soggetto
Capo
Secondo la Treccani, la finzione è “l’atto, o l’abitudine, di fingere, di simulare” nonché un’“invenzione della mente, ciò che si crea con l’immaginazione”. Lo specismo, a nostro parere, è la struttura sacrificale in cui l’ideologia che normalizza lo smembramento istituzionalizzato dei corpi (animali) si incontra con i dispositivi che lo effettuano.
Poiché in questa sede si discute di finzioni, tralasciamo subito i dispositivi di smembramento animale (mattatoi, allevamenti, laboratori ecc., il loro immenso indotto e le leggi e le disposizioni che li regolamentano) che tutto sono tranne che simulazione, per concentrarci esclusivamente sul calcolo della favola specista (per fare ricorso ai termini utilizzati da Derrida a proposito della costituzione del Soggetto come esclusione dell’Animale). L’ideologia specista è un’ideologia che, più di ogni altra, si alimenta di meccanismi finzionali per rendere funzionali, occultandoli, i dispositivi di smembramento. Come afferma Žižek, l’ideologia “comporta che gli individui ‘non sappiano quello che fanno”“ – che coloro che pensano di far parte di una realtà sociale non ne conoscano l’essenza e che, pertanto, l’illusione ideologica sia tesa a ingannare soprattutto il grande Altro (l’ordine simbolico in cui bisogna continuare a credere anche quando non esiste più o non è mai esistito se non nella forma della violenza più cupa). In breve, l’ideologia non è tanto “uno sguardo parziale che non riesce ad abbracciare la totalità dei rapporti sociali”, come sostiene il marxismo, ma piuttosto, lacanianamente, “una totalità volta a cancellare le tracce della propria impossibilità”. L’ideologia, insomma, come afferma Althusser riprendendo Pascal, è una finzione performativa: “Inginocchiati e crederai”.
Per quanto riguarda la questione animale – lo sfruttamento inimmaginabile e la messa a morte industrializzata di decine di miliardi di non umani ogni anno –, possiamo definire l’ideologia giustificazionista che la legittima come l’abitudine di simulare la naturalità di un ordine simbolico che abbiamo costruito a nostra immagine e somiglianza, l’invenzione della mente che, mentendo, cancella le tracce letali dell’impossibilità ontologica, esistenziale, politica e sociale in cui, senza saperlo, siamo immersi. L’ideologia specista è la favola che intende ingannare il grande Altro, facendogli credere di non essere lo stato di eccezione permanente che l’animale parlante ha istituito nel momento stesso in cui ha definito unico il proprio ordine simbolico – in altre parole, facendo credere al grande Altro di non essere l’Uomo Stesso. Allargando allora la prospettiva per comprendere quelle/quei viventi mortali che chiamiamo animali, il detto di Althusser/Pascal diventa: “Inginocchiati di fronte all’altare dell’Uomo e crederai che sia naturale/normale mettere a morte l’Animale”.
Corpo
Le finzioni che costituiscono la totalità della finzione specista sono innumerevoli. È possibile, però, individuare due categorie principali, a cui abbiamo già fatto allusione. La prima è quella che potremmo chiamare categoria delle finzioni volgari. Scopo di questa categoria è la distrazione, ossia lo spostamento sistematico dell’attenzione dall’ordine simbolico che ingiunge di soggiogare la terra e dominare gli animali per far sì che le lame taglienti dei dispositivi di smembramento possano funzionare a pieno ritmo senza generare consapevolezza sociale (tutti continuano a fare senza sapere e, così facendo, alimentano la struttura sacrificale, alimentandosi dei suoi prodotti, e viceversa). Limitandoci al solo complesso allevamento/mattatoio (il maggior responsabile del massacro animale), ecco alcuni esempi di finzioni volgari: la dieta vegana è incompatibile con la vita e/o la salute; i vegani mettono a repentaglio la sopravvivenza dei loro figli e quindi quella del Bambino che è alla base della possibilità di futuro di qualsiasi società umana; siamo onnivori per natura o per volere divino, in quanto Dio o la Natura ci hanno posti all’apice della catena alimentare; il consumatore responsabile non smette di mangiare carne, ma mangia carne di animali allevati bene ecc. Seguendo Mark Fisher potremmo parlare di realismo onnivoro: l’alimentazione carnea non è priva di problematicità, ma è comunque la migliore delle alimentazioni possibili. There Is No Alternative.
La seconda categoria è quella che potremmo chiamare categoria delle finzioni speculative, il cui scopo principale è di naturalizzare normalizzando e di normalizzare naturalizzando l’abominevole. Questa categoria comprende diverse astrazioni reali che, pur facendo riferimento a esseri inesistenti, influiscono tragicamente sulla vita/morte de* viventi mortali, in carne e ossa, che co-abitano la Terra. Ecco una lista parziale delle finzioni speculative dello specismo:
a) L’Uomo: maschio, bianco, eterosessuale, cristiano, adulto, abile, sano, proprietario e carnivoro; il paradigma fantasmatico di “un ideale che nessuno può incarnare” (per usare le parole di Butler), ma che decide quali corpi contino e quali no, quali corpi possano accedere al privilegio di specie, quali debbano invece essere consegnati allo sfruttamento e alla messa a morte non criminali e quali, infine, debbano essere fatti permanere nella circolazione mercificante “Colpa-Debito-Colpa”, nel rischio perenne di poter essere smaterializzati.
b) L’Animale: il resto e lo scarto di ciò che non è considerato Uomo e di cui quest’ultimo si appropria tramite l’esclusione ed esclude tramite l’appropriazione. L’Animale, come l’Uomo, mette in scena, fingendo di non farlo, l’osceno, una spietata violenza epistemica e materiale che racchiude in sé non solo tutt* le/i viventi animali, dagli scimpanzé alle pulci, ma anche tutt* le/gli appartenenti alla specie Homo sapiens che non vengono considerati Uomo.
c) La Specie: barra disgiuntiva tra l’Uomo e l’Animale, è un’invenzionedisciplinante – come il Sesso, il Genere, la Razza ecc. – intesa a separare in maniera naturale e assoluta ciò che non lo è e che non può esserlo. La Specie con la sua barra e le sue barriere non è tanto la mera descrizione di un ordine naturale immutabile o di un processo evolutivo altrettanto naturale, quanto piuttosto un costrutto performativo utile, quando serve, a disciplinare l’in/finito gioco de* viventi (quando serve, perché, come è noto, il capitalismo, l’impresa biotecnologica e i coronavirus, per esempio, i salti di specie li fanno, eccome!). La specie è un espediente – Darwin non aveva dubbi: “Considero il termine specie come applicato arbitrariamente, per ragioni di convenienza, a gruppi di individui molto somiglianti fra loro” – per naturalizzare (e così fingere che non siano operativi) i suoi stessi effetti: la creazione di specialità (che sacralizzano alcune caratteristiche umane e i corpi che vi si conformano) e la legittimazione dei fenomeni di speciazione (la produzione di corpi sub/non umani che possono essere smembrati impunemente).
d) La Natura: qualcosa di totalmente slegato dalla Cultura (Umana, ovviamente), qualcosa di così insufficiente da aver bisogno della Cultura per poter accedere alla parola, qualcosa che, secondo Descola, è tutt’altro che naturale, essendo l’invenzione più riuscita e abusata del naturalismo occidentale, vero e proprio “esotismo” sconosciuto alle altre ontologie – animismo, totemismo e analogismo – e allo stesso Occidente prima del sorgere e dell’incedere del Capitale. La Natura, che è sempre là fuori e che costituisce l’habitat degli animali, è lo sfondo delle peripezie dell’Uomo ed è chiamata in causa, a seconda delle necessità, per fungere da discarica per ciò che l’Uomo ha smaterializzato o da risorsa da cui l’Uomo può estrarre le morfologie fisiche e gli etogrammi comportamentali a cui tutt* devono conformarsi.
Che siano volgari o speculative, le finzioni speciste sono sempre al servizio di meccanismi di animalizzazione, meccanismi che, come ricorda Adorno, costituiscono l’anticamera dello sterminio. Che cosa c’è di più finzionale dell’animalizzazione, processo che ha la capacità di ridurre chiunque ad Animale, senza modificarne la realtà materiale? Ricordiamoci, inoltre, che l’animalizzazione è sempre all’opera in ognuna delle dicotomie che innervano la nostra società: le donne, i neri, gli omosessuali e le lesbiche, le/i migranti ecc. sono svalutat* in quanto molto più vicin* all’Animale degli uomini, dei bianchi, degli eterosessuali, dei cittadini ecc. E, infine, che l’animalizzazione coinvolge anche le/gli animali: che cosa sono bovini, suini, ovini ecc. se non il risultato di pratiche di selezione animalizzante?
Che siano volgari o speculative, le finzioni speciste lavorano a produrre ciò che Carol Adams ha chiamato il referente assente: la carne che avete nel piatto non è mai stata qualcun*, ma sempre qualcosa, come è il caso di tutti i gruppi oppressi, umani o non umani che siano. Referenti assenti sono tutti i corpi smembrati, razzializzati, macellati, stuprati, sessualizzati, animalizzati, reificati e, pertanto, trasformati in beni di consumo se non in vuoti a perdere. Avete idea di finzioni più finzionali e letali di queste?
Coda
Per concludere, due precisazioni:
a) Il mondo antispecista non è immune alle finzioni speciste. In effetti, la maggioranza delle/degli antispecist* crede che la questione animale sia una preoccupazione morale individuale e non una questione politica collettiva; crede che l’oppressione animale sia totalmente scollegata dai processi oppressivi intraumani; crede che sia possibile realizzare la liberazione animale facendo ricorso alle due finzioni opposte, ma gemelle, del Diritto (come se il Diritto non fosse Umano, troppo Umano, e fosse solo inclusivo e non, come Agamben più di altri ha sottolineato, includente in quanto escludente e viceversa) e della Natura (come se noi non ne facessimo parte e non la producessimo nel momento stesso in cui le sopra-viviamo). Non a caso, allora, gli animali di Stato (secondo la lingua di Deleuze/Guattari) dell’antispecismo maggioritario sono mammiferi e vertebrati: la Grande Scimmia dal lato del Diritto e il Selvatico Ultra-Originario dal lato della Natura.
A nostro avviso, il superamento delle finzioni speciste richiede l’immersione in un processo rizomatico e tentacolare di progressiva alienazione dall’Umano e dell’Umano, affidandosi, come aiutanti kafkiani, ad animali demoniaci, dissimili da noi – non mammiferi e non vertebrati (tanto meno primati), animali viscidi, informi, disturbanti. Disappropriati.
b) La finzione non è un ulteriore proprio dell’Uomo. Il mondo è stracolmo di corpi potenzialmente ingannevoli, in esso regna un regime di mimetismo costante, tutte le menti non cessano mai di mentire, di colorarsi di finzioni per conservarsi e prosperare, di risplendere al di là dei propri limiti, di negare il limite dell’essere vulnerabili e mortali. Per parafrasare Nietzsche, anche le zanzare, gli anemoni di mare, le zecche, le blatte, gli scarafaggi, i cefalopodi, le tenie, i serpenti ecc. – e non solo l’”intelletto” umano – sviluppano le loro “forze più importanti nella simulazione”, anche loro sono dedit* a un “incessante svolazzare intorno a quella fiamma che è la vanità”.
E la verità, la realtà, allora? La Realtà/Verità ci è negata, se non vogliamo raccontarci favole, non tanto per insufficienza delle nostre facoltà, quanto soprattutto, come insegna il realismo speculativo, perché la verità e il reale sono intrinsecamente contraddittori, alienanti, bucati, finzionali. Quello di cui abbiamo bisogno non è liberarci dalle finzioni – indissociabili dalla vita/morte de* viventi mortali, che tracciano e sono tracciati, che non possono smettere di lasciare e cancellare tracce per rendersi in/visibili –, ma liberarci dalle favole tristi e calcolanti dello specismo per promuovere la costruzione collettiva di favole gioiose, produttive, potenti, incalcolabili.
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