EUROPEI, STRANIERI A SÉ STESSI: LA STORIA DI PINNENBERG PUÒ INSEGNARCI ANCORA QUALCOSA

28813663438_9f586545fe_bPAOLO CASCAVILLA

In Germania dopo le due guerre mondiali c’è stata una notevole produzione letteraria. Romanzi diversi come diversi i conflitti. Dopo la seconda guerra mondiale la domanda era: “Come è potuto accadere?”. Parliamo del totalitarismo e del consenso, l’Olocausto, le atrocità. Quella domanda era sullo sfondo dei libri di Richter, Böll, Grass. Per non parlare del cinema e del teatro. Il “gruppo 47” era un centro di elaborazione culturale itinerante, che attraverso letture pubbliche, dava la parola a giovani scrittori per capire quanto era accaduto. Le ragioni, dice Ralf Dahrendorf, occorre cercarle nella produzione letteraria del primo dopoguerra, dove ritroviamo indignazione morale (Remarque) ed anche idealizzazione estetica della guerra (Junger). In seguito, però, con la crisi della Repubblica di Weimar, si affaccia una nuova letteratura, che esprime l’esigenza di superare l’espressionismo e forme estreme di soggettività, e di parlare della realtà, senza veli e illusioni. Stile sobrio, gusto del reportage, attenzione alla quotidianità, alle paure e speranze della gente semplice. Gli autori? Fallada, Döblin, Heinrich Mann.Il luogo dove si svolgono storie e vicende è Berlino.

E adesso pover’uomo? (Kleiner Mann, was nun? di Hans Fallada. Esce con successo in Germania nel 1932 (in Italia nel 1933). La storia di due giovani innamorati e felici; un romanzo sentimentale su uno sfondo storico, in un periodo di forte sofferenza sociale. Sono gli anni che precedono la presa del potere di Hitler (1933).

Pinnenbrg è apolitico, quando è umiliato e arrabbiato al massimo dice di iscriversi al Partito Comunista. Intorno a lui vari personaggi: aspiranti nazisti, socialdemocratici impauriti, approfittatori. Inizia la sua carriera come commesso, poi il salto di qualità a Berlino nei Grandi Magazzini. Dal senso di sicurezza iniziale scivola nel pantano della crisi economica, nella rete perversa di invidia, gelosia, competizione con i colleghi. E padroni disonesti, opportunisti. C’è poi la moglie Lammchen e il bambino che nasce nel frattempo. Una famigliola come tante, sole, fragili nella Berlino degli anni Trenta. Lammchen, di famiglia proletaria, non si arrende mai. È incredibile da dove possa prendere la forza per affrontare la povertà, la mancanza crescente di prospettiva e di futuro. Avverte l’ostilità del mondo, questo, però, non la incattivisce, ma la mantiene legata a un’idea di lealtà, onestà. E quando Pinnenberg perde il lavoro ed è prostrato e umiliato, è lei che lo incoraggia, non a opporsi o resistere, ma a stringersi insieme. Di fronte alla presa confusa di coscienza del marito è lei che lo porta verso un sano realismo e a non illudersi.

“Ora me ne sono reso conto. Sono dei porci, buoni solo a mentire e a cambiare le carte in tavola, e a noi tocca star qui e far la parte dei piantagrane.” Pinnenberg non va oltre e si chiude nel silenzio. “E che vuoi fare?” domanda Lammchen.

“Scriverò un’altra volta all’ispettorato, che è ora di finirla! Che devono trattarci correttamente, che siamo degli esseri umani”.

“Pensi che servirà a qualcosa”, domanda Lammchen.

“Ma devono fare quello che vogliono? E devono prenderci a pesci in faccia? No! Qualcosa farò!” “Non servirà a niente a niente.” “Ma qualcosa bisogna farla!”

Lammchen dà la poppata al bambino: “Me l’ha insegnato mio padre. Uno da solo non può far nulla, a loro non fa altro che piacere, vederlo dare in escandescenze. Ci si divertono”. Pinnenberg si chiude nel silenzio, poi dice sottovoce: “E la prossima volta, però, voto comunista!”

Perde la competizione feroce nei Grandi Magazzini e viene licenziato. Lammchen accetta umili lavori a domicilio, la famiglia scende in basso, va ad abitare nella periferia, ai margini, nelle baracche, tra quelli che vivono di assistenza. Pinnenberg, in una strada del Centro di Berlino, viene respinto e maltrattato da un poliziotto mentre guarda le vetrine dei negozi. Rientra a casa a notte fonda, turbato, confuso.

“Ah Lammchen, cosa mi hanno fatto… la polizia… mi hanno buttato giù dal marciapiede, mi hanno cacciato via. Come posso guardare ancora in faccia qualcuno?” “Ma a me puoi guardarmi in faccia! Sempre! Sempre! Perché tu sei con me, perché noi due insieme…” I due insieme entrano in casa, dove c’è il piccolo che dorme. Così si conclude il romanzo. Un finale ambiguo. Fallada non sa dare risposte se non quella di rifugiarsi nel privato.

Pinnenberg è un tedesco medio incappato nella pesante disoccupazione in Germania, prima dell’avvento del nazismo. Ma non è da gente come questa, modesta, paziente, onesta che sono venuti fuori i nazisti? Che proprio le persone più miti. Forse alcuni mesi dopo Pinnenberg avrebbe potuto avere un lavoro e una uniforme e Lammchen premiata per i numerosi figli.

Questa storia potrebbe insegnarci qualcosa? Quali sentimenti muovono oggi i ceti popolari in Italia ed Europa? Si succedono le scadenze, si ha paura ad ogni elezione, si auspicano cambiamenti, si avverte l’esigenza di una maggiore unità politica e di riprendere lo spirito dei “fondatori”. L’Europa è cercata, aumentano i paesi che desiderano aderirvi. Ma non c’è più la spinta verso il futuro, quel vento alimentato dalle macerie di due conflitti mondiali alle spalle. Francois Mitterand poteva dire: “Io sono nato durante la prima guerra mondiale e ho fatto la seconda. Ho visto due grandi popoli ricchi di cultura e storia distruggersi. Dal 1948 ho percepito come imperativo la riconciliazione di questi popoli e la convinzione della necessità di unirsi per sopravvivere”.

Dalla storia si possono ricavare lezioni non univoche. Allora si ricavò quella di un’Europa necessaria e possibile, né chimera, né utopia. Da realizzare con buon senso e pragmatismo. E la priorità era quella di spezzare la catena dell’odio.

Ci siamo affacciati al terzo millennio con la presunzione di una identità europea, oggi ci accorgiamo che un’identità, se pur c’è, è divenuta più inafferrabile, con i muri che si erigono, gli immigrati che mettono paura da lontano. Tra di noi europei e dentro di noi emergono diversità che non vogliamo vedere. Più vecchi e stranieri a noi stessi.

Nelle scuole non ci sono più le carte geografiche. Erano un arredo importante fin dalle elementari. Sono scomparse, sostituite da internet, che non è la stessa cosa. Sarebbero interessanti mappe che parlino della Nato scivolata verso Est, le nuove cortine e divisioni, le mappe incerte e ridisegnate con decreti delle zone culturali e linguistiche. Ma non potremo avere le mappe dei sentimenti.

E ora questa guerra, cronache televisive senza interruzione, spezzettate, come i puntini dei giochi semplici da congiungere, nelle riviste di enigmistica. E tante inesattezze, dimenticanze. È davvero inevitabile, automatico essere sconvolti da una guerra vicina, in Europa, e restare indifferenti nelle tante guerre un po’ più lontane, e provocate anche dall’Occidente? Non è vero che dal 1945 il mondo non vedeva conflitti capaci di espandersi. E nemmeno che da settanta anni non si vedevano città europee bombardate. La storia è resa marginale, scomparsa, anche quella del Patto Atlantico. Era il 1954. Contenimento o rovesciamento dell’impero comunista? Allora si scelse il primo. La vittoria assoluta spiegò Eisenhower “produrrebbe una grande area devastata e distrutta dall’Elba a Vladivostock e giù attraverso l’Asia del Sud Est, senza governo, senza comunicazioni solo uno spazio di fame e disastro. Che ne farebbe il mondo civile?”

Di fronte a questo conflitto si pongono domande necessarie. La guerra, si poteva evitare? Perché gli accordi di Minsk, la questione del Donbas sono stati lasciati a bagnomaria? Perché è mancata all’Unione europea la capacità di vedere e prevedere? Il problema semplice e vero è l’appiattimento dell’Unione europea sulla Nato. Temuto non solo dai “fondatori” ma anche dai leader degli ultimi decenni del Novecento.

Quali i valori della Ue? Quali i valori e quali gli interessi? Niente può essere dato per scontato. Nessuno si batte solo per nudi interessi e nessuno solo per astratti valori. Anche il colonialismo dettato da interessi feroci e inimmaginabili si ammantava del disegno di esportare la civiltà. Per ora alcuni fantasmi si affacciano ovunque in Europa: nazionalismo, razzismo, disuguaglianze

Occidentalismo e Nazionalismo. Cosa c’è dietro l’espressione “Noi occidentali”? L’Europa ha cercato di essere diversa. Ha elaborato una cultura di pace e post eroica sotto l’ombrello della forza militare statunitense. Ha cercato, però, di mantenere la distanza dalla cultura strategica americana, militarizzata e ossessionata dal primato tecnologico. Una cultura che ha accumulato risultati (sia all’interno della società americana che all’esterno) che nessuno vuole imitare. Sarà difficile ricostruire un dibattito in Europa mantenendo una distanza storica e politico – culturale dall’entusiasmo patriottico così platealmente messo in mostra in Ucraina. Sarà faticoso se un intervento di Jurgen Habermas che analizza i tre elementi centrali nel dibattito sulla guerra (diritto internazionale, soglia oltre cui non bisogna andare, vittoria), ha suscitato reazioni irritate più che discussione.

Il razzismo in Europa. Quando a febbraio è scoppiata la guerra milioni di ucraini sono scappati verso il confine polacco. Il governo polacco accoglie milioni di profughi ucraini e a pochi chilometri chi fugge da altri confini continua a essere respinto. Due facce dell’Europa, due storie opposte. Campi profughi permanenti in Turchia, Libia, Libano.e in Polonia, a Berlino, Amsterdam, alberghi pieni. “Gli ucraini non andranno mai nei campi profughi!”. La Polonia impegnata da tempo a costruire muri per tenere lontani i profughi dalla Siria e Afghanistan si è improvvisamente aperta all’accoglienza di quelli bianchi. I provvedimenti sull’accoglienza, continuità nello studio, il lavoro per gli ucraini sono giusti, eppure contemporaneamente, in Italia, si propone il blocco navale per tenere lontani i barconi dei migranti. Il problema non riguarda uno o due paesi. L’invasione dell’Ucraina ha mostrato quanto sia serio il problema del razzismo in Europa. “L’incapacità dell’Europa di accogliere profughi sfiniti da guerre provocate dalla sua stessa eredità coloniale può essere attribuita a una questione di razza.I bianchi sono i benvenuti, i bianchi sono essere umani, il loro dolore è quello che conta…”. (Rafia Zakaria, rivista “Internazionale)” “Molti hanno notato come ci siano due pesi e due misure sull’accoglienza degli ucraini e di altri paesi. Pelle bianca? Vicinanza? Un nemico comune?” (A. Gurnah, premo Nobel 2021).

In Italia, Europa, Mondo, le disuguaglianze (prodotte da pandemia, cambiamenti climatici, crisi energetica) sono esorbitanti. C’è una pagina del libro di Fallada: la descrizione del bilancio mensile di previsione spese della famiglia Pinnenberg. Voci allineate per ogni cosa. C’è anche una voce (due marchi) per i fiori. I Pinnenberg sono persone garbate e gentili. Un bilancio irrealistico. E’ triste fare i conti entro limiti soffocanti. Se allora in Germania ci fosse stata una società, in cui i diritti e i conflitti fossero stati rappresentati da forze sindacali.Se solo fosse prevalso che dai tempi bui si può uscire unendosi insieme dal basso con progetti politici.Se i padroni (la borghesia) non fosse stata un’accozzaglia di avventurieri e affaristi che si arricchiscono e mortificano la gente.

E oggi? “Il piccolo uomo” si trova ovunque, non solo nella Germania di Weimar. Lo scoramento di Pinnenberg e lo strano coraggio di Lammchen (refrattario all’impegno.più vicino a sudditi passivi piuttosto che cittadini) portano a cattivi pensieri, fanno affiorare sentimenti “fangosi”. Il tutto in una società (Italia, Europa…) in cui (oltre i bonus) non ci sono progetti, riforme, protezione, sicurezza, vicinanza, empatia.

“Hans Fallada” by Gertrud K. is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.

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