L’UOMO TRA LE PIEGHE: INCLUSIONE TECNOLOGICA E RIVOLUZIONE CULTURALE

Industry4.0MICHELANGELO DE BONIS

«Molte persone provano a cambiare la natura degli umani, ma è davvero una perdita di tempo. Non puoi cambiare la natura degli umani; quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano, cambiare le tecniche. Allora, cambierai la civiltà» (Stewart Brand)

L’informatica in senso generale sta facendo progressi straordinari: le macchine riescono a fare delle cose che una volta erano solo nelle possibilità dell’essere umano: riconoscere immagini, riconoscere oggetti nelle immagini, creare una realtà diversa, non virtuale ma aumentata, costruire nuovi video, costruire dei volti totalmente inventati, disegnare opere d’arte, capire quale persona sta parlando e comprendere il linguaggio con cui sta interagendo, rispondere alle domande in modo naturale e…  one more thing!

Dalla semplice rivoluzione industriale alla difficile rivoluzione culturale

Così oggi possiamo dire di stare vivendo la quarta rivoluzione industriale, quella che con uno slogan molto efficace è etichettata “Industry 4.0”. Questo nuovo ambito comprende tutto ciò che è innovazione dell’informatica all’interno del processo produttivo industriale: cloud, cyber security, big data, ecc… Ma attenzione a credere che questa quarta rivoluzione industriale sia soltanto una semplice upgrade di quelle precedenti. Nella prima, dal 1760 al 1840, presero vita i processi industriali attraverso le macchine, soprattutto a vapore; nella seconda, dal 1870 al 1914, ci fu l’introduzione dell’elettricità e del petrolio; nella terza, dal 1970 al 2000 circa, sorge l’innovazione tecnologica tra hardware e software, che ha portato una trasformazione molto più accentuata nel tessuto socio-economico rispetto a quello produttivo puro. La quarta rivoluzione, a cui stiamo oggigiorno assistendo, è di tutt’altro aspetto. Si è passati dalle macchine che sostituiscono i muscoli degli uomini a un movimento per cui si cerca di sostituire il cervello degli uomini con l’intelligenza artificiale. Ma non solo questo: si tratta di registrare anche un cambiamento di stampo totalmente culturale. Certo, la rivoluzione è nata in tempi recenti anche se non proprio odierni. Nessuno nel 1956 – quando ad un convegno parteciparono le più illustri menti della computazione mondiale dell’epoca (John McCarthy, Marvin Minsky, Claude Shannon e molti altri) – poteva mai pensare a una trasformazione così profonda e significativa del genere umano.

Questa rivoluzione digitale sempre più massiccia si basa principalmente su due assi: il primo tecnologico digitale (computer e software sempre più sofisticati), il secondo sul processo di  globalizzazione (il mercato e i mercanti).

Lungo il primo asse spicca, tra i tanti, l’elemento chiave del Machine Learning. Una tecnica informatica, questa, che insegna ai computer e ai robot a compiere azioni ed attività in modo naturale e in totale autonomia, come gli esseri umani o gli animali, permettendo loro di imparare dall’esperienza. Praticamente, gli algoritmi di Machine Learning usano metodi matematico-computazionali per apprendere informazioni direttamente dai dati, senza passare attraverso modelli matematici pre-costituiti. In tal modo, questi algoritmi migliorano le loro prestazioni in modo adattivo, cioè mano a mano che gli esempi da cui apprendere aumentano. Si verifica un apprendimento quando le prestazioni del programma migliorano dopo lo svolgimento di un compito o il completamento di un’azione giusta o sbagliata che sia. Insomma anche per le macchine vale la regola aurea del “sbagliando si impara”.

Lungo il secondo asse non si registra un elemento chiave, ma una comunità di elementi dal nome: Google, Amazon, Facebook, Twitter – cioè tutti quegli attori che giocano un ruolo da player nello sviluppo di determinate tecnologie. Quali sono le possibili applicazioni del Machine Learning per questi giganti dell’hi-tech? Pensiamo a tutto ciò che oggi è già realizzabile. Per esempio, il cambiamento nel rapporto cura/prevenzione in ambito sanitario: alcune di queste metodologie prevedono infatti l’evoluzione di una malattia in un paziente o scoprono con largo anticipo se una persona rischia di ammalarsi di una specifica malattia. In tal modo, rendono possibile iniziare subito la prevenzione anziché ricorrere alla cura, magari tardiva. Oppure consideriamo la tecnologia che veicola la pubblicità mirata a target di consumatori che hanno bisogno (a loro insaputa?) di acquistare un determinato prodotto. Un altro campo di applicazione è la previsione di eventuali catastrofi naturali: terremoti, maremoti o esplosioni di vulcani. Certo, in questo terzo ambito ancora non si riesce pienamente nell’intento, ma ciò è dovuto solo alla limitatezza del set di dati su cui testare il Machine Learning.

Non dobbiamo stupirci che oggi siamo noi ad essere avviluppati in questa rivoluzione: la stiamo vivendo sulla nostra pelle, la costruiamo giorno dopo giorno consciamente o inconsciamente. Siamo probabilmente in una situazione assai simile a quella degli uomini che vivevano e costruivano l’Umanesimo, l’Illuminismo o il Romanticismo: questi uomini non sapevano bene che tipo di “mondo” avrebbero creato, eppure erano mossi da stimoli, fascinazioni  e da un fuoco sacro tutto volto a migliorare l’uomo e il genere umano.

Dalla fatica di andare in profondità alla fatica di restare a galla

Questo pensiero è già stato mirabilmente sviscerato da Alessandro Baricco in un libro che ha fatto da spartiacque tra chi era profondamente legato al vecchio mondo, che stava pian piano scomparendo, e chi faceva da pioniere del nuovo mondo, che invece incombe all’orizzonte come un’alba subito dopo i baluginii dell’aurora. Si tratta de I barbari, pubblicato nel “lontano” 2006. Qui l’autore, per evitare confusione, aggiunge il sottotitolo: Saggio sulla mutazione.

Siamo in questa fase – fase fluida, di mutazione. Come suggerisce Bauman, viviamo una modernità liquida. Non siamo più in grado di capire chi siamo, non ci riconosciamo e non riconosciamo più chi ci sta accanto. Il pluralismo sembra essere il solo centro aggregante in uno sforzo comune di convivenza, a partire dal riconoscimento delle differenze e dalla volontà di convivere con esse, imparare la difficile arte della convivenza con la diversità. Non ci meraviglia nemmeno che il concetto di pluralismo di Bauman sia associato senza troppi voli pindarici al concetto stesso di multitasking. La rivoluzione è inarrestabile.

Ho ancora i segni in alcuni capitoli del libro di Baricco. Sfogliandolo mi sono soffermato su alcuni di questi miei appunti. Mi sono ri-meravigliato di come venisse descritta per esempio la fatica. Il mondo che sta tramontando aveva nel senso della fatica un concetto di studio, di immersione, di piacere nella propria formazione, nel credere che passare ore e ore con la luce fioca sui libri o su poche frasi fosse lo strumento per arrivare a comprendere il senso intero di un’opera o di un’arte. Oggi questo modo di faticare non esiste più. Il nuovo mondo continua a fare fatica nel progetto di costruzione dell’umanità. Questo è certo. Ma lo fa in un modo totalmente opposto e innovativo. Oggi ci si muove all’interno di connessioni e di intrecci in cui i dati e le informazioni si trovano in contatto. Tutto questo non è affatto semplice: costa fatica saper distinguere i vari momenti di vero contatto, di passaggio da una direttrice all’altra, ma per il nuovo mondo è questo il flusso da seguire: non più scendere in profondità ma al contrario far arrivare in superficie i nessi fondamentali delle cose e “navigare” tra di essi, cercando di tenere bene a mente la destinazione, nonostante si seguano percorsi mutevoli e dinamici: “il sapere che conta è quello in grado di entrare in sequenza con tutti gli altri saperi.”

È in quest’ottica che mi piacerebbe ora tornare sull’argomento e poter ragionare insieme su come l’intelligenza artificiale oggi non debba essere affatto incentrata sulla paura. Non bisogna demonizzare infatti la creazione di una macchina “più intelligente” dell’essere umano. Anzi, nel mondo in cui tutto deve venire a galla per poter essere connesso, condiviso, vissuto, una intelligenza, in questo caso artificiale, che aiuti a far emergere questi saperi nascosti, perché profondi, aiuta l’uomo a recuperarli, connettendo, condividendo, vivendo.

Dal primo libro di Baricco sono passati quasi quindici anni, eppure sembra una intera vita. La maggioranza delle persone occidentali non solo oggi ha accettato il dato di fatto di vivere una rivoluzione tecnologica e mentale. Ma per noi tutti questa rivoluzione è foriera di cambiamenti in tutti i nostri gesti e nell’idea stessa di cosa sia l’esperienza della vita. Baricco stesso ha così scritto un secondo libro, The Game, nel quale si incammina nel mondo, attraverso una mappa delle innovazioni degli ultimi anni, cercando di interrogarsi e di chiarire, insieme al lettore, la mutazione dell’uomo e la rivoluzione che stiamo vivendo. La tecnica che lo guida nell’abbozzare questa mappa, come un novello Willebrod Snellius che applica la triangolazione dei punti, è la paura. Paura di procedere a tentoni in una rivoluzione che non sappiamo che versi prenderà. Paura di una trasformazione puramente tecnologica senza controllo, senza punti di riferimento alcuni, che ri-mappi concetti fondamentali dell’uomo come il bene o il male. Paura di diventare sempre più leggeri, svincolandoci dalla pesantezza del nostro corpo, come i bit dalla pesantezza dell’hardware. Anche in questo mi piacerebbe indagare le relazioni di queste paure intrecciando un mio precedente scritto su visibile, invisibile, leggerezza e fiducia nel futuro. Baricco ci sprona:

“dentro ognuna di quelle paure abbiamo cucito la definizione di una mossa che stiamo facendo, e grazie alla quale stiamo diventando migliori. Così, se fossimo capaci di rispondere a ciascuno di quei punti interrogativi, ci troveremmo nelle mani l’indice della nostra rivoluzione. Perché la mappa di ciò che stiamo combinando è disegnata nel rovescio delle nostre paure. In questo modo attraversiamo il confine verso una nuova civiltà, senza dare nell’occhio, nascondendo nel doppio fondo dei nostri dubbi la certezza clandestina di una qualche, geniale, Terra Promessa.”

Dal seguire il filo di Arianna al saper nuotare nell’oceano digitale

La tecnologia ha fatto passi da gigante e quindi ha pervaso il mercato e tutti i processi mentali dell’uomo. In che modo l’uomo sarà incluso o escluso da questa rivoluzione? Ci saranno delle disuguaglianze socio-economiche? Sono domande a cui ad oggi non possiamo rispondere se non andando a leggere i dati, Rapporto World Economic Forum del 2018, e cercando di interpretarli alla luce di autori che si interrogano e ci interrogano. Nei prossimi 5 anni si perderanno a causa dell’automatizzazione 75 milioni di posizioni di lavoro a fronte di oltre 133 milioni di nuove opportunità create. Certamente nel futuro ci saranno lavori diversi, più specializzati, con un aumento nella qualità del lavoro della vita. Non ci sarà la necessità di lavorare nelle fabbriche, ma dietro ad un computer per gestire l’automatizzazione e i software in modo adeguato, interagire con le macchine, costruire nuove macchine con le nuove ed innovative tecnologie. La domanda è se saremo, come società, pronti ad essere inclusi rispetto a questo cambiamento epocale in questa rivoluzione culturale.

Nella mappa di Baricco possiamo leggere un filo di Arianna che ognuno di noi può seguire per costruire oggi il futuro dei nostri figli. Non è retorica ma è importante che si inizi ad affrontare una lenta, ma anche veloce, questione: come intendiamo veicolare questa rivoluzione dell’uomo? Da diverse fonti ci proviene oggigiorno la sfida ad accogliere una urgente riflessione che ci aiuti a prenderci le responsabilità verso il futuro a cui la rivoluzione di cui ho parlato guarda. Su questa dimensione deve esistere un’etica intergenerazionale di carattere radicale tale da guidare una rivoluzione nel segno della sostenibilità e del senso d’obbligo verso gli uomini e le donne di domani (questo è, per esempio, il monito sollevato da Menga nel suo recente volume Lo scandalo del futuro. Per una giustizia intergenerazionale).

Il principale cambio culturale per affrontare la sfida dell’inclusione è proprio nel cambio di paradigma, come per la fatica di Baricco: passare dall’imparare delle nozioni a imparare ad imparare.

Come protagonista attivo nell’ambito dell’istruzione, non posso che concludere col sottolineare in ruolo fondamentale di una scuola quale riferimento principale di questo cambio di paradigma. Il sistema dell’istruzione dovrebbe veicolare l’atteggiamento proattivo per saper formare degli uomini attivi, protagonisti e inclusi nella rivoluzione digitale. Si necessita al riguardo un cambiamento strutturale che investe tutto il sistema: si deve passare dal seguire il filo di Arianna al nuotare liberamente nell’oceano, imparando a scegliere la direzione giusta senza apparenti punti di riferimento. Nell’immediato mi pare essenziale puntare su alcuni temi che sono al centro di interventi di formazione internazionale (confronta il Rapporto sulle competenze digitali dell’Unione Europea noto come DigComp 2.1: The Digital Competence Framework for Citizens): data literacy, saper collaborare e comunicare, la creazione di contenuti digitali, la sicurezza e il saper risolvere problemi legati al digitale anche complessi.

Ecco una nuova generazione: quella di donne e uomini inclusi nella e attraverso la tecnologia digitale – tecnologia che si evolve rispetto alla nostra obsoleta e in decadenza. Una generazione che passi ad un meta-livello, una meta-società, che vada oltre e veda l’uomo tra le pieghe di una umanità sempre più tecnologica, auspicabilmente libera dal doppio fondo dei dubbi e dell’incertezza. Come l’uomo che si ripiega su se stesso e che cerca di raccogliersi per ottenere la forza della spinta, allo stesso modo è necessario oggi prospettare una tensione propositiva che poi rilasci finalmente il movimento di uno  s-piegarsi per poter fare quel salto in avanti in cui le generazioni di domani possano riconoscere tutti quei segni distintivi che noi oggi ignoriamo.

Corollario

Dopo aver scritto l’articolo mi sono venuti in mente una serie di fatti che ho vissuto, recentemente o nel passato, che potrebbero spiegare meglio la rivoluzione culturale che viviamo. Sono fatti che riguardano la vita quotidiana e che per molti potranno sembrare familiari. Mi sembra giusto condividerli.

FATTO #1

Un amico, l’ing. informatico De Simone Matteo, un tipo eclettico, poliedrico, simpatico e soprattutto uno che la rivoluzione la fa mettendo le mani in pasta – pasta digitale ovviamente – ha rilasciato una intervista in una trasmissione radiofonica su una web radio – RadioOhm –circa le sue passioni musicali. Nel presentare la sua playlist arriva a Paganini e invita all’ascolto di una particolare versione dei Capricci. Al commento del perché proprio quella versione e non un’altra Matteo chiosa:

“Oggi su Spotify o Youtube […] c’è un’opportunità meravigliosa: ricercate [con parole chiave N.d.A.] i brani soprattutto di musica classica e vengono fuori 20-30 versioni diverse dello stesso brano e voi “pizzicando” uno dopo l’altra potete fare il confronto istantaneo tra una versione l’altra! Cosa che quando c’era il disco non lo potevi fare perché bisognava mettere il disco e poi lo dovevi togliere, ti perdi quel momento là… invece zampettando da un bottone all’altro c’è proprio la differenza che viene fuori e si può apprezzare la sfumatura della musica classica. Le sfumature sono il cuore della musica classica.”

Si vede la rivoluzione culturale e non solo la rivoluzione tecnologica? Non è eliminare il passato ma reinterpretarlo e riviverlo in un modo nuovo, ricco, diverso.

FATTO #2

Leggendo The Game di Baricco c’è stata una pagina che mi ha lasciato di stucco. L’evento raccontato è successo, identico, anche a me con mio figlio. La riporto per condividere un racconto che se non vi è mai capitato… vi succederà e, quando accadrà, ricordatevi della rivoluzione. Ricordatevi che solo vivendola in modo inclusivo riusciremo a venirne fuori tutti insieme in un modo migliore. Questo il racconto di Baricco:

C’era questo mio figlio piccolo, un omino di tre anni, che si era inerpicato su una sedia per guardare da vicino il giornale che avevo lasciato aperto sul tavolo. Non intendeva leggerlo, non era così intelligente. L’aveva attirato la foto di un calciatore, ed era salito sulla sedia per guardarsela bene. Io lo controllavo dalla stanza vicina, giusto per vedere che non cadesse giù. Ma invece di cadere iniziò a sfiorare la foto con un dito, proprio come faceva il vecchio Jobs, quel giorno, davanti a tutta quella gente [presentazione del primo iPhone N.d.A.]. Lo fece una, due, tre volte. Lo vidi constatare, seccato, che non succedeva niente. Senza grandi illusioni provò a zoomare, proprio in quel modo là, pollice e indice ad allontanarsi, dolcemente. Niente. Allora rimase per un attimo interdetto a fissare quella fissità e io sapevo che stava misurando la disfatta di un’intera civiltà, la mia. Capii in quel momento che da grande non avrebbe letto giornali cartacei e che a scuola si sarebbe rotto i coglioni a palla. Devo anche aggiungere che, dato che in famiglia tramandiamo valori tipicamente sabaudi quali la testardaggine e la insana propensione a cercare di risolvere problemi, mio figlio non si arrese prima di aver osato un ultimo estremo tentativo, che mi sembrò un memorabile miscuglio di razionalità e poesia: girò il foglio e diede un’occhiata sul retro della foto per vedere se c’era qualcosa che non andava. Magari una sicura da togliere. Chissà. Una funzione da attivare. Una batteria da cambiare.

C’era un articolo sulla nazionale di basket.

Lo vidi scendere dalla sedia con una faccia da jazzista all’ora di chiusura. Non so se riesco a spiegarmi, una faccia da jazzista quando saluta quella che fa le pulizie, si infila il cappotto e torna a casa: non saprei dirlo meglio.

L’ha detto molto meglio di quanto sarei riuscito io. Il momento che mi è rimasto in mente del mio di figlio è stato l’espressione malinconica, la faccia da jazzista di fine serata che lascia tutto…

FATTO #3

Insegno programmazione, e tutto ciò che di tecnologico esiste, nelle scuole superiori, principalmente negli istituti tecnici. Anche se la mia passione mi porta anche ad essere un freelance spiegando l’arte della programmazione a bambini delle scuole elementari o ragazzi delle medie. Ma torniamo alla mia professione principale: insegnare la programmazione. Quando assegno esercizi o progetti software da svolgere ai miei alunni, mi innervosisco quando mi accorgo che controllano il codice su Internet. I miei alunni rispondono alle mie lamentele e dolcemente mi spiegano (alunni dolcemente spiegano al docente… sigh…) che non ha senso riscrivere tutto da capo, non ha senso rivivere l’esperienza già svolta da altri. Per loro ha senso altro. È molto più istruttivo saper ricercare queste esperienze esistenti, riconnetterle tra di loro in modo nuovo, magari smussando e limando ciò di cui non si ha bisogno e aggiungendo quello che manca. Così si va avanti, ci si sviluppa, si migliora. Forse è per questo che molti dei nostri ragazzi “a scuola si rompono i coglioni a palla!”, siamo in una fase in cui stentiamo ad essere inclusivi su una rivoluzione che pensiamo solo tecnologica ed invece è soprattutto culturale.

Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA POLITICA

3 Comments Lascia un commento

  1. Spesso mi faccio prendere dalla paura della mutazione che stiamo vivendo. È di conforto la visione dell’ing. DE Bonis che vive e Auspica i cambiamenti descritti con ottimismo.

    "Mi piace"

  2. Ho appena terminato il suo articolo, bhe che dire… Fantastico!
    È riuscito a descrivere quello che sta accadendo attorno a noi divinamente, l’importanza dI AI, Machine Learning, Big Data non può essere
    trascurata!
    Condivido in pieno: non possiamo aver paura della rivoluzione, ed oserei aggiungere, PERCHÈ NOI SIAMO LA RIVOLUZIONE.
    È un mondo che ci sta mandando nuovi stimoli, nuovi input, i quali devono essere interpretati ed assimilati distaccandoci da quella che è la teoria classica.
    C’è solo un modo per poterci preparare : “passando dall’imparare delle nozioni a imparare ad imparare “, adoro questa frase.
    Complimenti!

    "Mi piace"

  3. Kurt Cobain.
    Andrea, posso permettermi di chiamarti per nome?
    Quello che scrivi tocca tutti noi che siamo rimasti e siamo invecchiati. Ormai alla soglia dei cinquanta guardandoci indietro sentiamo tutta la fatica di esserci trascinati in un mondo che abbiamo cercato di cambiare e che probabilmente invece abbiamo contribuito a peggiorare. Noi che non abbiamo avuto il coraggio di essere fino in fondo quello che sentivamo di essere e non abbiamo avuto la lucidità di Kurt sin da così giovani oggi capiamo bene quello che scrivi. Quei “sensi di colpa per non riuscire a coincidere con l’immagine impossibile di noi stessi” non sono forse quelli che ci hanno obbligato a cercare di essere migliori dei tempi tristi in cui abbiamo navigato? Non ci hanno obbligato a rifiutare la logica del così fan tutti a volte scegliendo anche sentieri impervi?
    Oggi che mi rendo conto con profonda tristezza di non essere riuscito nemmeno ad avvicinarmi a quell’immagine impossibile, penso ancora che la quotidiana fatica che facciamo per aderirvi, senza mai riuscirci, non sia inutile.
    Il grilletto metaforico che suggerisci di premere alcuni scelgono di non premerlo. Inseguire, senza mai raggiungere, quell’immagine impossibile forse è un modo per essere autentici nonostante tutto e soprattutto nonostante se stessi.
    Un Navigatore Solitario

    "Mi piace"

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: