BATTAGLIE GLOBALI O GUERRE IDENTITARIE? CARL SCHMITT, MICHEL FOUCAULT E #FRIDAYSFORFUTURE

clima

RICCARDO DAL FERRO

La questione climatica coinvolge tutti: filosofi e ingegneri, uomini e donne, fascisti, comunisti, neoliberisti e commercialisti. Nessuno può sentirsi escluso da questo problema e persino coloro che lo negano ne subiranno le conseguenze.

Non è questa la sede per studiare quali siano le cause di questo pressante problema, se esse siano più o meno antropiche, né quali possano essere le soluzioni sul breve, medio o lungo periodo. Qui si discute di una questione più delicata che ha a che vedere con le recenti manifestazioni denominate “Fridays for Future”, guidate da Greta Thunberg. E la domanda che ci poniamo è la seguente: possono le battaglie globali essere affrontate come se fossero guerre identitarie?

Carl Schmitt ne parlò nel suo “Il concetto di politico”: “L’umanità in quanto tale non può condurre nessuna guerra, poiché essa non ha nemici, quanto meno non su questo pianeta. Il concetto di umanità esclude quello di nemico, poiché anche il nemico non cessa di essere uomo e in ciò non vi è nessuna differenza specifica. Che poi vengano condotte guerre in nome dell’umanità non contrasta con questa semplice verità, ma ha solo un significato politico particolarmente intenso. Se uno Stato combatte il suo nemico politico il nome dell’umanità, la sua non è una guerra dell’umanità, ma una guerra per la quale un determinato Stato cerca di impadronirsi, contro il suo avversario, di un concetto universale per potersi identificare con esso (a spese del suo nemico), allo stesso modo come si possono utilizzare a torto i concetti di pace, giustizia, progresso, civiltà, per rivendicarli a sé e sottrarli al nemico.”

Osservando la natura delle manifestazioni contro il cambiamento climatico ci accorgiamo che le parole di Schmitt descrivono in modo preciso quanto avviene oggigiorno: usare un concetto universale come “ambiente” per portare avanti ideologie ben delineate è un comportamento che muta la battaglia globale in scontro indentitario. Tu non puoi stare dalla parte del clima e dell’ambiente se non manifesti alcuni requisiti precisi: devi essere di sinistra, possibilmente marxista e non troppo moderato; devi dichiararti contro gli OGM (anche se questi potrebbero rappresentare una delle tante soluzioni tecnologiche per combattere il riscaldamento globale), contro la TAV (anche se è scientificamente comprovato che essa diminuirebbe sensibilmente l’impatto ambientale del trasporto su gomma) e contro il nucleare (anche se la produzione di energia potrebbe essere molto più sostenibile con un serio dibattito su questa tecnologia, che non ha le problematiche dei tempi di Chernobyl e non può essere liquidata più in virtù del suo “pericolo”). Se non corrispondi anche solo ad uno di questi requisiti significa che non sei davvero dalla parte dell’ambiente, dell’universale, e perciò sei un negazionista, nel migliore dei casi, o un distruttore del pianeta, nel peggiore.

Eppure, problemi complessi come quello del clima, complessi in virtù del fatto che tanto le cause scatenanti quanto le soluzioni da mettere in campo non sono lineari, definite e semplici, richiedono discussioni complesse, dibattiti fondati sul pluralismo e una grande varietà di prospettive, tra loro anche in contrasto, al fine di comprendere come muoverci in modo unitario verso un obiettivo sempre più difficile da raggiungere.

Il meccanismo dell’esclusione da un problema globale, umano, universale, è l’esatta prova di quanto sosteneva Michel Foucault, quando disse, giocando con la famosa citazione di Von Clausewitz: “La politica è la continuazione della guerra portata avanti con altri mezzi”. Allo stesso modo, il problema ambientale è diventato il territorio su cui si giocano le sorti delle ideologie del Novecento, sopravvissute alle guerre mondiali e alla Guerra Fredda, ancora vive sotto la coltre di discorsi politicamente corretti che invadono il nostro mondo. Escludere a priori, ideologicamente, prospettive e soluzioni che non contraddirebbero il perseguimento dell’obiettivo comune, ovvero l’intervento sul clima planetario, ma con il puro intento di esautorare opinioni e posizioni che non si amalgamano all’ideologia di turno, significa non perseguire più alcun obiettivo comune, ma disegnare un confine, un muro di cinta entro cui sentirsi più al sicuro, mentre il mondo finisce.

Il più grande pericolo del riscaldamento globale non è quindi il riscaldamento globale, ma la sua strumentalizzazione al fine di includere nel dibattito solo le cose che ci fanno sentire superiori, moralmente e intellettualmente, escludendo tutto ciò che non ci piace, sulla base del fatto che contraddice il nostro sentire politico, economico, sociale o filosofico.

Ecco dove la filosofia può dare il proprio contributo in merito alla questione del riscaldamento globale: fornire strumenti argomentativi, occasioni intellettuali e linguaggi adatti ad aprire il confine dell’identità, che troppo spesso chiude il mondo entro ristrette prospettive, e dare così il via ad un meccanismo di inclusione nel quale si possano valutare le idee e i dati, non la concordanza delle soluzioni alle ideologie. Ci serve un dibattito nel quale, alle manifestazioni sul clima, uno scienziato che parli onestamente degli OGM o del nucleare possa non solo diffondere le proprie idee e gli studi attuali, ma anche dibattere in modo vivo con chi non è d’accordo, nel tentativo di trovare soluzioni utili per intervenire concretamente, tutti insieme, sul mondo intorno a noi, ognuno portando le proprie conoscenze e sensibilità.

La filosofia, oggi più che mai, può e deve diventare un linguaggio di inclusione, il grimaldello che scardina le serrande di un dibattito che chiude, esclude e rigetta. Non c’è possibilità di affrontare le sfide del nostro tempo senza un’apertura a tutti coloro che hanno idee e strumenti per arricchirlo. Se vogliamo affrontare le battaglie globali lo dobbiamo fare globalmente, non come piccole identità ideologiche arroccate sulle proprie idee.

Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA POLITICA

1 Comment Lascia un commento

  1. Anche l’informazione e la sensibilizzazione a scuola rischiano di diventare indottrinamento ideologico.
    Racconto di un episodio avvenuto nella scuola media in cui lavoro (“insegno” “lettere”), che ha deciso (per iniziativa di alcuni docenti e della preside) di aderire alla manifestazione fridaysforfuture senza però partecipare allo sciopero. C’è stata infatti una piccola manifestazione all’interno del recinto (parola che non uso a caso) scolastico, con tanto di lettura del discorso di Greta con delle “piccole aggiunte” da parte di una professoressa molto coinvolta nel progetto e nella lotta ambientalista. Tanto coinvolta, appunto, da ficcarci dentro tutta una serie di slogan (non ultimo “il potere è del popolo”) e di soluzioni unilaterali al problema, senza contemplare le criticità sia delle soluzioni stesse (energie rinnovabili, decrescita felice, rifiuto del consumismo, ecc…) sia della comprensione da parte degli alunni delle medie di argomenti così complessi. Questi argomenti, del resto, vengono affrontati nel corso dei tre anni dagli insegnanti di scienze, così come altri temi ambientali più vicini alla quotidianità (l’educazione alla raccolta differenziata, per esempio….), e non è certo attraverso un discorso di pochi minuti che dei ragazzini tra gli 11 e i 13 anni possono prendere coscienza di tutto questo. A me è sembrato invece che, con slogan altisonanti (del genere: la fine del mondo è vicina; e allora a quel punto, mi chiedo, non sarebbe stato più incisivo farli scioperare? Non è più importante il futuro del mondo di un giorno di scuola??) e con parole complicate, questa prof (del tutto in buona fede) abbia voluto far passare una sua visione del mondo, ideologica e intrisa di passione rabbiosa…. ‘na specie di “Falce&Sacchetto”, direi. Del resto, con uno stile comunicativo così – come dire, stalinista? – non credo sia riuscita a catalizzare granché l’attenzione degli studenti, così come capita per qualsiasi “giornata del (aggiungete il tema che volete)” imposta “a reti unificate” nelle scuole… ma questa, è un’altra storia…

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