FILOSOFIA DELLA CARNE

downloadANDREA PACE GIANNOTTA

La nozione di carne ha implicazioni filosofiche e culturali profonde. In particolare, essa si colloca al centro della riflessione di diversi autori e concezioni filosofiche contemporanee, che ne fanno il perno concettuale di un ripensamento profondo del modo di concepire l’umano ed il suo posto nel mondo.

La questione filosofica fondamentale all’interno della quale interviene il concetto di carne è il problema mente-corpo. Ossia: la questione del rapporto tra la dimensione mentale o psichica dell’umano, con i suoi processi “mentali” (percezioni, sensazioni, emozioni, desideri, pensieri, ragionamenti, etc.) e la dimensione corporea (fatta di arti, organi e apparati, pelle, ossa, muscoli, etc.). Già da quest’accenno a ciò che costituisce la mente e il corpo emerge quello che percepiamo subito come uno scarto ontologico – ossia, tra tipi di realtà radicalmente diverse. Questo a partire dalla nostra esperienza ordinaria, che però è inevitabilmente mediata dalla tradizione culturale in cui siamo immersi, e che ci ha insegnato a distinguere nettamente tra la mente e il corpo.

Il problema mente-corpo ha infatti radici profonde nella storia della cultura occidentale (ma non solo, avendo il suo equivalente anche in altre tradizioni culturali). Agli albori della nostra tradizione filosofica Platone, riprendendo la tradizione orfico-pitagorica, introduce la concezione dell’anima come essenza immortale dell’uomo, che partecipa del “mondo delle idee”, e del corpo come “prigione” o “tomba” dell’anima. In contrapposizione al dualismo platonico, Aristotele concepisce invece l’anima come “entelechéia” (traducibile come “finalità intrinseca” o “realizzazione”) di un corpo naturale che ha la vita in potenza. Ossia: l’anima è la realizzazione delle funzioni di un corpo vivente, che è quindi un’unità psicosomatica. Pur sottolineando la specificità dell’umano come “animale razionale”, perché dotato di un’anima “intellettiva”, Aristotele ne sottolinea la continuità con il resto della natura e in particolare con gli altri animali, con cui l’uomo condivide l’anima “sensitiva”, e più in generale con gli altri esseri viventi, con cui condivide l’anima “vegetativa”.

La tradizione cristiana ha fatto propria perlopiù la concezione dualistica di Platone, congiungendola con la dottrina della salvezza (escatologia) che è riservata all’anima dell’uomo nella dimensione ultraterrena a cui è destinata dopo la morte corporea.

Il problema mente-corpo viene poi posto da Cartesio al centro della filosofia moderna, riproponendo il dualismo platonico nella netta distinzione tra due tipi fondamentali di sostanze: la sostanza pensante (la mente) e la sostanza estesa (la materia). Cartesio introduce così anche una netta distinzione tra le scienze che studiano il mondo materiale (“scienze della natura”) e le scienze che hanno come oggetto la dimensione “mentale” o “spirituale” (“scienze dello spirito”).

L’opzione dualista di Cartesio si scontrerà poi, nei secoli successivi, con la prospettiva materialista, secondo cui non vi è alcuna “anima” distinta e separabile dal corpo, fatto di materia e parte del mondo naturale. Si può dire che in quell’ambito filosofico che ha come oggetto d’indagine la mente – la cosiddetta “filosofia della mente” – il materialismo costituisce la risposta più comune alla questione del “posto della mente nella natura”, essendo la prospettiva che, dal punto di vista ontologico, sembra essere maggiormente compatibile con la visione scientifica della realtà, con il suo rifiuto di ricorrere a entità “soprannaturali” nella spiegazione dei fenomeni. Eppure, la prospettiva prevalente nell’ambito della filosofia della mente e delle scienze cognitive del ‘900 è stata la teoria computazionale della mente, con la concezione funzionalista secondo cui la mente sta al cervello come il software di un computer sta al suo hardware (quindi alla materia che realizza determinate funzioni cognitive). In questa prospettiva, la mente è realizzata da sistemi materiali (i cervelli e i computer). Al tempo stesso, la mente mantiene una relativa indipendenza dal sostrato materiale, essendo realizzabile su diversi supporti fisici, fatti in modi anche molto diversi tra loro (ad esempio, computer fatti di silicio piuttosto che cervelli fatti di carbonio). In qualche modo, quindi, anche all’interno di questa prospettiva permane un residuo dualistico, dato che la mente è concepita nei termini delle funzioni che mediano tra l’input che l’agente cognitivo riceve dall’ambiente (percezione) e ciò che esso fa, ossia il suo output comportamentale. Tali funzioni cognitive possono essere definite in modo relativamente indipendente dallo specifico sostrato materiale che le realizza. In altri termini, pur sorgendo dalla materia, la mente è indipendente dallo specifico corpo materiale che la realizza, e che potrebbe essere fatto altrimenti.

A questa prospettiva prevalente in filosofia della mente si è recentemente contrapposta (a partire dagli anni Ottanta) la “nuova scienza cognitiva incarnata”, che sottolinea invece il ruolo essenziale delle specifiche caratteristiche del corpo di un agente cognitivo nel rendere possibili i suoi “stati mentali”. I proponenti della “nuova scienza cognitiva, quindi, spostano l’enfasi dal cervello, inteso come un hardware su cui “gira” un certo software mentale, al corpo con le sue specifiche caratteristiche materiali che vincolano e rendono possibili certi stati mentali e non altri (ad esempio, l’avere arti che consentono di muoversi ed esplorare l’ambiente o afferrare gli oggetti, due occhi posti ad una certa distanza l’uno dall’altro, etc.). Eppure, all’interno di questa nuova corrente di ricerca permane un’ambiguità nel modo di concepire il corpo e quindi l’embodiment (incorporazione o incarnazione della mente). Infatti, questi autori pongono spesso l’enfasi sulla dimensione funzionale del corpo, ossia: il corpo che si muove ed agisce nell’ambiente eseguendo determinate funzioni (come aggirare un ostacolo, afferrare un oggetto, etc.). In sintesi, quello che può anche essere anche il corpo di una macchina o di un robot, fatti di plastica e metallo.

Al tempo stesso, vi è una tradizione di ricerca in filosofia della mente che, in contrapposizione all’interesse quasi esclusivo delle scienze cognitive classiche verso le “funzioni mentali”, ha sostenuto che il vero “problema difficile” nell’analisi scientifica e filosofica della mente è la coscienza, ossia: la dimensione qualitativa e soggettiva dell’esperienza, per cui “si prova qualcosa” o “fa un certo effetto” essere un soggetto cosciente (ad esempio, si prova qualcosa nel sentire gli odori, vedere i colori, gustare i sapori, e nel desiderare qualcosa, nel provare emozioni come la paura o la felicità o anche nell’ “afferrare un concetto” – l’esperienza di “afferrare un concetto” sembra essere puramente “intellettuale” ma, secondo i teorici della “fenomenologia cognitiva”, è anch’essa caratterizzata da uno specifico “effetto che fa”). Si tratta in generale della dimensione fenomenica o qualitativa dell’esperienza cosciente. Ed è in relazione al problema della coscienza che entra in gioco, finalmente, una concezione più ricca e profonda della corporeità, incentrata sulla dimensione del sentire: il corpo senziente o carne.

La nozione filosofica di carne è stata sviluppata, in particolare, nella tradizione di ricerca fenomenologica, inaugurata da Edmund Husserl. Husserl infatti distingue tra due concetti di corpo. Da un lato vi è il Körper, ossia il corpo oggettivo, indagato “in terza persona” quando ad esempio osservo il corpo dell’altro e ne descrivo le sembianze e i movimenti, e poi lo studio scientificamente attraverso discipline come l’anatomia. Dall’altro, vi è il Leib, ossia il corpo vivente e vissuto, esperito in prima persona quando ad esempio sento un dolore lancinante a un dente, gusto il sapore del cioccolato fondente o provo una forte paura vedendo un cane inferocito che mi ringhia contro. Il fenomenologo francese Maurice Merleau-Ponty ha posto la nozione husserliana di Leib al centro della sua riflessione filosofica traducendola con chair, ossia carne. Merleau-Ponty – e con lui altri autori come Emmanuel Lévinas e Michel Henry – sviluppa quindi una filosofia della carne. In questa prospettiva, la nozione di carne è il nucleo concettuale di un ripensamento profondo dell’umano considerato, appunto, come essere cosciente perché incarnato. E questo non nel senso platonico-cristiano dell’anima che “scende” nel corpo e “si fa carne”, ma nel senso più radicale di fatto di carne ossia di essere pienamente carnale. La tesi fenomenologica difesa da questi autori, a partire da Husserl, è che la mente è coscienza, ossia ambito della realtà in cui si manifestano i fenomeni. Il fatto meraviglioso e sorprendente per cui un mondo si mostra ad un soggetto d’esperienza, quindi il suo essere cosciente, è reso possibile dal suo essere corpo senziente o carne.

In questa prospettiva, che arricchisce e approfondisce il concetto di “embodiment” sviluppato dalla “nuova scienza cognitiva”, la carne è ciò che rende possibile la vita di coscienza. Al tempo stesso, la carne non è semplice hardware ma materia biologica viva, costantemente in pericolo perché soggetta a malattia, invecchiamento e morte. La tesi fenomenologica del carattere incarnato (o meglio “carnale”) della mente ci mette quindi anche di fronte al carattere finito e mortale dell’umano (come sapeva la cultura greca antica e come sottolineato da Martin Heidegger). La tragicità di questa dimensione fragile dell’esistenza umana, e la difficoltà di accettarla senza un’adeguata elaborazione sul piano psicologico, esistenziale e culturale, spiega anche, in parte, la svalutazione e la dimenticanza del corpo nella cultura occidentale (diversamente da quanto avvenuto in altre tradizioni che hanno celebrato ed esaltato la corporeità, elaborando sofisticate discipline “spirituali” incentrate sulla consapevolezza del proprio essere corporeo e carnale – si pensi, a titolo di esempio, allo yoga e alle arti marziali in India e in Cina).

A ben vedere, l’opposizione tra dualismo mente-corpo e incarnazione radicale è al centro di quello che si configura come uno scontro tra concezioni radicalmente diverse dell’uomo e del suo posto nel mondo. Uno scontro che è anche al cuore del mondo contemporaneo e che getta luce su alcune vicende centrali dell’epoca in cui viviamo. Infatti, la tradizione della filosofia della mente e delle scienze cognitive classiche, con la loro analogia tra mente e software di un computer, oggi raggiunge il suo apice con gli sviluppi tecnologici della cosiddetta “intelligenza artificiale” (IA). Alla luce del discorso sin qui fatto, però, l’idea di IA che sorge dalla tradizione computazionalista e funzionalista è totalmente disincarnata, poiché ripropone l’idea secondo cui l’essenza della mente risiede in processi algoritmici (quindi meccanici) astratti, che possono essere replicati da un computer. Uno sviluppo ancora più radicale di questa tradizione disincarnata si ha poi nei progetti di “realtà virtuale” e nell’idea del “metaverso”, proposto dai colossi dell’hi-tech con la promessa di un paradiso artificiale in cui ospitare per periodi sempre più estesi le esistenze umane. Una delle ipotesi filosofiche più estreme a riguardo, che promette – o, a seconda dei punti di vista, minaccia – di realizzarsi presto attraverso i progressi tecnologici, è il cosiddetto “mind-uploading”. L’idea è che, se la mente è essenzialmente indipendente dal corpo, concepito come mero sostrato organico contingente e oltrepassabile, allora sarà possibile, in un futuro più o meno prossimo, estrapolarla dal suo attuale supporto materiale, come un software dal suo hardware, per “caricarla” su un altro supporto (all’interno di un centro di calcolo ben protetto in qualche luogo del globo terrestre – si veda a tal proposito l’illuminante e commovente episodio “San Junipero” della serie tv sci-fi Black Mirror, che rappresenta magistralmente quest’ipotesi, con le sue promesse e contraddizioni).

A questa ipotesi e a questa tradizione “disincarnata” si contrappone però la filosofia della carne. Infatti, stando ad essa, se la mente cosciente si fonda essenzialmente sul corpo senziente, allora non è possibile estrapolare la mente dal corpo per caricarla su un altro supporto materiale. La filosofia della carne mette quindi fuori gioco l’escatologia del “mind-uploading”. Tale ipotesi si configura piuttosto come una forma di “escapismo” (ossia, una fuga dalla realtà materiale nei mondi virtuali). La filosofia della carne ci invita piuttosto, con il Nietzsche dello Zarathustra, ad essere “fedeli alla terra” contro i “dispregiatori del corpo”. Ossia: fedeli alla nostra natura corporea e carnale, essenzialmente appartenente al mondo naturale e sempre in bilico tra la tragica e angosciante consapevolezza della finitudine e l’autentica gioia che sola può scaturire dall’essere carne.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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