YUCK! CARNE DI ANIMALI GENETICAMENTE MODIFICATI!

pozzebonMATTIA POZZEBON

“The U.S. government should quit wasting taxpayer dollars on what amounts to an engineered sham for the hog industry,” continued Kimbrell. “Consumers have made clear that they don’t want to eat genetically engineered animals. The FDA should stop its review of this GE pig immediately.”

Tratte da un articolo del 2012 dal titolo GE “EnviroPig” Project Stops Research, queste parole appartengono ad Andrew Kimbrell, direttore del Center for Food Society, organizzazione no-profit la cui missione è quella di “rafforzare le persone, sostenere gli agricoltori e proteggere la terra dagli impatti nocivi dell’agricoltura industriale.” Nel 2001 Nature Biotechnology pubblica un articolo dal titolo Pigs expressing salivary phytase produce low-phosphorus manure, all’interno del quale viene dettagliatamente descritta una ricerca condotta presso l’Università di Guelph, Canada, e avente l’obiettivo di sviluppare un nuovo tipo di maiale transgenico: l’EnviroPig.

Per capire meglio cosa sia l’EnviroPig, è forse necessario fare prima un passo indietro. L’alimentazione dei suini è largamente composta da colture come soia, mais e crusca. Poiché vegetali, queste fonti alimentari sono altamente ricche di acido fitico, che è la principale forma di accumulo del fosforo in molti tessuti vegetali. Il problema è che i maiali, a differenza dei bovini, non sono in grado di digerirlo, in quanto animali monogastrici. Sono inoltre privi della fitasi, l’enzima necessario alla sintesi dell’acido fitico. Questa loro incapacità digestiva determina un’elevata quantità di fosforo all’interno del letame prodotto. Il fosforo è il maggiore agente inquinante derivante dalla produzione di carne suina. Una volta defluito nei corsi d’acqua, l’eccesso di fosfati provenienti dal letame applicato come fertilizzante favorisce l’eutrofizzazione degli ecosistemi. A sua volta, ciò comporta fenomeni quali le fioriture algali, carenza di ossigeno, l’alterazione delle reti alimentari, moria di pesci e una maggiore produzione di gas serra.

L’EnviroPig cerca di superare questo problema modificando geneticamente l’animale in modo che la sua stessa saliva contenga l’enzima necessario al processo di sintesi. Attraverso un aumento transgenico della collezione naturale di enzimi digestivi, utilizzando materiale genetico proveniente dai topi e dai batteri dell’Escherichia coli, il risultato è un esemplare il cui fosforo fecale si attesta a livelli del 75% inferiori rispetto alla sua controparte non transgenica.

Tuttavia, nel 2012 quanto auspicato da Kimbrell si realizza. Il progetto viene infatti abbandonato e i dieci esemplari creati uccisi. La ragione principale è da ricercare nell’interruzione dei finanziamenti da parte di Ontario Pork, associazione rappresentante centinaia di allevatori di maiali e tra i maggiori finanziatori del progetto. Un’interruzione che è a sua volta dovuta anche a considerazioni legate all’innaturalità del mangiare animali geneticamente modificati e all’incertezza nei confronti dell’ingegneria genetica e dei rischi a essa associati. Lucy Sharratt del Canadian Biotechnology Action Network sostiene come “The university’s decision to kill the GM pigs is an admission of the barriers to selling GM food animals to the public” e “The federal government needs to take responsibility for allowing such a grotesque experiment to get so close to commercialization.” Il termine “grottesco” riassume perfettamente l’opinione generale nei confronti della possibilità di vendere simili animali all’interno del mercato alimentare. Da un lato, è chiaro come le ragioni alla base dell’interruzione del progetto dell’EnviroPig non possano in alcun modo essere ridotte unicamente a questo sentimento di avversione e di percezione del grottesco. Dall’altro, simili motivazioni hanno senza dubbio esercitato un ruolo primario.

L’appello al sentimento del disgusto trova ampio spazio anche all’interno del dibattito filosofico. In un articolo del 1997 The Wisdom of Repugnance, Leon Kass fa riferimento all’argomento della “saggezza della ripugnanza”. L’idea alla base è che di fronte a determinate situazioni – la clonazione umana è il caso discusso da Kass – l’uomo provi un senso di ripugnanza e disgusto. Una repulsione che è tuttavia impossibile da spiegare con la ragione umana, poiché intuitiva e al di là di ogni umana comprensione. Il disgusto è frutto di una saggezza emotiva profonda e intrinseca nell’essere umano. Kass è convinto che questa saggezza, che si rivela davanti al grottesco, abbia in alcuni casi più autorevolezza di articolate ma sterili argomentazioni, in quanto proveniente dalla profondità dell’animo umano. Un senso di repulsione che, nel caso degli animali geneticamente modificati, si manifesta (forse) con ancora più forza rispetto all’esempio discusso da Kass. Non si tratta più di qualcosa di cui si sente saltuariamente discutere e che viene avvertito come lontano, poiché estraneo alla quotidiana esperienza della maggior parte delle persone. Nel caso dei maiali transgenici, la dimensione del ripugnante entra nelle case e finisce all’interno dei piatti.

La questione del sentimento di repulsione nei confronti dei prodotti dell’ingegneria genetica viene ripresa pochi anni dopo da Mary Midgley, in un articolo dal titolo più che sufficiente a far comprendere immediatamente al lettore i temi trattati: Biotechnology and Monstrosity: Why We Should Pay Attention to the “Yuk Factor”. Midgley scrive che spesso le obiezioni sollevate nei confronti della bioingegneria sono percepite come inferiori poiché al di fuori dello spazio riservato all’argomentazione razionale. Una repulsione concepita in maniera disarticolata, che riesce a essere espressa solo attraverso un altrettanto disarticolata esclamazione di disgusto: Yuck! Midgley si oppone a una visione che declassa questo sentimento in quanto frutto dell’irrazionalità. Secondo Midgley, infatti, il cosiddetto “fattore yuck”, questo senso di disgusto e di indignazione, non è di per sé irrazionale. I sentimenti sono un attore centrale nel processo di formulazione dei giudizi morali. Ogni volta che giudichiamo qualcosa di sbagliato, un forte sentimento accompagna necessariamente il giudizio.

È necessario domandarci allora quanto sia effettivamente presente e radicato questo sentimento all’interno dell’opinione pubblica. Nel 2018 il Pew Research Centre conduce un sondaggio su 2537 cittadini statunitensi di età adulta. Uno dei quesiti dell’indagine riguarda la possibilità di intervenire geneticamente sugli animali affinché la loro carne fornisca un maggior apporto proteico. Il 55% degli intervistati reputa inaccettabile questo utilizzo dell’ingegneria genetica. Tra questi, il 28% non è in grado di spiegare il motivo della sua risposta o fornisce una risposta generalmente negativa. Il 22% ritiene invece che non si debba interferire con la natura, mantenendola inalterata. “Meat is nutritious as it is. There is no need to try to increase nutrition.” Sembrerebbe allora plausibile concludere come più o meno il 50% delle risposte negative ricevute siano associabili al contemporaneo sentimento di ripugnanza. Certo, se chi scrive fosse in malafede potrebbe sostenere come probabilmente l’influenza del fattore Yuck vada ben oltre quel 50%. Il sentimento di disgusto condizionerebbe il ragionamento stesso, soprattutto in quei soggetti privi di un’adeguata conoscenza delle questioni oggetto di indagine. Ad esempio, il 20% di coloro che hanno risposto negativamente hanno motivato tale risposta facendo riferimento a generali preoccupazioni legate a possibili rischi associati ad effetti a lungo termine. Si potrebbe ipotizzare che all’interno di questo 20% si celino diverse persone che, a causa di una inadeguata conoscenza delle tematiche trattate e mosse da un sentimento di avversione verso la possibilità di mangiare carne proveniente da animali geneticamente modificati, abbiano fornito una risposta solo apparentemente razionale. In ogni caso, è forse meglio non soffermarsi a elaborare farneticanti teorie sul sondaggio e sui suoi partecipanti. Così come è assolutamente estraneo agli obiettivi di questo articolo discutere ulteriormente a proposito del secolare dibattito sui rapporti tra ragione, sentimenti e giudizio morale. Ciò che è evidente e importante in questo momento è riconoscere l’esistenza di un sentimento di grottesco e di avversione che un indeterminato numero di persone nutre nei confronti di un qualsivoglia progetto di modificazione genetica di animali destinati a diventare cibo.

Si potrebbe obiettare come il sentimento di ripugnanza non sia sicuramente espressione di una saggezza universale, trascendente i vincoli spazio-temporali, ma sia piuttosto espressione delle particolarità culturali che caratterizzano uno specifico gruppo di persone in una specifica porzione di storia. Tuttavia, fintanto che questo disgusto rimane limitato alla sfera privata e personale, il fattore Yuck si rivela tutt’al più inutile. Diventa invece dannoso quando ha la pretesa di intervenire in un contesto valutativo e di fornire giudizi morali che contrastano argomentazioni dall’evidente valore etico. Per quanto riguarda il caso degli animali geneticamente modificati, un esempio è dato dalla possibilità di migliorare la qualità della vita animale o, nel caso dell’EnviroPig, il suo contributo all’ambiente.

Paul Thompson nel 2008 pubblica un articolo, The opposite of human enhancement: Nanotechnology and the blind chicken problem, all’interno del quale introduce alcune questioni etiche riguardanti il concetto di “disenhancement”. Il termine “disenhancement”, che in italiano può essere malamente tradotto con “depotenziamento”, fa riferimento a una serie di progetti di natura etico-scientifica aventi l’obiettivo di alterare, geneticamente ma non solo, gli animali al fine di ridurre (depotenziare) la loro capacità di provare dolore. Thompson ritiene però che esista quello che definisce un philosophical conundrum, ossia un enigma filosofico, poiché sembra esserci una contrapposizione tra le argomentazioni razionali a favore di questi interventi genetico-tecnologici e le intuizioni contro di essi. Tra le argomentazioni razionali c’è il fatto che il disenhancement possa promuovere il benessere animale, mentre tra le intuizioni il senso di avversione verso l’eventualità di mangiare simili animali: “Yuck. I don’t want to eat that.”

Ammesso che la proposta di disenhancement non presenti evidenti criticità razionali, è lecito interrompere tale progetto semplicemente per un senso di disgusto nei suoi confronti? Possono la nausea e il ribrezzo suscitate dal mangiare carne proveniente da animali geneticamente modificati avere maggior valore etico della salvaguardia e promozione del benessere di questi animali? È evidente come la risposta non possa che essere negativa. Eppure, sembra che il fattore Yuck abbia ancora un notevole peso nelle decisioni che vengono prese dall’industria alimentare. L’EnviroPig ne è un esempio. E poco importa che molti ritengano proposte come l’EnviroPig o il disenhancement unicamente delle soluzioni tecnologiche (technological fix), ossia soluzioni che affrontano solo superficialmente i sintomi di un problema – l’inquinamento nel primo caso e la sofferenza animale nel secondo – senza però occuparsi delle radici stesse del problema. Certamente, l’abolizione del consumo di carne e dello sfruttamento animale da parte dell’industria alimentare rappresentano un obiettivo auspicabile. Perlomeno questa è l’opinione di chi scrive. Come evidenzia Arianna Ferrari in Animal Disenhancement for Animal Welfare: The Apparent Philosophical Conundrums and the Real Exploitation of Animals. A Response to Thompson and Palmer, all’interno di un orizzonte abolizionista il dilemma filosofico di Thompson nemmeno si pone. L’industria alimentare ha semplicemente cessato di esistere. Purtroppo, questo non sembra essere un esito raggiungibile, quanto meno nel breve periodo. Molte persone, la maggior parte probabilmente, non hanno ancora intenzione di eliminare la carne dalle proprie abitudini alimentari. Se assumiamo allora il benessere animale quale focus etico da difendere, soluzioni tecnologiche come il disenhancement sono già delle conquiste, per quanto magari esigue. In questo caso, il fattore Yuck rappresenta senz’altro uno scoglio da superare per perseguire, nel breve periodo, una riduzione della sofferenza animale. Il caso dell’EnviroPig funge nuovamente da esempio. Sarebbe un sogno se l’industria alimentare, intuendo una crescente avversione verso questi animali da parte dell’opinione pubblica, decidesse di interrompere tutta la produzione di carne di maiale fino a un’accettazione dell’animale geneticamente modificato da parte dei consumatori. Ma è chiaro che non sia così. Nonostante la promessa di benefici per l’ambiente, l’EnviroPig è stato abbandonato. L’industria alimentare ha invece tranquillamente continuato ad esistere.

È necessario allora contrastare la saggezza della ripugnanza e impedirle di rallentare il raggiungimento di nuove soluzioni tecnologiche volte a difendere gli animali impiegati dall’industria alimentare. A maggior ragione in un periodo in cui le nuove conoscenze in ambito di manipolazione del genoma consentono di perseguire notevoli conquiste. Si prenda il caso dell’annuale massacro di miliardi di pulcini. L’industria alimentare del pollame sta affrontando un problema di lunga data relativo all’uso di galline ovaiole di sesso maschile. A differenza delle galline allevate per la loro carne, le galline ovaiole non sono destinate al consumo alimentare umano. Per questo motivo, i maschi delle galline ovaiole sono considerati inutili dall’industria alimentare. Per ovvie ragioni, non possono produrre uova. Allo stesso tempo, a causa della loro struttura fisica, non sono nemmeno in grado di ingrassare come le galline da carne per essere vendute come tali. Pertanto, i maschi di galline ovaiole finiscono per essere uccisi. Si stima che ogni anno vengano abbattuti all’incirca sette miliardi di pulcini per questo motivo. Naturalmente, ci sono stati tentativi di risolvere questo enorme problema etico. Una possibile proposta, a parte quella di allevare questi esemplari anche per il mercato della vendita della carne – una soluzione considerata economicamente fallimentare – sarebbe quella di determinare il sesso in-ovo. A questo proposito, ci sono diverse soluzioni tecnologiche attualmente in fase di sviluppo. Uno studio condotto da alcuni ricercatori israeliani ha mostrato come, modificando geneticamente la gallina, sia possibile bloccare lo sviluppo degli embrioni maschili qualora l’uovo, una volta deposto ma prima che si schiuda, venga esposto per diverse ore alla luce blu. Gli embrioni femminili non sarebbero influenzati dalla luce, schiudendosi come al solito. I ricercatori hanno chiaramente avvertito la necessità di sottolineare come le uova non contengano alcun materiale modificato; quindi, i consumatori non hanno motivo di preoccuparsi di mangiare uova geneticamente modificate. Il senso di repulsione verso anche solo l’idea di poter mangiare uova geneticamente modificate, nell’ipotesi in cui gli scienziati stiano mentendo, potrebbe in questo caso influenzare un processo decisionale che consentirebbe di evitare la morte a miliardi di pulcini.

Un altro esempio è quello del bovino PRLR-SLICK, un bovino geneticamente modificato affinché presenti un pelo più corto. L’obiettivo è quello di ridurre lo stress provocato dal caldo, aumentando la tolleranza al calore dei bovini. Nel 2022, la Food and Drug Administration ha stabilito, a seguito di un’indagine, come queste mucche rappresentino un basso rischio e non pongano problemi per la salute. Si tratta di una delle prime approvazioni, per il mercato americano, di carne proveniente da animali geneticamente modificati. Nonostante questa modificazione genetica risulti altamente utile per lo stesso mercato della carne, ci troviamo di fronte a un’altra situazione che, quanto meno parzialmente, potrebbe promuovere il benessere dell’animale.

Bisogna allora considerare i due piatti della bilancia, il fattore Yuck da un lato e il benessere animale dall’altro. Per una serie di ragioni, non intendo in alcun modo entrare nel merito della saggezza della ripugnanza fondata su motivazioni squisitamente religiose e legate al fatto che un individuo provi disgusto per una creazione estranea all’iniziale progetto divino. Anche in questo caso, si potrebbero sollevare obiezioni sul valore di una simile esclamazione, soprattutto alla luce del mondo in cui viviamo. Come ha scritto cento anni fa J.B.S. Haldane in Daedalus or Science and the Future: “There is no great invention, from fire to flying, which has not been hailed as an insult to some god.”

Non può però essere trascurato quello “YUCK” suscitato dalla mancanza: mancanza di fiducia nei confronti del progresso scientifico e della comunità scientifica; mancanza di familiarità verso le novità, che siano o meno tecnologiche; mancanza di conoscenza di quelli che sono i reali rischi e le reali incognite. Quando il disgusto, l’avversione e la paura sono provocati da queste mancanze, è necessario impedire che influenzino i processi decisionali, a maggior ragione quando in gioco ci sono questioni eticamente rilevanti come il benessere animale. In tal senso, un secondo sondaggio riportato in un articolo del 2019 Public attitudes towards genetically modified polled cattle sembra essere di buon auspicio. I risultati ottenuti hanno infatti portato gli autori a concludere come le persone sembrino essere più propense ad accettare le tecnologie di modificazione genetica quando queste vengono percepite come vantaggiose per gli animali.

BIOTECNOLOGIE ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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