LA PROSPETTIVA ANIMALE DIMENTICATA NEL DISCORSO SULLA CARNE COLTIVATA

First_cultured_hamburger_unfriedARIANNA FERRARI

Le promesse della carne coltivata

La coltivazione di cellule staminali in laboratorio per produrre carne e pesce in maniera più ecologica, più etica e più salutare rappresenta una delle grandi promesse dell’innovazione alimentare del futuro. Grazie ad una lobby efficace di investitori, start-up ambiziose, colossi industriali della carne ma anche NGO ambientaliste e animaliste, la carne coltivata ha attratto ampi investimenti privati e pubblici negli ultimi anni. Si pensi che, recentemente, il governo fiammingo ha concesso 3,5 milioni di euro a un progetto di sviluppo del foie gras coltivato per sostenere le opportunità commerciali e occupazionali nella regione e la Danimarca e la Germania hanno stanziato ampi fondi per la ricerca sulle cosiddette proteine alternative (che comprendono anche altre innovazioni come la fermentazione di precisione).

La carne coltivata è la tipica innovazione chiamata nel gergo “win-win”, ossia un’innovazione che presenta quasi esclusivamente vantaggi, in questo caso per l’ambiente, la salute umana e animale e il benessere animale, praticamente riducendo gli svantaggi a zero.

Con la carne coltivata non sarebbe più necessaria l’uccisione di milioni di animali: basterebbe prelevare dal muscolo animale tramite biopsia delle cellule, o utilizzare cellule staminali embrionali o pluripotenti indotte, coltivarle in laboratorio e lì produrre direttamente hamburger, bistecche e altri prodotti (in realtà la carne non è altro che muscoli di animale). Non essendoci animali, il consumo di antibiotici e di risorse necessarie all’allevamento sarebbe eliminato. La carne coltivata sarebbe prodotta in laboratorio, ossia in un ambiente altamente controllato garanzia di qualità. Secondo vari studi, la produzione di carne in laboratorio richiederebbe più dell’80% in meno di terreno rispetto alla produzione convenzionale di carne e risparmierebbe anche moltissima acqua. Più incerti, invece, appaiono i vantaggi dal punto di vista energetico, in quanto i bioreattori capaci di produzione industrialmente la carne coltivata consumerebbero moltissima energia elettrica- è assolutamente necessario, dunque, che una produzione di massa sia alimentata da energia rinnovabile al 100%.

Chi ne sa di filosofia, sociologia e storia delle tecnologie, però, rimane di default scettico di fronte alla visione di una tecnologia che presenta solo vantaggi. Non perché si debba essere sospettosi rispetto al nuovo e allo sconosciuto, ma perché la storia insegna che i cambiamenti, implicando riassestamenti, soprattutto se riguardano un settore ampio come l’agricoltura, saranno accompagnati sempre da sfide, qualche svantaggio e qualche rischio. Si tratta di riflettere sulle diverse implicazioni di una trasformazione e mette in atto una seria valutazione dei rischi e dei benefici. Poi, se i benefici prevalgono, bisogna attuare politiche efficaci in grado di minimizzare gli svantaggi e i rischi.

La critica dell’allevamento tradizionale

I difensori dell’allevamento cosiddetto tradizionale accusano la carne coltivata di propugnare un “greenwashing”, ossia un inganno ai consumatori ad opera delle start-up e delle industrie che finanziano questa ricerca – in gran parte del comparto industriale agro-alimentare- presentando i prodotti come più sostenibili di quanto non lo siano in realtà. Recentissima è la nota informativa presentata al Consiglio Agricoltura e Pesca dalle delegazioni italiana, francese e austriaca, e sostenuta da altri nove Paesi (Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Lituania, Malta, Romania e Slovacchia) che richiede una valutazione più comprensiva di quella che potrebbe fare l’EFSA (l’autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare) comprendente aspetti etici, sociali, economici e culturali prima che questa innovazione sia messa sul mercato.

Associazioni agricole di categoria in moltissimi Paesi europei hanno da tempo intrapreso una critica alla carne coltivata, perché vedono una minaccia di monopolizzazione da parte delle grandi industrie nel settore dell’allevamento, una potenziale distruzione di pratiche di allevamento regionali considerate da loro “patrimonio culturale”, unita ad uno scetticismo per innovazioni tecnologiche alimentari ritenute artificiali e pericolose.

Il fatto che l’Italia sia il primo Paese al mondo ad aver approvato una legge che vieta la commercializzazione di una innovazione che ancora non esiste sul mercato Europeo e che molti politici si muovano a livello Europeo contro di essa dimostra che è in gioco una partita tutta politica. Per i difensori dell’allevamento tradizionale si tratta di rendere impermeabile alla trasformazione socio-ecologica il proprio settore. Accusando la carne coltivata di greenwashing, si vuole dimostrare che le pratiche di allevamento odierne sono sostenibili, giuste e contribuiscono a nutrire in maniera efficace e buona la popolazione. Addirittura ora coloro che difendono l’allevamento tradizionale anche in nome del benessere animale. Di fronte però ad un settore che, in parte già in mano a colossi industriali per quanto riguarda la selezione genetica degli animali allevati- quindi di fatto già esposto da tempo al problema dei monopoli-, all’enorme impatto ambientali degli allevamenti industriali e alla difesa di pratiche di sfruttamento animale anche nel piccolo e medio settore molti dubbi sorgono.

La richiesta di analizzare impatti sociali ed etici della carne coltivata prima che venga immessa nel mercato sarebbe giusta e seria se fosse accompagnata da un’analisi seria dello status quo dell’allevamento odierno, ma così sembra anacronistica.

C’è un elefante nella stanza del dibattito sulla carne coltivata, chiamato animale

Il dibattito politico si polarizza attorno alle questioni riguardanti il ruolo dell’innovazione tecnologica nell’epoca della trasformazione. Tuttavia, sia gli entusiasti innovatori e difensori della carne coltivata sia gli agguerriti critici spesso dimenticano di far chiarezza sulle implicazioni per gli animali. Per un’analisi più approfondita del dibattito di etica animale riguardo alla carne coltivata si veda il mio volume “Carne coltivata. Dalle cellule alla tavola”, edito da Fandango, 2024.

Si sente spesso dire che la carne e il pesce coltivati evitano l’uccisione e la sofferenza. Ma il prelievo bioptico sui pesci provoca una ferita grande da non permettere una vita senza sofferenze in acquacoltura, per cui i pesci vengono uccisi. Il prelevamento di cellule staminali da embrioni o da parti corporee (generalmente feti o liquido amniotico) richiede l’uso della fecondazione assistita, la biopsia causa stress. Gli animali fecondati artificialmente non sono liberi di scegliere il partner e il momento dell’accoppiamento, i fornitori di liquido seminale sono selezionati da generazioni e le femmine sono in genere sottoposte a stimolazione ormonale. Si badi bene, la fecondazione assistita è pratica comune nell’allevamento industriale dovuta alla necessità di selezionare il materiale genetico, anche in quello biologico.

Gli animali “fornitori” di cellule staminali devono essere selezionati ed essere giovani, visto che con l’invecchiamento perdono la capacità di auto-rinnovamento. L’immagine idilliaca di animali liberi sui prati che occasionalmente vengono richiamati per biopsia è tanto romantica e falsata quanto l’immagine della mucca che pascola felice per dare il latte.

Il punto è questo: l’allevamento tradizionale, a discapito dei suoi difensori, non solo è insostenibile dal punto di vista ambientale, ma implica uno sfruttamento animale non difendibile dal punto di vista etico. La carne coltivata ridurrebbe drasticamente il numero degli animali utilizzati, ma solleva delle questioni ancora irrisolte riguardo ai diritti animali. Come vivranno gli animali “fornitori” di staminali, che ne sarà di tutti gli individui non adatti (per esempio animali troppo vecchi), ci sarà bisogno di allevarli e selezionarli geneticamente?

La carne coltivata non esiste (ancora) nella produzione di massa, vi sono tante questioni tecniche irrisolte ed è proprio in questo momento che è possibile intervenire nell’orientare lo sviluppo tecnologico. Decenni di ricerca sugli impatti delle innovazioni ci hanno insegnato che le tecnologie non possono essere considerate meri strumenti da utilizzare, ma che bisogna assumersi le responsabilità di direzionare le innovazioni in un modo socialmente robusto, quindi eticamente accettabile e politicamente giusto.

È ora di far entrare la prospettiva dei diritti degli animali nel discorso politico sulla carne coltivata e sugli allevamenti tradizionali.

BIOTECNOLOGIE ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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