HOUELLEBECQ VIS-À-VIS CONL’ERMENEUTICA CONTRATTUALE

PERVACCARISTEFANO VACCARI

1. Michel Houellebecq, nell’ultimo revenge-pamphlet intitolato Quelques mois dans ma vie (Qualche mese della mia vita, nella traduzione italiana per i tipi della Nave di Teseo), offre un esercizio di contraddittorio difensivo autobiografico rispetto ad alcuni avvenimenti che hanno segnato la vita dello scrittore francese nell’ultimo periodo.

Il ‘cahier de doléances’ richiama, innanzitutto, le accuse di istigazione al razzismo e di islamofobia mosse nei confronti dell’autore, in ragione di talune affermazioni (definite provocatoriamente: i «miei perpetui battibecchi con i musulmani») che – complice lo stile diretto e la penna ‘graffiante’ – hanno suscitato dure reazioni nel mondo musulmano e non solo. Il riferimento è ai celebri romanzi Plateforme e Soumission, nei quali trovano anticipazione – in una sorta di tragica ‘profezia’ – i sanguinosi attentati di Bali e di Parigi, ma anche alla più recente intervista pubblicata sul Front populaire, nella quale Houellebecq ha dichiarato che la popolazione francese ‘autoctona’ desidera che i musulmani «smettano di derubarla e aggredirla, insomma che rispettino la legge, e che li rispettino».

In disparte al malcerto tentativo di riabilitazione ex post dell’autore («Il primo colpevole sono innegabilmente io: da alcune delle mie frasi trapela un’aggressività che in realtà non ho mai provato»; «porgo le mie scuse ai musulmani che questo testo può avere offeso»), il diario suscita grande curiosità per il lettore-giurista, coinvolto in una storia che impone un confronto obbligato con l’‘algida bellezza’ delle impalcature teorico-dogmatiche del diritto. Unendo questo elemento alla magnetica attrazione per la consueta verve polemica e per lo stile anticonformista, entrambi marchio di fabbrica di Houellebecq, non può che risultare un ‘ircocervo giuridico-letterario’ di indubbio fascino.

2. La fattispecie di rilievo giuridico si riferisce al noto caso, ampiamente divulgato dai principali media europei, del video a luci rosse con protagonista lo scrittore francese.

Entra in scena l’artista e regista Stefan Ruitenbeek (definito dall’a., in chiave fortemente caricaturale-dispregiativa, lo ‘Scarafaggio’), leader del collettivo KIRAK (acronimo di ‘Keeping It Real Art Critics’), noto al pubblico dei Paesi Bassi per il video-scandalo ‘Honeypot’ con la partecipazione del filosofo – sovente inquadrato tra gli esponenti intellettuali della destra conservatrice olandese – Sid Lukkassen.

Tra la fine dell’ottobre e l’inizio di novembre 2022, il regista organizzò un incontro a Parigi tra Houellebecq e una studentessa di filosofia, asserita ammiratrice dell’opera dello scrittore francese: il che, com’era presumibile, fu sufficiente per galvanizzare l’ego del nostro, notoriamente sensibile alle lusinghe del gentil sesso («vanitoso più o meno come la media degli scrittori, prestai fede a questa parte della menzogna»). I due si accordarono per filmare un rapporto intimo destinato al caricamento sulla piattaforma ‘OnlyFans’ ove la studentessa era attiva. Houellebecq si è dunque mostrato pienamente accondiscendente nei confronti della ripresa amatoriale condotta dal regista olandese, tanto da idealizzare la performance con una certa verticalità di pensiero («vi scorgevo qualcosa di ammirevole, per via del coraggio che richiedeva, dell’assoluta indifferenza alle norme sociali che dimostrava; […] ci vedevo persino un atto di generosità la cui gratuità mi colpiva»).

Dopo alcune settimane, in occasione di una trasferta ad Amsterdam, Houellebecq firmò il contratto predisposto da Stefan Ruitenbeek avente a oggetto l’espressione del consenso per la collaborazione in produzioni di vario genere del team KIRAK (art. 1.1: «Il partecipante collaborerà in film artistici, di finzione, documentaristici, performativi, saggistici, erotici, pornografici ed episodi di KIRAK»). Tra i nove articoli che compongono il regolamento contrattuale è d’indubbio rilievo la clausola 1.4.: «La presente autorizzazione si applica a qualsiasi contenuto, sequenza, registrazione ed elaborazione di immagini che raffigurino il partecipante creati e/o ottenuti da Stefan e dalla sua équipe nel periodo intercorrente tra il primo novembre 2022 e il 31 dicembre 2023». Grazie a tale previsione, il video parigino risultò incluso nel perimetro di efficacia (retroattiva) dell’autorizzazione rilasciata con la sottoscrizione del contratto («Quel contratto era ampiamente retroattivo; firmato il 21 dicembre ad Amsterdam, autorizzava lo Scarafaggio a utilizzare le immagini pornografiche girate a Parigi il 1° novembre»).

Houellebecq è costretto a confrontarsi con la categoria giuridica della ‘retroattività’, ossia la capacità di un atto (legge, provvedimento amministrativo o contratto) di estendere la propria efficacia (talvolta ricorrendo a una ‘fictio iuris’) a fatti antecedenti al momento temporale della sua adozione o entrata in vigore. Del tutto incredulo, egli ritiene che si tratti di un ‘meccanismo legale’ inimmaginabile e in contrasto con la propria concezione del giuridico, potendo qui il lettore nutrire più di una riserva sulla genuinità delle esternazioni di Houellebecq («Un contratto retroattivo era per me qualcosa di impossibile, di addirittura inconcepibile, violava le più elementari idee che avevo del diritto»).

È evidente il tentativo dell’autore di incrinare la serietà e il carattere impegnativo del vincolo contrattuale («Lo Scarafaggio sfoderò un contratto, presentandolo come una noiosa ma banale formalità, che ci toccava espletare il più rapidamente possibile»), lasciando intendere che il semplice ‘pentimento’ di una delle parti (al di là delle clausole di recesso convenzionale, in questo caso non previste) possa giustificare la liberazione da ogni obbligazione sorta dall’atto di autonomia privata («mi consideravo ancora molto furbo, e in effetti il mio unico errore fu quello di non prestare alcuna attenzione alla clausola 1.4. La lessi solo molto più tardi, il 31 gennaio 2023, e fu allora che decisi di intraprendere un’azione legale»). Senza qui voler scomodare il domestico art. 1372, co. 1, c.c., secondo cui «Il contratto a forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge» (del resto, il contratto in questione è regolato dal diritto olandese), si fatica a non opporre allo scrittore francese il tradizionale e fondamentale principio civilistico, incarnato nella coscienza collettiva, del c.d. pacta sunt servanda, salvo eccepire l’esistenza di vizi del consenso per incapacità (naturale) di intendere o di volere (non a caso, l’autore richiama – quali fattori asseritamente invalidanti – lo stato di ebrezza accompagnato a depressione in cui versava al momento della sottoscrizione dell’accordo).

I più potrebbero risultare delusi dal tentativo di Houellebecq di apparire a posteriori quale vittima incolpevole, a tratti ‘ingenua’ («Il video che venne poi presentato dallo Scarafaggio come prova a carico, una volta ingaggiata la battaglia legale, rivela che presto un’attenzione solo distratta alle sue clausole»); in particolare, chi ha sempre apprezzato nello scrittore francese quello slancio di vitalismo dinionisiaco (pur con il suo caratteristico pessimismo) compendiabile nel nietzschiano paradigma dell’‘al di là del bene e del male’. In questo racconto autobiografico, l’uomo Houellebecq appare invece ‘nudo’ agli occhi del lettore, lasciando trasparire debolezze e contraddizioni, che l’autore non ha vergogna di mostrare al proprio pubblico, sperando in un sentimento di ritorno nelle forme della comprensione più che del mero biasimo («Quasi tutti si sbagliavano; questo film porno non sarebbe mai stato dimenticato. La vergogna, per citare Kafka, mi sarebbe sopravvissuta»; «A livello mentale ero attraversato da ondate di rabbia impotente, ma mi capitava anche di raggomitolarmi, trafitto dalla vergogna»).

Basti considerare che lo scrittore arriva financo, in una sorta di ‘excusatio non petita’, a definire la sessualità – uno dei leitmotiv della sua cifra narrativa – come un ‘qualcosa di sporco’ («In quei pochi minuti iniziali di Honeypot avevo avuto, per la prima volta in vita mia, l’impressione che nella sessualità ci fosse qualcosa di sporco; nella sessualità di per sé, al di là di qualsiasi devianza»), pur di utilizzare anche questo argomento come ulteriore mezzo di ‘belligeranza dialettica’ nei confronti del regista-leader di KIRAK, sì da (tentare di) ‘esorcizzare’ la propria esperienza negativa («spero che quello che avete tra le mani possa fungere da esorcismo rispetto a quei tre rifiuti umani che hanno turbato alcuni mesi della mia vita»).

Ad ogni modo, il Tribunale di Parigi ha declinato la giurisdizione rispetto all’azione promossa da Houellebecq, evidentemente applicando la specifica clausola contrattuale (art. 9) dedicata alla legge applicabile e al foro competente: «Il rapporto giuridico tra le parti è regolato dalla legge olandese; tutte le controversie che potranno insorgere tra le parti saranno risolte (secondo la legge olandese) dal tribunale olandese di Amsterdam». A sua volta, il Tribunale di Amsterdam, dinanzi al quale è stata riproposta l’azione, ha giudicato valido (per assenza di vizi del consenso) il contratto sottoscritto dallo scrittore, pur riconoscendo uno squilibrio in favore della controparte.

Houellebecq si è visto costretto a proporre appello avverso l’ulteriore decisione giudiziale per lui negativa, pur dichiarandosi fortemente scettico circa le possibilità di successo del gravame («L’udienza di appello avrà luogo tra due giorni. Le mie possibilità di successo sono scarse»). Le bozze del libro sono state licenziate il 16 aprile 2023, a due giorni dalla prima udienza d’appello; a un mese di distanza, con il volume già consegnato alle stampe, il tribunale olandese ha statuito (secondo quanto si apprende dalle fonti di stampa) l’obbligo per il regista di mostrare a Houellebecq il film completo prima della sua distribuzione, sulla scorta di un argomento di ordine lato sensu cautelare: il definitivo consolidamento del pregiudizio dell’attore (processuale e, ironia della sorte, anche ‘cinematografico’) in caso di pubblicazione del filmato nella sua versione integrale. Si riconosce, pertanto, a Houellebecq il diritto di adire nuovamente la corte olandese nel caso in cui il regista dovesse rifiutarsi di apportare le modifiche al filmato eventualmente richieste, fatto salvo ogni diverso accordo transattivo tra le parti per una definizione consensuale della controversia.

3. In disparte all’esito del giudizio, ciò che in definitiva emerge dal libro è una concezione della funzione giurisdizionale a forte personalizzazione ‘antropocentrica’ («La sentenza del tribunale di Amsterdam mi orientava purtroppo verso una spiacevole generalizzazione: credevo sempre di meno nella giustizia umana»). Le pagine di Houellebecq non raffigurano la Giustizia secondo l’immagine della mitologia romana – evocativa dei canoni di terzietà e imparzialità – della dea bendata munita di bilancia, bensì quale mero potere di decisione che sconta gli inevitabili condizionamenti e le influenze prodotte dalle passioni che affliggono le singole personalità umane. Di qui il marcato sentimento di sfiducia nel sistema giudiziario («Il 3 marzo ebbe luogo in Francia una prima sconfitta giudiziaria, acclamata dai media. In fondo, non avrebbe dovuto sorprendermi; già da tempo non avevo più fiducia nel sistema giudiziario del mio paese»; «Non sapevo nulla dei giudici olandesi, ma l’esperienza francese dimostra piuttosto che i giudici, arroganti di fronte al potere esecutivo, diventano servili di fronte ai media. Dei piselli», ricorrendo così all’infelice espressione ‘petit pois’ utilizzata da Sarkozy nei confronti della magistratura francese) e nei suoi protagonisti («Un’avvocata onesta come la mia si trova necessariamente in una posizione di debolezza di fronte a un bastardo privo di scrupoli»), che si accompagna ad alcune raffigurazioni di tenore banalizzante attinte dai romanzi di Grisham o, financo, dai ‘tòpoi’ ripresi da serie televisive ad ambientazione giudiziaria.

La prosa, sul punto, attiva gli efficaci (ma pericolosi) ‘motori’ della vendetta e dell’odio («Non era più possibile delegare la vendetta, stava diventando nuovamente necessario esercitarla a titolo privato, evitando se possibile di farsi prendere»), mostrando evidenti segni di debolezza dell’autore dettati dal forte coinvolgimento emotivo nella vicenda: non si tratta più di un mero divertissement intellettuale – il che richiederebbe la capacità del sereno distacco, della razionalità e della continenza espositiva – quanto di un incontrollato ‘stream of consciousness’ assimilabile a certi flussi di pensiero che è possibile ritrovare negli esponenti della c.d. beat generation (in questo caso, senza sottofondo di sax o jazz ‘be-bop’…).

Il lettore-giurista potrebbe dispiacersi di una così forte mortificazione della serietà del discorso giuridico, delle sue procedure e funzioni, su cui si regge l’ordinato svolgersi dei rapporti sociali. Forse Houellebecq potrebbe tacciare questo commento come intriso di moralismo e di ingenua passione per le virtù e la nobiltà del Diritto. Eppure… sono ancora numerosi coloro – tra cui è annoverabile il sottoscritto – a cui piace credere convintamente nella giustizia (con o senza aggettivazioni), nonostante tutto…

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