E LA CARNE SI FECE VERBO … MA NON SMISE DI ABITARE IN MEZZO A NOI: TRAIETTORIE PER UNA METAFOROLOGIA POLITICA DEI CORPI

downloadFERDINANDO MENGA

Trasposizioni: … e il verbo si fece carne. “Kaì ho lógos sàrx eghéneto kai eskênôsen en hêmin” – “E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Questa è una delle formule più celebri con cui, secondo le parole del Vangelo di Giovanni (Gv 1,14), si annuncia l’incarnazione di Dio nella persona del Cristo – unificazione compiuta di trascendenza divina e immanenza del mondo – e si dà avvio, attraverso morte, resurrezione del Figlio e invio dello Spirito ai discepoli, alla dinamica storica del cammino della Chiesa.

Ma, a prescindere da una connotazione strettamente ecclesiologica, suddetta trasmutazione, a ben vedere, produce effetti molto più pervasivi e affatto teologici. Essa fornisce, in effetti, scaturigine e consistenza a quel flusso di legittimazione simbolica e concretamente politica del potere, che sosterrà l’intera catena di trasmissione del comando entro gli ordini temporali dell’Occidente cristiano, quanto meno fino alle soglie della Modernità.

Con qualche licenza di semplificazione è possibile assumere, infatti, che è precisamente e letteralmente tale “metafora” capitale dell’incarnazione – ossia, trasferimento/trasposizione del divino nella carne del mondo attraverso il Cristo – ad aver dato sussistenza al mandato petrino, permettendo così, di volta in volta, l’infondersi del potere nel corpo del sovrano, presidio e centro di tutte le membra dell’intero organismo politico.

Non è un caso, dunque, che un tale schema teologico-politico, su cui peraltro molto si è soffermato Carl Schmitt, venga connotato da Claude Lefort proprio nei termini di una logica dell’incorporazione, ovvero un’irrorazione pervasiva del tessuto mondano da parte della sostanza divina, da cui altro non può conseguire se non un’organizzazione ferrea dell’intero corpo sociale e di tutte le sue componenti. La compiuta razionalità divina che presiede e attraversa l’organismo politico tutto, in effetti, non può far altro che trattenere a sé ogni singolo elemento di questo corpo stesso, non concedendogli vero e proprio spazio di movimento e libertà.

Di qui, il notorio modello complessivamente organicistica con cui si autocomprende la società medioevale e che fissa ogni individualità a un sostrato di predeterminazione ontologica, fino a inchiodarne i piani di vita a luoghi e ruoli prestabiliti. Come a dire: se il verbo divino si è davvero fatto carne ed è perciò dominatore dell’ordine mondano nella sua intera estensione e in ogni suo segreto anfratto, allora è altrettanto indubbio che il corpo politico stesso e ogni corpo al suo interno altro non possono rappresentare se non una cristallizzazione di suddetto ordine.

Levitazioni: … ma la carne si fece verbo. Eppure, come accennato poc’anzi, un tale schema metaforico vige fino a un certo punto. Nell’epoca moderna si verifica, infatti, un capovolgimento decisivo. Capovolgimento che non smette di investire – questo è bene sottolinearlo – la medesima grammatica del corpo.

Si tratta, seguendo sempre la lettura di Lefort, di un movimento di scorporazione che, in estrema sintesi, implica quanto segue: nel dispositivo simbolico-antropologico medievale si insinua la perdita di credenza nella dinamica di trasmissione teologico-politica del potere. È in particolar modo Lutero, con la sua messa in dubbio della legittimità della mediazione petrina, a dare la stura a una tale svolta: spezzato, infatti, l’anello di congiunzione che per intermediazione individuava nel sovrano la piena compenetrazione di trascendenza e immanenza, si viene a perdere il luogo d’identificazione corporea con il potere. Il luogo del potere, in altre parole, sottratto una volta per tutte alla sua fissazione in un corpo determinato, da cui in precedenza si credeva soltanto potesse irradiare – appunto, quello del sovrano –, si scopre ora senza corpo.

Per indicare la presa di consapevolezza di una tale scorporazione, Lefort parla anche di una scoperta del potere quale “luogo vuoto”. Svuotamento, questo, che, in quanto disidentificazione col sovrano, dà forma incipiente a una possibilità di distribuzione alternativa del potere: ossia, quella della democrazia come organizzazione di condivisione agonistica del governo attorno a un centro di comando non più occupabile una volta per tutte; e questo dal momento che nessuno può più reclamare qualsivoglia consustanzialità corporea col potere stesso.

Va da sé, inoltre, che lo svuotamento del luogo del potere finisce per produrre anche un’altra conseguenza importantissima: la liberazione dei corpi stessi entro lo spazio politico. Difatti, dal momento in cui l’organizzazione dell’organismo sociale cessa di credere di derivare legittimamente la propria configurazione da una fonte trascendente atta a predeterminarla in modo sostanziale, neppure può più pretendere d’inchiodare le identità individuali e i relativi piani di vita a un ordine inesorabilmente cristallizzato. È per tale ragione, quindi, che la scorporazione del potere conduce direttamente a un incrementale e generalizzato affrancamento dei corpi.

In tal modo, quanto potremmo sostenere si verifichi nella Modernità è una sorta di perdita di peso specifico del corpo. Una forma di alleggerimento dalla gravità corporea che innesca, in qualche modo, tutta una serie di processi fondamentalmente concatenati o, se vogliamo, l’uno concausa dell’altro.

Probabilmente, quello più importante e che li lega tutti assieme è l’istituzione stessa della soggettività moderna: cioè un’unità potenziale che ora, proprio perché svincolata, si rivela dotata di energia psichica per elevarsi e librarsi libera, prendendo così le distanze per oggettivare, valutare, sperimentare, paragonare, mappare, esercitare critica, funzionalizzare a sé spazi e tempi – insomma, autopercepirsi come dominio spirituale sul cosmo. Potenzialità che incontra, se vogliamo, il suo culmine teoretico tanto nell’impresa di razionalizzazione scientifica del mondo di stampo illuminista, quanto nel movimento di compiuta concretizzazione concettuale prospettato dalla dialettica dell’Assoluto hegeliano, per il quale, in effetti, ultimativa non è la condizione di un Soggetto che si sa come Sostanza, ma, al contrario, quella di una Sostanza che si sa in quanto Soggetto.

Sul versante pratico, alla liberazione di una tale energia psichica, fa riscontro la corrispondente mobilitazione di energia fisica; un’energia dei corpi volta a consentire un percorrimento sempre più esteso delle distanze e una colonizzazione sempre più capillare dei luoghi, come pure uno sfruttamento sempre maggiore delle risorse, laddove queste siano reperibili. Tutti processi, questi, anch’essi tipici della civiltà moderna e destinati a trovare nella contemporaneità globalizzata un’espressione dotata d’intensità quantitativa e accelerazione temporale senza precedenti.

Esattamente in tale linea potremmo perciò segnalare quanto la Modernità sia attraversata da una dinamica di ribaltamento metaforico rispetto a quella enunciata all’inizio: non più ora un verbo che si fa carne e che fissa i corpi al mondo, ma piuttosto una carne che si fa verbo, sì da innescare un movimento tale per cui i corpi risultano più che mai liberi di fluttuare in un’inarrestabile e progressiva espansione, fino a giungere a quel che Nietzsche nel suo Zarathustra avrebbe apostrofato come un capriccioso saltellare dell’ultimo uomo sul mondo.

Ossessioni: … la carne ritornò (fantasmaticamente). Eppure, la Modernità non si limita a mostrare soltanto una versione così lineare e unidirezionale della grammatica del corpo. Anzi, a ben vedere, ne rivela una gestione piuttosto ambigua e problematica: come se il corpo, insomma, nel momento stesso della sua massima liberazione, si ritrovasse impigliato in contromovimenti tali da riattivarne, in qualche modo, il peso specifico ineliminabile.

Numerose e complesse sono le traiettorie metaforiche di un tale rientro fantasmatico della gravità del corpo sul palcoscenico moderno. Mi limito a citarne alcune e in modo assai succinto.

Una prima versione di rientro del corpo, a dispetto della celebrazione della sua libera mobilitazione, è mostrata esattamente dall’ossessione del potere rivolto al suo controllo. La dinamica di pervasivo disciplinamento biopolitico tipico della governamentalità tardo-moderna, su cui molto si è intrattenuto Foucault, rileva in effetti un caso del genere. Come a dire: proprio nel momento in cui i corpi individuali assurgono alla piena possibilità di svincolo, esattamente lì si necessitano e mettono in moto forme di previsione e contenimento della loro energia. Il corpo liberato diventa, in altri termini, elemento di pericolo potenziale per la tenuta stessa dell’ordine, innescando quindi l’esigenza di apparati epistemologici e simultaneamente psico-politici che ne predispongano l’irreggimentazione.

Nella medesima direzione può essere letta anche la dinamica psico-economica prodotta dalla macchina del consumo capitalistico, laddove il ripresentarsi di un’ossessione all’immobilizzazione del corpo emerge – come ci insegna molto bene Bernard Stiegler nella sua teoria psicopolitica – proprio in controluce a tutte le tattiche finalizzate all’adescamento e cattura dell’energia desiderante e attenzione dei soggetti.

Pulsioni desideranti che, poi, non solo a partire da strategie progettate dall’alto, ma anche attraverso iniziative azionate dal basso, ripropongono la medesima tendenza di fissazione ossessiva al corpo mediante vere e proprie coazioni a ripetere, come quelle che vedono protagoniste pratiche di maniacale dedizione all’aspetto fisico. L’odierno pullulare di centri estetici, programmi fitness e piani dietetici di ogni sorta e foggia, altro non testimoniano – al di là di qualsivoglia giudizio di valore – se non l’estensione e pervasività del movimento di un inchiodamento autoprocurato al/del corpo.

Nondimeno, il ritorno di un peso specifico della corporeità non conosce, però, soltanto le traiettorie problematiche e tendenzialmente detrattive appena indicate. A ben guardare, invece, la scena moderna e contemporanea, accanto a tali versioni reattive di rientro fantasmatico di un gravame del corpo, presentano anche forme di attivo e genuino re-investimento sulla materialità irriducibile della carne proprio in linea con una risposta alla pericolosa ubriacatura di una levità corporea responsabile dell’allontanamento dell’umano dalla sua strutturale connessione con una materialità tutta terrena.

Freud, ad esempio, proprio all’apice della grande illusione illuminista-razionalizzante protonovecentesca, richiama inequivocabilmente alla necessità di scoprire in modo rinnovato la significatività estrema del radicamento della vita soggettiva nel suo sostrato pulsionale di matrice fisico-corporea.

In modo diverso, eppure indicante in direzione simile, è anche Merleau-Ponty a sostenere l’esigenza di ricalibrare la co-esistenza umana non solo e non tanto sulla facoltà razionalizzante, ma anche su quanto egli stesso indica nei termini di una “inter-corporeità trascendentale”. Come a dire che noi veniamo all’esistenza e perduriamo in essa non tanto quali entità spirituali, quanto piuttosto mediante e grazie a una corporeità condivisa, che attraversa e connota continuamente il nostro essere-al-mondo.

Condivisione di una materialità corporea primordiale di cui, a ben vedere, oggigiorno impariamo sempre più a saggiare l’importanza, se solo pensiamo all’emergenza ecologica e climatica, la quale a null’altro richiama se non alla necessità di un riequilibrio fondato su un’abitazione armonica dei corpi umani con ed entro il grande corpo costituito dalla connessione degli habitat ecosistemici. Come ben sappiamo ormai, è proprio su questo riequilibrio che si giocano le sorti del pianeta.

Riequilibro destinale che, peraltro, volendo chiudere il cerchio con la grammatica stessa da cui abbiamo preso le mosse, non cessa di trovare anche qui suggestioni o echi metaforologici di sapore tutto teologico. Al riguardo basti pensare alla promessa di riconciliazione escatologica di matrice cristiana, che non abbandona affatto la significatività del peso del corpo, ma, al contrario, la accentua iperbolicamente. E lo fa nella misura stessa in cui l’intercorporeità trascendentale, di cui parlavamo poc’anzi, esprime qui tutta la sua dinamizzazione temporale: quella, per l’appunto, di un ritorno del “mondo che verrà” popolato non da spiritelli o meri enti di ragione, ma piuttosto da una diffusa e trasversale “resurrezione della carne”.

 

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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