IL DOMINIO E LA LOTTA

PERGAZZOLOTOMMASO GAZZOLO

1. Il tabù della verginità è forse lo scritto in cui Freud più chiaramente riflette sul reciproco sentimento di diffidenza, se non di vera e propria “ostilità”, che separa le donne dagli uomini. Come Miller ha ricordato, se c’è una verità che si possa estrarre “da questo trattato freudiano sull’amore, in fondo è che coloro che entrano in questo campo devono lasciare ogni speranza: le donne non sopportano gli uomini”.

Se, infatti, in esso viene ripreso, per un verso, il tema del disprezzo che l’uomo in ultima istanza prova nei confronti della donna, per l’altro viene alla luce, però, anche il suo rovescio. Secondo un procedimento che gli è tipico, Freud muove dal caso “eccezionale” della frigidità che colpisce alcune donne – per poi mostrare come esso non faccia che occultare il fatto che esso non è in realtà realmente distinto da quanto normalmente accade. La “frigidità”, infatti, non si spiega come un’eccezione aduna situazione normalmente opposta ad essa, ma come la persistenza, e la fissazione, di qualcosa che connota sempre il rapporto sessuale: l’ostilità della donna nei confronti dell’uomo dopo il primo coito.

Secondo Freud, il primo coito, infatti, è sempre deludente, per la donna. Le ragioni, apparentemente, possono essere diverse: il dolore provato, l’”umiliazione narcisistica” subita a causa della distruzione dell’imene, la non corrispondenza tra ciò che ci si aspettava e l’effettivo appagamento ricevuto. Ma tutte tali spiegazioni non vanno, per Freud, abbastanza a fondo. Per questo egli avanza altre e diverse ipotesi. A partire dal fatto che un uomo, chiunque egli sia, non è mai l’oggetto del desiderio della donna. Così Freud: “sono qui di scena desideri sessuali conservati dall’infanzia […]; questi desideri spesso non miravano al coito, o lo includevano solo come meta vagamente percepita. Il marito è per così dire sempre solo un sostituto, non è mai l’uomo giusto; il primo posto nella capacità amorosa della donna lo ha un altro, in casi tipici il padre, il marito ha al massimo il secondo posto”. L’oggetto del desiderio, ormai lo abbiamo visto, è sempre perduto: per questo un uomo, chiunque egli sia, sarà sempre e soltanto un “sostituto” di tale oggetto. Freud, poi, apre un’altra strada per cercare di spiegare quella che egli ritiene “l’ostile animosità della donna contro l’uomo, mai del tutto assente nelle relazioni tra i sessi”. L’atto sessuale, in questo senso, riattiverebbe sempre, nella donna, l’umiliazione di dover essere penetrata, di non poter avere ella il pene, di doverlo necessariamente e sempre ricevere.

Ma qui, Freud sembra concedere – attraverso Ferenczi – la possibilità di una lettura parzialmente differente rispetto a quella più classica dell’ “invidia del pene”: ciò a cui, infatti, la donna continuerebbe a reagire con ostilità, non è il fatto che l’uomo possieda il pene che lei vorrebbe avere, quanto, diversamente, il fatto che l’uomo è in grado, fisicamente, di imporre, di obbligare la donna a subire il rapporto sessuale. Secondo Ferenczi, infatti, “originariamente” la copula, il rapporto sessuale, “avveniva tra due individui consimili, di cui però uno si trasformò nel più forte e obbligò il più debole a sopportare l’unione sessuale. L’esacerbazione derivante da questa sottomissione si protrae ancora nell’odierna disposizione della donna”. Se, allora, con “pene” intendiamo non semplicemente l’organo, ma il potere simbolico che è ad esso collegato, le due linee di spiegazione si intersecano. Se il coito non va senza attivare anche un’animosità, un odio della donna verso l’uomo, è perché in esso si riproduce, ogni volta, il ricordo di un atto di sottomissione, di un rapporto sessuale costretto e non voluto (dal momento, come si è visto, che il desiderio della donna non è mai rivolto originariamente verso di esso: a ben vedere, infatti, il desiderio della bambina è anzitutto quello di ricevere dal padre un bambino – e solo secondariamente esso si trasforma nell’equivalente di ricevere dall’uomo il suo pene. Per questo Freud, qui, parla, rispetto a quello provato per il padre o il fratello, di “desideri che spesso non miravano al coito”). Nel rapporto sessuale, allora, resta – inconscia e impossibile da rimuovere – la riproduzione di una relazione di potere, di una imposizione del più forte sul più debole.

Per Freud, pertanto, il rapporto sessuale è sempre attraversato dal suo stesso fallimento. In ultima istanza, i maschi sono essenzialmente impotenti (non riescono a desiderare le donne che amano, non riescono ad amare le donne che desiderano) e le donne frigide (non riescono a non provare risentimento e ostilità per l’uomo che pure amano). L’uomo ha bisogno, per poterla realmente desiderare, di “degradare” la donna; la donna ha bisogno, per poter amare, di scaricare l’ostilità che l’atto del primo coito riattiva in lei (per questo Freud ha sempre benedetto le seconde nozze come quelle solitamente più riuscite).

L’ipotesi è che, se queste condizioni non possono più essere assicurate, se, come Houellebecq osserva, in società come quella occidentale, gli uomini si sentono sempre più impotenti rispetto alle donne ed alle loro pretese, e le donne sembrano spinte sempre di più a “diventare sempre più simili agli uomini”, il sesso non diviene altro che uno dei campi in cui si riproducono le (instabili) relazioni di potere tra uomini e donne. Intendiamoci: il “sesso” è sempre, costitutivamente, anche una relazione di potere – perché il potere passa sempre attraverso ogni tipo di relazione. Il problema, se mai, è non fare di esso soltanto una relazione di potere.

2. Houellebecq dà a questo campo il nome di “estensione del dominio e della lotta”. Potremmo dire che ogni suo romanzo non è che una ripresa di questo tema, un “sondaggio” in cui, ogni volta, se ne cerca di afferrare la verità fondamentale: che “la sessualità è un sistema di gerarchia sociale”. Intendiamo: la sessualità in sé e per sé considerata, o “liberata”, se si vuole, da ogni tipo di condizione (morale, culturale, etc.) a partire da cui tradizionalmente è stata possibile, si rivela non essere nient’altro che un nome per indicare l’ambito della competizione, della lotta. Esempio semplice di Houellebecq: come in un sistema in cui il licenziamento è proibito, tutti riescono bene o male a trovare un posto di lavoro, così “in un sistema sessuale dove l’adulterio è proibito, tutti riescono bene o male a trovarsi un compagno di letto”.

Ma in un sistema “perfettamente liberale”, nel “liberalismo sessuale” della società di mercato, l’eliminazione di ogni ostacolo, condizione, limite al rapporto sessuale produce, anziché una “liberazione” della sessualità, nient’altro che “l’estensione dell’ambito della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società”: “le femmine si disputano determinati giovani maschi; i maschi si contendono determinate giovani femmine”.

La sessualità cessa allora di essere una “potenza positiva, una fonte di unione che accresce la concordia fra gli esseri umani grazie alle vie innocenti del piacere condiviso”: da eros, ossia ciò che consente la creazione di legami, il sesso diviene ora il suo contrario, pulsione di distruzione, di morte: “adesso invece vi vedeva sempre più spesso la lotta, il combattimento brutale per il dominio, l’eliminazione del rivale”. Estesa a tutte le età e a tutte le classi, la competizione sessuale produce e riproduce l’inesorabile condanna di alcuni, destinati alla frustrazione e all’impotenza.

Ma con un’asimmetria fondamentale – su cui dovremo tornare – che dipende da ciò che per Houellebecq costituisce la differenza tra desiderio maschile e femminile. Perché quello maschile è sempre e soltanto desiderio di scopare, e di scopare donne giovani: “Quando l’amore fisico sparisce, sparisce tutto; un’irritazione cupa, senza profondità, viene a riempire la serie dei giorni. E sull’amore fisico non mi facevo illusioni. Giovinezza, bellezza, forza: i criteri dell’amore fisico sono esattamente gli stessi del nazismo”. Lasciato “libero” di fare il suo ingresso in una logica di mercato, quello maschile si rivela essere un desiderio intrinsecamente nazista: seleziona sulla base dell’età, della forza e della bellezza, ed è disposto a pagare per comprarle. I maschi desiderano essenzialmente donne giovani, al di sotto dei quarant’anni, e “l’uomo è un adolescente menomato”: invecchiando, continua ad avere gli stessi desideri di quando era adolescente: “non solo il desiderio sessuale non sparisce, ma con l’età si fa sempre più crudele, sempre più straziante e insanabile […], l’attrazione per i giovani corpi femminili non diminuisce, essa diventa, ed è forse ancor peggio, una cosa mentale, e desiderio del desiderio”.

Per le femmine, vale diversamente. Il desiderio femminile è, per Houellebecq, inseparabile – anche se le cose stanno già cambiando, egli osserva – da quello di essere amate: una donna punta ad annodare l’amore al godimento, a unire il corpo al “nome”, alla parola che rende l’altro mancante di lei, solo di lei.

Un regime di “estensione della lotta”, tuttavia, condanna sempre e comunque, sia dal lato maschile che da quello femminile, la vecchiaia, la maturità, la fine dell’adolescenza. In modo diverso, come si è visto: agli uomini maturi viene tolto il diritto di scopare, alle donne la possibilità di essere amate. Così Houellebecq, per i primi: “nelle condizioni attuali dell’economia sessuale, l’uomo maturo ha voglia di scopare, ma non ne ha più la possibilità; non ne ha nemmeno più veramente il diritto”. La riduzione del sesso a puro divertimento, a puro oggetto di consumo, entro una economia del mercato, lo riserva, di fatto, automaticamente, ai giovani: così Daniel1, in La possibilità di un’isola, finisce per doversi disilludere rispetto alla possibilità di far parte della vita di Esther e del suo gruppo di amici: “da dieci minuti, avevo una volta terribile di dire loro che volevo anch’io entrare in quel mondo, divertirmi con loro, fare le ore piccole; ero pronto a implorare che mi portassero con loro. Poi, per caso, scorsi il mio volto riflesso in uno specchio e capii. Avevo quarant’anni suonati; il mio volto era preoccupato, rigido, segnato dall’esperienza della vita, dalle responsabilità, dai dispiaceri; non avevo affatto la faccia di qualcuno con cui sarebbe venuto in mente di divertirsi; ero condannato”.

Per le donne, il ritratto che ne fa Houellebecq è, se possibile, ancor più impietoso: “le donne sole prendono calmanti, fanno yoga, vanno in analisi; vivono a lungo e soffrono parecchio. Il corpo che offrono è inflaccidito, imbruttito; loro lo sanno e ne soffrono. Tuttavia continuano, perché non riescono a rinunciare a essere amate. Fino all’ultimo sono vittime di questa illusione. Le donne hanno la possibilità di prendere cazzi anche quando non sono più giovani; ma non hanno più la possibilità di essere amate. L’umanità è fatta così, tutto qua”.

3. La “liberazione sessuale” – che altro non è stata, per Houellebecq, che la riduzione del sesso a consumo, a “bene” disponibile sul libero mercato – non è altro che l’estensione del liberismo economico, dell’“ambito della lotta” alla sessualità. Il suo principio è la libera concorrenza, il suo funzionamento la disuguaglianza seduttiva – come l’ha chiamata Gilles Lipovetsky –, il suo risultato l’esclusione continua di determinati individui dal “mercato” del sesso: “alcuni fanno l’amore ogni giorno; altri lo fanno cinque o sei volta in tutta la vita, oppure mai. Alcuni fanno l’amore con decine di donne; altri con nessuna. È quella che si chiama “legge del mercato”“ (Houellebecq). Dobbiamo però distinguere. Se, in generale, la disuguaglianza seduttiva – la diversa distribuzione della capacità di creare attrazione, desiderio, nell’altro – è fondata anzitutto sull’opposizione giovinezza/vecchiaia, essa opera, però, secondo meccanismi diversi, in relazione alla condizione degli uomini e delle donne. Il desiderio dell’uomo maturo, infatti, viene frustrato dal fatto che, pur riuscendo talvolta a continuare a trovare “femmine giovani”, esso è costantemente umiliato dalla concorrenza dei più giovani, che scopano di più e donne più belle di quelle che lui riesce a trovare. Quello femminile, diversamente, è frustrato per il fatto che, per quanto possa riuscire a continuare a godere e farsi godere, la donna matura perde la possibilità di essere amata, di essere il nome singolare e unico del desiderio di un uomo.

4. Teorizzando l’ “estensione del dominio e della lotta” – ossia: l’inserimento del sesso nella logica del mercato e della libera concorrenza –, Houellebecq nulla poteva ancora sapere dello sviluppo che avrebbero avuto, da lì a poco, dating apps come Tinder, fondate esattamente sull’estensione dell’economia del libero mercato al sesso. Negli ultimi anni, gli studi su come esse abbiano trasformato il senso dell’esperienza amorosa, la concezione del sesso e del corpo, si sono moltiplicati, e non potremo richiamarci ad essi se non in corrispondenza con quanto Houellebecq suggerisce. Se applicazioni come Tinder promettono a ciascuno eguali possibilità di incontro, identiche chances nel competere, questa “libera concorrenza” è in realtà falsata sin dall’inizio.

In che ordine appaiono i profili con cui si può fare “match”? Perché a me appaiono certi profili, e non altri? Dopo le polemiche che, nel 2016, avevano coinvolto l’algoritmo di Tinder – il sistema ELO – , la società ha dichiarato di aver introdotto una “tecnologia all’avanguardia”, basata essenzialmente sugli “interessi” comuni e sulle foto “simili”, nonché sull’utilizzo regolare della app da parte degli utenti (più sei in linea più hai possibilità di fare match). Se il sistema ELO produceva – in base al punteggio ottenuto – un sistema che faceva incrociare soltanto persone che avevano un eguale “tasso” di desiderabilità (per dirla in termini semplici: belli con belli, brutti con brutti), ora, promette Tinder, tutto ciò sarebbe superato, e sostituito di fatto con un nuovo criterio base: fare incontrare simili con simili, diremmo, amanti della montagna con amanti della montagna, vegani con vegani, etc.

Questo tentativo di “romanticizzare”, in qualche modo, l’algoritmo, implica una evidente concezione narcisistica dell’amore: l’amore è amore di ciò che abbiamo in comune, di specchiarmi in un’immagine di me stesso, di ritrovare in te l’identico, ciò che sono (o vorrei essere) io. Il simile incontra sempre il simile. Esattamente come accadeva prima, con il sistema ELO – soltanto che, ora, ad essere valorizzati sono gli “interessi”, più che l’estetica. Il che non è poi, neppure vero. Perché, indipendentemente dal funzionamento dell’algoritmo, le apps, nel momento in cui impongono a ciascuno di caricare le proprie foto, riproducono – diffondendolo – i criteri in base ai quali gli utenti assegnano e determinano ciò che rende più “desiderabili” degli altri gli uomini e le donne. E questi “criteri” non sono, ovviamente, né “spontanei” né neutrali.

Quando Houellebecq sostiene che gli uomini non sono affatto, in questi ultimi sessant’anni, cambiati, dice esattamente questo: che i criteri in basi ai quali i maschi trovano attraenti e desiderabili le donne sono rimasti gli stessi. E sono quelli che gli studi recenti hanno confermato: gli uomini sono poco disposti ad uscire con una donna più intelligente o più ambiziosa di loro, mentre invece sono più che disponibili ad uscire con una donna sessualmente più attraente di loro.

I lavori di Eva Illouz sulla “fine dell’amore” trovano, qui, una serie di corrispondenze con ciò che abbiamo visto in Houellebecq, rispetto al tipo di donne che i maschi desiderano. Illouz ne ritrova le ragioni essenziali: (a) gli uomini danno importanza all’età, giovane, delle donne, mentre la giovinezza non è, nella nostra società, considerata un tratto distintivo o necessario dell’attrattività maschile, la quale, diversamente, tende a riflettere “la posizione del maschio nell’ambito sociale: essa è definita in grandissima parte dal suo status sociale e dalle sue risorse”; (b) una delle conseguenze di questo, è che l’attrattività maschile ha una durata maggiore rispetto a quella femminile: “il fatto che gli uomini con reddito e istruzione più elevati ricoprano una posizione migliore nella sfera sessuale conferisce loro tre netti vantaggi: il loro potere sessuale non tende all’obsolescenza come quello delle donne, anzi aumenta con il tempo”; (c) la maggior durata dell’attrattività maschile implica, inoltre, che gli uomini abbiano “accesso a una maggiore quantità di partner potenziali perché hanno accesso alle donne della loro stessa età e a quelle molto più giovani”; (d) infine, tutto ciò comporta che, mentre vi è “una sovrapposizione e persino una coincidenza molto stretta tra gli obiettivi sessuali e gli obiettivi socioeconomici maschili” (il potere sessuale di un uomo tende a coincidere con il suo potere sociale), diverso e contrario discorso avviene per le donne: “gli status sociali e sessuali delle donne tendono molto di più a confliggere l’uno con l’altro”.

È esattamente quanto abbiamo già ritrovato in Houellebecq: la coincidenza, negli uomini, del potere sessuale con il potere sociale, il mantenersi della concorrenza tra vecchi e giovani per portarsi a letto le donne più giovani e sessualmente attraenti. Ciò che Houellebecq osserva, è che se questo sistema condanna, anzitutto, le donne – le condanna, come egli scrive, al loro non poter più essere amate, passata una certa età senza aver trovato un partner –, condanna, anche, gli uomini che non hanno mezzi per “competere”.

Questo è il senso della sua formula: la sessualità è un sistema di gerarchia sociale. Se hai un lavoro mediocre, un aspetto giudicato mediocre, una posizione anonima all’interno della società, sarai condannato, sessualmente, a non poter avere le donne che tu ritieni più desiderabili – perché sono le più desiderate dagli altri. L’illusione, pertanto, che tutti possano avere accesso alle stesse donne – generata dalla logica del mercato applicata al sesso – produce pertanto una nuova frustrazione diffusa. Secondo uno studio, su applicazioni come Tinder le persone tendono a mettere il proprio “like” – e dunque a sperare in un match – con persone che mediamente sono il 25% più attraenti e desiderabili di loro sul “libero mercato” del sesso. La conseguenza è che difficilmente si troveranno ad essere scelti. Se, pertanto, le donne si trovano “intrappolate” nelle coordinate fantasmatiche del desiderio maschile (devono, cioè, apparire desiderabili sulla base dei criteri maschili), gli uomini riproducono, al livello del sesso, le diseguaglianze sociali che li separano, con tutto ciò che ne consegue – questa è l’estensione, al sesso, dell’ambito del dominio e della lotta.

5. Non c’è romanzo di Houellebecq in cui tanto non si ritrovi una diagnosi impietosa di tutto ciò che, prima con il 1968 e poi con il femminismo, era stato affermato come “liberazione sessuale”: ché, anziché un momento di reale emancipazione di un “sesso” che si pensava si sarebbe rivelato finalmente “libero” (qualsiasi cosa dovesse significare) una volta tolti i tabù e i limiti della morale comune e del sistema “patriarcale”, la “liberazione” non si è rivelata essere altro se non “un nuovo stadio nell’ascesa storica dell’individualismo” e della logica del consumo. Coppia e famiglia: “la liberazione sessuale ebbe come effetto la distruzione di queste comunità intermedie, le ultime a separare l’individuo dal mercato”.

Il sesso diviene, ora, qualcosa che riguarda essenzialmente l’individuo, singolarmente considerato: è a partire, cioè, dall’individuo, e non dalla coppia, che noi pensiamo, ormai, il sesso. Nella “società erotico-pubblicitaria” in cui viviamo i messaggi che riguardano il desiderio sessuale – che lo promuovono, che si offrono di soddisfarlo – si indirizzano sempre e soltanto all’individuo, al consumatore. Il fatto che si parli di “diritto al sesso” come diritto individuale, per indicare come chiunque dovrebbe aver garantito il diritto di poter avere una vita sessuale, esprime perfettamente questa logica. Il sesso diventa, così, nelle nostre società, nient’altro che una delle modalità di realizzazione del narcisismo, la vera patologia del nostro tempo: fare sesso è un “diritto”, perché è un modo di darsi piacere, di amare se stessi, di trovare il tempo per sé, per soddisfare le proprie esigenze, le proprie aspirazioni.

Per questo, come dicevamo, la liberazione sessuale tende all’estinzione del desiderio, sostituito dal bisogno. La riduzione del sesso a oggetto di consumo – e disponibile, in linea di principio, a qualunque consumatore, senza limitazioni se non quelle dettate dalla “libera concorrenza” del mercato – infatti, implica una sua nuova dislocazione. Io non cerco il sesso in quanto, cioè, desidero l’altro, ma in quanto soddisfacimento di un mio bisogno, di una mia esigenza (sia essa meramente “fisica”, sia, invece, indotta socialmente – il bisogno di sentirmi “realizzato”, appagato, di sentirmi ancora “giovane”, etc.). Il coito, la copula, si rivela essere nient’altro, allora, che un sostituto, o un equivalente, della masturbazione. Non che questo non sia sempre stato vero, che sia stata sempre la verità del desiderio maschile – Freud ricordava che Karl Kraus “ha potuto dire cinicamente il vero: “Il coito è solo un surrogato insufficiente dell’onanismo!”“.

Ma questa “verità” è esattamente ciò che la civiltà era riuscita a convertire nel desiderio di un sesso per l’altro. Oggi il “liberalismo sessuale”, eliminando il desiderio, rivela nuovamente il coito come mero bisogno, come ciò che attiene alla soddisfazione narcisistica e masturbatoria dell’individuo, isolatamente considerato. A lungo andare, ciò implicherà – è la tesi di Houellebecq – la definitiva sostituzione del rapporto sessuale con la masturbazione. Del desiderio per l’altro sesso con un’asessualità generalizzata, in cui il godimento sarà essenzialmente individuale e autonomo, non implicando alcun rapporto reale con l’altro (la dimensione del virtuale consentirà che tale passaggio avvenga mantenendo l’illusione che vi sia ancora, dopotutto, un “altro”, che si stia ancora scopando, anziché masturbandosi).

6. Come Žižek ha osservato, i romanzi Houellebecq non fanno che girare intorno all’aporia che la liberazione sessuale ha determinato in ordine alla relazione tra amore e sesso. Da una parte, infatti, il sesso viene costantemente presentato da Houellebecq come una necessità assoluta, e come la condizione senza la quale l’amore non può in ogni caso né nascere né mantenersi (“il sesso resta l’unico momento in cui coinvolgiamo personalmente, e direttamente, i nostri organi, pertanto il passaggio del sesso, e di un sesso intenso, è comunque un passaggio obbligato affinché possa operarsi la fusione amorosa, senza di esso non può succedere niente” – Houellebecq).

Dall’altra, però, l’amore si rivela, nelle nostre società occidentali, impossibile proprio a causa del sesso (“Fenomeno raro, artificiale e tardivo, l’amore può svilupparsi solo in condizioni mentali speciali, raramente compresenti, del tutto in contrasto con la libertà di costumi che caratterizza l’epoca moderna. Veronique aveva frequentato troppe discoteche e troppi amanti; un simile sistema di vita impoverisce l’essere umano e gli infligge danni a volte gravi e sempre irreparabili. L’amore come innocenza e come capacità d’ illusione, come attitudine a riassumere in un unico essere amato la totalità dell’altro sesso, resiste di rado a un anno di vagabondaggio sessuale, mai a due”).

Il sesso diviene così – nota ancora Žižek – una condizione di possibilità e di impossibilità dell’amore: esso è al contempo ciò che lo rende impossibile, rendendolo possibile, e viceversa.

Come spiegare il prodursi di questo meccanismo? “Amore” si dice in molti modi e, soprattutto, esso è il nome di qualcosa di essenzialmente ambiguo – come i testi freudiani non cessano di mostrare. Se, infatti, a Freud si attribuisce solitamente la tesi del carattere “narcisistico” dell’amore – la tesi per cui io non faccio che amare me stesso, amando l’altro – essa è smentita radicalmente da Freud stesso, nel momento in cui egli nota come l’amore sia essenzialmente dipendenza dall’altro: l’amore è, infatti, un investimento sull’oggetto, a danno dell’Io. L’amore, cioè, è ciò che impoverisce “l’io di libido a vantaggio dell’altro, che ne è investito, in modo tale che quest’Altro vale per l’io come luogo della verità” (Miller). È la linea che ritroviamo in Houellebecq: affinché vi sia amore, occorrono determinate condizioni – quelle condizioni (artificiali, certamente, perché determinate dalla cultura di una società) in cui diventa possibile la sopravvalutazione dell’oggetto a discapito dell’Io, diventa cioè possibile “illudersi”, come egli scrive, che sia nell’altro, e solo in lui, che io possa ritrovare l’amore per me stesso, la verità del mio desiderio, ciò che dà senso alla mia vita.

Da questo punto di vista, l’amore è il contrario del “narcisismo”, comunemente inteso: “ero probabilmente uno degli ultimi uomini della mia generazione ad amarmi abbastanza poco da essere in grado di amare qualcun altro […]. Non c’è amore nella libertà individuale, nell’indipendenza, è semplicemente una menzogna e una delle più grossolane che si possa concepire”. Se il sesso è la condizione dell’amore, per Houellebecq, è perché solo nel sesso – o meglio: in un certo tipo di sesso, a certe condizioni – io posso realmente investire di corrente “libidica” un oggetto, posso fare esperienza della mia mancanza e del tuo saper dare risposta ad essa. Allo stesso tempo, però, il sesso – il sesso “liberato” come consumo – diviene la sua condizione di impossibilità: esso, infatti, non si offre che come strumento narcisistico di soddisfazione di bisogni, e di godimento. Nel sesso che ci viene costantemente offerto, ingiunto, proposto, reso disponibile, non si tratta più, infatti, di rendere possibile l’articolarsi del desiderio – il quale, per potersi mantenere, deve essere sempre in perdita, è sempre “mancante” –, ma di fornire la possibilità di estinguere il desiderio attraverso il godimento. Questo è ciò che Houellebecq fa accadere a Veronique: un sistema di vita che, sin dall’adolescenza, offre sesso come soddisfacimento di “bisogni” o come oggetto di divertimento/godimento, non ha altro effetto che quello di estinguere progressivamente ogni possibilità di desiderarlo.

E tuttavia, in tal modo non si è ancora detto molto. Restano, infatti, le questioni essenziali: perché l’amore? Perché questa distinzione – che ha segnato le società occidentali – tra sesso e amore? E perché, oggi, la fine di essa, il convertirsi del sesso da condizione di possibilità a condizione di impossibilità dell’amore?

Houellebecq, ad un certo punto, fa un’ipotesi genealogica: “Probabilmente l’amore, come la pietà secondo Nietzsche, non era mai stato altro che una finzione sentimentale inventata dai deboli per colpevolizzare i forti, per introdurre dei limiti alla loro libertà e alla loro ferocia naturali. Le donne erano state deboli, in particolare al momento del parto, ai loro inizi avevano avuto bisogno di vivere sotto la tutela di un protettore potente, e a tale scopo avevano inventato l’amore, ma adesso erano diventate forti, erano indipendenti e libere, e avevano rinunciato a ispirare e a provare un sentimento che non aveva più alcuna giustificazione concreta”.

Lo si è detto: l’amore non ha nulla di naturale, di “istintivo” – è già la lezione freudiana: esso non si costituisce se non in presenza di una determinata serie di condizioni, che sono, come dice Houellebecq, “artificiali”, nella misura in cui dipendono dal modo in cui l’uomo diviene uomo, attraverso la sua “civilizzazione”. Ma perché l’amore? È chiaro che quella di Houellebecq è una “genealogia”: non, cioè, una spiegazione che si pretenda storica, non è una cronologia; piuttosto, costituisce un tentativo di isolare un certo movimento, una certa “corrente” che avrebbe attraversato la separazione storica tra amore e sesso.

Attraverso il sesso, concedendosi o essendo costrette a concedersi, le donne avrebbero “inventato” l’amore come meccanismo di protezione rispetto ad un desiderio maschile che non avrebbe avuto, altrimenti, altra espressione che il loro godere di esse, violentarle, sottometterle. Se c’è qualcosa di vero, in questo, forse dovrebbe essere cercato, ancora, non tanto però in questa parodia della logica nietzscheana, quanto nel punto in cui Freud fa dell’amore il vero inibitore dell’aggressività, ciò che presiede alla rinuncia alle pulsioni. Ricordiamolo brevemente: secondo Freud, il soggetto – il bambino – rinuncia alla sua soddisfazione pulsionale, alla pulsione di morte, all’aggressività verso l’esterno, per una unica e fondamentale ragione, che è data dall’angoscia di perdere l’amore dell’Altro. Angst von Liebesverlust: ciò che fa rinunciare a scaricare sugli altri l’aggressività e le pulsioni più aggressive non è, in fondo, né la paura di subire una qualche vendetta, né il bisogno di ottenere da essi ciò che si vuole. È, diversamente, la disperazione che coglie il soggetto quando capisce che ciò significherebbe perdere il loro amore.

L’amore è, pertanto, in Freud, ciò che determina la rinuncia del soggetto al godimento incontrollato: non dunque la “minaccia” della castrazione, ma l’amore è alla base della rinuncia alle pulsioni. Ma se così stanno le cose, allora avremo una nuova complicazione, un nuovo movimento aporetico: perché l’amore, ora, diventa la condizione di possibilità del rapporto sessuale (dal momento che è per esso che rinuncio al godimento per il desiderio, che al posto della “pulsione” faccio subentrare la logica della “mancanza” ) e, al contempo, la condizione di impossibilità di esso (poiché – come abbiamo già visto – è proprio questa rinuncia che rende sempre insoddisfacente, inappagante, il rapporto sessuale). Se torniamo alla questione: perché si dovrebbe amare?, la risposta sembra dunque essere: per poter rinunciare al godimento pulsionale, all’aggressività e al suo carattere mortifero. Houellebecq la “traduce” nella logica della lotta: per poter consentire ai deboli di trasformare il dominio dei forti in protezione da essi e per mezzo di essi. In entrambi i casi, c’è da chiedersi se questa funzione, che l’ amore assolve, sia realmente compatibile con gli imperativi della società occidentale – quello al godimento narcisistico, all’indipendenza assoluta, all’autonomia individuale.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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