RESPIRARE IL MONDO E RESPIRARE IN DIO

6340630cc206e3f6ae772ecf_60ec445d123cfe1d5648eb9e_respiro-consapevole-il-tuo-grande-alleato5LUCIANO SETTIMIO

Respiro e relazione. L’uomo è una unità profonda, nella dualità di aspetti dell’unico essere, di spirito e corpo. L’affermazione di tale unità indica l’allontanamento da qualsiasi interpretazione dualistica in cui la corporeità sarebbe ciò che si ha in comune con gli animali o sarebbe una sorta di meccanismo simile agli ingranaggi di un orologio. Ora se anche si hanno organi corporei (fegato, stomaco, polmoni, muscoli e così via) similmente agli animali e se vi sono “meccanismi” legati a funzioni corporali, vi è una differenziazione di fondo fra “mondo animale”, “mondo meccanico” e “mondo umano”: in quest’ultimo ogni parte della corporeità è “investita”, pervasa o “illuminata” dallo spirito umano. Così è anche del respiro che possiede tutto un dinamismo fisiologico descritto dalle scienze mediche ma se tale dinamismo è intriso di spirito, l’esperienza del respiro può essere letta come metafora della relazione dell’uomo col mondo non meramente dal punto di vista fisico. Nella prospettiva della metafora diventa possibile una sorta di “trasfigurazione” dell’argomento del respiro verso la tematica più elevata delle relazioni umane. In questo modo si instaura la forza dell’analogia fra dinamismi così diversi e differenti (il respiro fisicamente inteso e la relazione) per lasciare estrinsecare e sorgere motivi spirituali dalla corporeità. Detto in altri termini è lasciare suscitare l’ascolto della corporeità non a se stante (come fosse semplice materia) ma come intrisa di spirito: come corporeità umana.

Il respiro è vita che fluisce in un movimento di inspirazione, di trattenimento interiore dell’aria e di esalazione, di rilascio. Gli istanti del trauma della nascita sono contrassegnati dal pianto: momento liberatorio, di respiro, di vita che passa dalla “apnea” rassicurante del liquido amniotico, all’impatto con l’aria e con la molteplicità di rumori e impressioni tattili che rappresentano il mondo. Infatti, una delle prime azioni che il neonato compie è quella della inspirazione, del fare entrare aria nei polmoni. Un gesto, riletto metaforicamente, di interiorizzazione di quel differente che è l’aria visto che i polmoni del bambino, finché non nasce, non la possiede al loro interno. Nel rapporto fra madre e neonato, tra l’altro, l’odorato costituisce una prima forma di riconoscimento. Infatti le madri riconoscono l’odore del figlio fin dalla sesta ora postnatale. Nel bambino l’olfatto inizia a formarsi già nel corso della gravidanza: i nervi e i bulbi olfattivi si costituiscono già nelle prime 8-9 settimane di vita del feto e a 13 settimane si formano gli “organi vomero-nasali” che sono strutture che individuano l’odore in un “ambiente” acquatico. Nella nascita e nel dinamismo del respiro che vi è connesso, si può rileggere una ulteriore forma di interiorizzazione del differente – già in atto nell’odorare interno al grembo materno – senza il quale la vita non potrebbe continuare: l’inspirazione richiama a una interiorizzazione vitale di altro da sé.

La differenza accolta, dinamizza, fa circolare, è vita come l’aria così diversa da chi la riceve ma senza la quale vi sarebbe solo la morte. Il dinamismo fisico del respiro è trasfigurato o riletto nella relazione con la realtà, con la necessità della sua interiorizzazione per vivere. Il confronto, quel fluire e rifluire nella interiorità di ciò che è l’altro, di ciò che afferma o nega o contesta, viene interpretato in tutta la sua positività: confrontarsi, provocarsi (ri-chiamarsi) nella e alla conoscenza, è assaporare la vita come coraggio di fronte all’ignoto e come liberazione che si esprime nel gioco o scambio con il differente che è apportatore di novità. Nel confronto si “respira” l’interiorizzazione del differente e il suo “rilascio”: il confronto è respiro vitale che sussiste nell’andirivieni interiore di altro da se stessi. Interiorizzazione o vivere legato all’accoglienza di altro da sé che viene lasciato abitare (rifluire) dentro di sé e poi liberato nel sussurro, nel sospiro, nel rivolgersi con parole o nell’urlo di angoscia o di protesta. Interiorizzazione, lasciare continuamente rifluire gli altri, i pensieri, le provocazioni, le domande, le visioni religiose e altro ancora, significa vivere. Ogni senso di alienazione dal reale, di “disconnessione” o di chiusura rispetto all’altro da sé, è mancanza di respiro, relazione cianotica col mondo, disperazione e chiusura autodistruttiva.

Respiro è anche dinamismo di esalazione, di fuoriuscita esteriore dove l’aria sembra perdersi nell’ambiente circostante, appare lasciata andare, non trattenuta o a volte donata in un soffio che desidera rinfrescare il volto dell’altra persona. Respiro come espressione che si perde o si manifesta fermandosi tra labbra spalancate nell’urlo che scaraventa l’angoscia del proprio dolore, del proprio disagio, del sentirsi isolati, incompresi, abbandonati fra le onde delle vicissitudini interiori o di eventi terribili come le violenze della guerra, delle ingiustizie sociali o delle torture con cui si feriscono anima e corpo dei prigionieri. Flusso di sé stessi che si rilascia nello scontro o nell’incontro col mondo e soprattutto con e verso gli altri. Senso di liberazione nel rilascio, nel gettare fuori i caldi aliti interiori e con loro le manifestazioni dei propri sentimenti, di quanto abita dentro e desidera sprigionarsi verso le altre persone. Flusso in cui si sperimenta, per certi versi, la condizione della libertà umana in quanto si avverte come tonalità e velocità del respiro dipendano dalla propria coscienza visto che l’attività respiratoria è una funzione vegetativa umana che può essere relativamente governata. Nel respiro, in tal senso, ci si possiede, ci si controlla: imponendosi una lenta respirazione si può meglio riuscire a “dominare” inquietudini e sentimenti di avversione senza lasciarsi andare nello scatenamento della aggressione. Libertà nel respiro come saper introiettare l’esterno, la presenza che si dona e propone, in un regolarsi e regolare che è reagire al senso di gettatezza, al subire l’esistenza che si avverte in momenti particolari della propria vita.

Il respiro, però, si manifesta anche come inavvertito, come un processo che fluisce anche senza la volontà umana e nonostante essa. Nella riflessione sul respiro si apre la considerazione della espressione propria, del volontario rilasciamento e del radicamento in un flusso, in un dinamismo che procede anche senza l’influsso volontario, senza esserne “padroni”: sensazione di essere sorretti in uno scorrere che proviene da sé stessi ma in un dono perché non ci si dà, da sé stessi, il respiro. Fiume inavvertito nell’esplicarsi delle vicende quotidiane, dinamismo vitale che freme anche quando la coscienza viene “abbracciata” dal sonno, “dominata” da esso: non padrona pienamente di sé.

Questa non padronanza del respiro si manifesta nella espirazione, nella esalazione del respiro che inizia anche a suggerire – nel suo disperdersi, nel suo fuggire altrove – la resa, la riconsegna dello spirito nell’ultimo respiro che introduce al mistero della morte. L’adombramento è in quella sorta di fuga con ritorno che è il respiro: il dono ricevuto e rilasciato donato a sua volta in una sorta di dolce “morte” legata al donare che è lo spossessamento di sé. Il ritmo dell’amore è simile, analogo a inspirare il dono dell’aria e al rilasciarlo vivendo nello scorrere tra il ricevere della interiorizzazione e il ridare del trascendere, dell’andare oltre se stessi. Come il respiro che è dare e ricevere, così l’amore, l’unirsi all’altra persona si concreta nel dono e nel ridonare senza volontà di trattenimento egoistico che renderebbe senza respiro e dunque morta la relazione: dinamismo spossessante che lascia vivere.

A ciò è interessante aggiungere la peculiare esperienza del profumo: essa è respirare un odore che avvince, che avvolge in una sorta di dolce invasione in cui si manifesta un potere sottile di suscitare l’attenzione lasciando dimenticare, quasi, il resto della realtà. Esso persuade più delle parole e dei sentimenti penetrando nei polmoni e vincendo ogni opposizione. È, nuovamente, una esperienza del respirare in cui si manifesta l’incisione di altro nella vita personale che sconvolge pacificamente nella brezza sottile di un odore affascinante che suscita le più diverse sensazioni e immagini avvolgendone lo stesso pensiero.

Respiro d’Infinito. Si può tentare di esplicare questo processo speculativo “trasfigurante” nei riguardi della esperienza del respiro, lasciando emergere la “tonalità” d’Infinito presente in essa affinché possa “nutrire” il cammino della riflessione tesa verso Dio.

Il respiro può essere controllato, si può imparare a regolarlo, può essere aiutato artificialmente ma non può essere originato: se ne dispone come di un atto consegnato con la stessa vita, donato come flusso che scorre nonostante tutto finché non si approssima la morte o non la si lascia approssimare. Si è “padroni” del respiro ma non della sua origine; si dispone del respiro ma non della sua fine: anche nel caso di volontario termine anticipato della propria vita, la morte viene incontro come un indisponibile, come futuro che abbraccia e trasporta.

Il respiro è flusso donato e di cui si diventa responsabili nel sottofondo di un non dominio che già si affaccia quando la coscienza scivola nel sonno e al risveglio essa si rende conto della continuità del respiro al di là della sua vigilanza intelligente. La coscienza scivola nel “respiro” del sonno e ne viene sorretta, ne viene “nutrita”, ne viene corroborata. In tal senso l’io si rende conto, in una parte delle ventiquattro ore che compongono la giornata di ogni uomo, di non essere così indipendente e autonomo come vorrebbe: prima o poi il sonno l’abbraccia mentre il flusso del respiro continua a “scivolare” fra le narici, lungo le pareti della gola fino a giungere ai polmoni. Il respiro è interiore a noi ed è anche ciò che va oltre e non dipende strettamente dalla nostra rispettiva coscienza: esperienza di avvolgimento e di sentirsi sostenuti, rinvigoriti.

L’avvolgimento del respiro e nel respiro, col gioco di interiorità-esteriorità che entra in campo, inizia a richiamare un senso di trascendenza che “gioca” con l’interiorità in cui fluisce portando fuori e riportando dentro in una relazione che “sconfina”, va oltre e rifluisce nell’immanenza della coscienza. Trascendenza che non si “disegna” semplicemente col rapporto con un “Tutt’Altro” o con il “Totalmente Differente”, ma come flusso che si dona all’interiorità e rifluisce al di là di essa. Senso di trascendenza e di infinitezza, di “non-finito” che si rapporta col finito: finitezza o senso del confine, della identità propria e nel riconoscimento della limitazione (o delimitazione o confine), si apre il senso della Ulteriorità la quale, come il respiro, avvolge e differenzia, respira nella interiorità umana e la conduce al di là di essa.

Nel respiro ci si può sentire richiamati a questa modalità di rapportarsi con Dio che non lascia rinchiudere né nella indifferenza panteistica (annegarsi nell’Oceano divino infinito), né nel solipsismo. Il rapporto col divino si disegna, piuttosto, in termini di relazione coinvolgente il fondo stesso della coscienza umana; e che implica, nel contempo, un senso di apertura e di trascendenza verso l’altro con cui si è chiamati a intessere la vita: il respiro indica, infatti, soprattutto il ricevere vivificante e corroborante dell’altro che investe sé stessi beneficamente come l’aria.

Se la realtà, nella impostazione della trasfigurazione operata dallo spirito umano, è traccia di Dio, rimando all’Infinito che tutto pervade relazionandosi (fra distanza e intimità o vicinanza), anche l’esperienza del respiro può suggerire la modalità creativa di Dio e il processo di ascesa che l’uomo può esigere da sé medesimo.       Il respiro suggerisce comunicazione, relazione fra differenti: rapporto vitale che sostiene e rinvigorisce anche se “scorre”, il più delle volte, in maniera inavvertita da parte dell’uomo. Dio si delinea, su questa scia, come Chi si relaziona con la creatura differente sostenendola, sorreggendola nel suo respiro infinito. La stessa interiorità (interno che riceve l’aria e la riemette) si presenta come sostenuta continuamente dal “flusso” divino: relazionalità dall’interno, intimo ed ontologico rapporto donante essere in una modalità specifica che costituisce il rispetto e la differenza. Relazionalità intrisa di divino che conduce all’oltre della apertura e della avventura umana conoscitiva e dell’amore verso l’altro: interiorità come costitutivo dialogo di respiri umano e divino.

Il dinamismo del respiro suggerisce, in tal senso, il movimento di crescita rispetto a Dio. Dinamismo che si estrinseca come ri-flessione, come tornare dentro sé per ascoltarsi, “respirarsi”: la meditazione è questa inspirazione tramite la quale Dio “entra” in relazione con la libertà accogliente umana. Riposarsi nel respiro divino rinvigorisce non nell’abbandonarsi in uno stato incosciente come il sonno; ma è, piuttosto, il disegnarsi di un cammino, di un progetto, di un essere spinti da quello che si prospetta simbolicamente dal movimento incessante del respiro. Il rapporto con Dio non si manifesta mai come statico ma come un esser tesi verso l’estrinsecazione del respiro d’Infinito e come un rientrare nella solitudine intensa e vivificante di sé stessi (soprattutto se percepita nella relazione con Dio) per riprendere il cammino verso l’altro alla luce del percorso interiore deciso dopo l’intenso confronto avvenuto internamente a sé. La solitudine può, così, essere interpretata come il respiro dell’uomo singolo che lascia abitare dentro sé l’immenso di cui è pervasa una notte stellata fra il caldo fascino che ispira e il freddo senso di piccolezza che come ombra accompagna la sensazione d’infinito. L’essere soli viene vissuto come il respiro di sé stessi seppure in relazione agli altri: un mondo abitato nei cui recessi segreti l’io canta la propria fragilità e le lamentazioni per il dolore e il male che affliggono ogni esistente, avvertendo in pienezza la vita. Meditazione, riflessione e poi tensione verso l’altro e poi il ritorno dentro sé in un circolo incessante di ritorni e andate: circolo che non è l’espressione della chiusura disperante e narcisistica ma l’andirivieni vitale dentro e fuori di sé che lascia innalzare nel respiro dell’Infinito. Esso è innalzamento, elevazione, esaltazione silenziosa come l’incenso profumato usato nelle celebrazioni liturgiche. Il respiro del profumo suggerisce – nella trasfigurazione della esperienza corporea di inspirare gli odori delle essenze dei fiori, degli effluvi balsamici naturali o di altro – la soavità del respirare in Dio: esperienza di bellezza, di intensità, di seduzione divina in un lasciarsi abbandonare avvinti da profumi divini. Il piacere, l’intensa gioia, l’amore che incatena come un profumo, fanno parte della relazione con Dio che si presenta come Bellezza desiderabile e Intensità respirata.

ENDOXA - BIMESTRALE TEOLOGIA

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