DESIDERARE DI MORIRE È COMUNQUE DESIDERARE?

peraloiMARIO ALOI

1. “Capii che non avrei più avuto il coraggio di richiamare Myriam, la sensazione di prossimità che si creava al telefono era troppo violenta, e il conseguente vuoto troppo crudele” (Michel Houellebecq, Sottomissione).

In un’epoca in cui il confine tra angoscia privata e rabbia sociale non fa che assottigliarsi, Michel Houellebecq è lo scrittore del secolo. Va bene, sono affermazioni forti. Però è vero che nessuno come l’autore francese è in grado d’intrecciare i due livelli della miseria umana – quella dell’uomo con se stesso e quella dell’uomo nella società – come fossero uno. Philip Roth, uno scrittore che a Houellebecq è in un certo senso vicino, diceva che letteratura e politica stanno agli opposti, sono inconciliabili: una si occupa sempre e solo del particolare, dell’esperienza interiore, individuale, mentre l’altra non fa – non può! – che generalizzare. Houellebecq in qualche modo riesce ogni volta a tenere le due cose insieme. Lo avvertiamo anche dall’uso che fa della lingua, dalla prosa: i suoi romanzi sono spesso scritti come fossero manuali o trattati, eppure allo stesso tempo non smettono mai di essere romanzi. C’è un aneddoto rivelatorio a questo proposito: in La carta e il territorio, è venuto fuori, ci sono interi brani copiati da Wikipedia e dal sito del Ministero dell’Interno, ma anche sapendolo è molto difficile identificarli a occhio nudo, perché non suonano in alcun modo estranei o esterni allo stile generale, che comunque rimane anche letterario. A modo suo.

Questa doppia dimensione caratterizza l’opera del romanziere di Saint-Pierre sin dal principio. Scrive Houellebecq all’esordio, in Estensione del dominio della lotta: «In situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli, altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante, altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi sociali. Ugualmente, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta a tutte le età della vita e a tutte le classi sociali. Sul piano economico, Raphaël Tisserand appartiene al clan dei vincitori. Sul piano sessuale, a quello dei vinti. Certi guadagnano su entrambi i tavoli, altri su entrambi perdono. Le imprese si contendono certi giovani diplomati, le donne si contendono certi giovani e gli uomini si contendono certe giovani. Il problema e l’agitazione sono considerevoli». Insomma, a Michel Houellebecq interessano sia il rapporto sessuale che il rapporto economico. Non li trova così dissimili. È tutto una competizione che in qualche modo dobbiamo regolare.

2. In contesti perennemente competitivi come quelli della caccia e del commercio però l’orizzonte scompare, perché la competizione è sempre un gioco a somma zero. I romanzi di Houellebecq sono in questo senso tutti disperati, ma di una disperazione che non è mai davvero rassegnata, al contrario. È la disperazione propositiva del mercato, triste ma modulata – mai piatta, in moto perpetuo. I suoi protagonisti fanno viaggi organizzati in luoghi esotici, scrivono tesi di dottorato, vanno a puttane. Sono vinti, ma non la smettono mai di scalciare. Nel brano citato sopra l’autore parla non a caso di agitazione, e di nuovo sovrappone due cose che non dovrebbero andare insieme: sconforto e frenesia. Ma in questi anni di scissioni a catena i cortocircuiti sono un po’ il punto. Il fatto è che una società priva di orizzonte non è necessariamente una società senza desideri. Anzi. L’assenza del primo spesso gonfia i secondi. E infatti il tardocapitalismo è un sistema depressivo ma non completamente anedonico, il suo umore di fondo è quell’ibrido fatto di iperstimolazione e collasso dopaminico che Mark Fisher chiamava, appunto, hedonic depression. C’è molto poco di lineare. L’uomo houellebecquiano soffre a tratti un effettivo calo del desiderio, che si manifesta se non altro nella mesta presa di coscienza che ogni appagamento sembra essergli precluso. Eppure nella pratica non abbandona mai la ricerca e quindi di fatto – e suo malgrado – continua a desiderare. L’unica vera resa è la morte. Dice a un certo punto François in Sottomissione: «Non avevo neanche voglia di scopare, o meglio avevo un po’ voglia di scopare, ma anche un po’ voglia di morire». È il desiderio di morte comunque desiderio? Al momento, parrebbe proprio di sì.

In questo quadro di forme a zigzig, l’autore francese sembra cogliere uno dei nodi centrali del nostro tempo: nell’odierna società occidentale piacere e desiderio non sono più l’opposto o l’antidoto alla rinuncia esistenziale, ne sono il nucleo. Intendiamoci, è sempre stato così sotto sotto. Ma in un sistema socioeconomico apertamente edonista la socializzazione e contemporanea radicalizzazione della ricerca del piacere hanno fatto il giro, avvitandosi in una forma di angoscia del tutto nuova. Detto con parole sue, di Houellebecq: «Aumentare i desideri fino all’insopportabile, rendendo la loro realizzazione sempre più inaccessibile, è il principio unico su cui poggia la società occidentale.»

3. Da Estensione del dominio della lotta a Serotonina la parabola narrativa è più o meno sempre la stessa. Il protagonista (che poi è ogni volta l’autore) vive un’esistenza vuota, o almeno la percepisce come tale, e non ha nessuna speranza che le cose possano migliorare. Poi qualcosa lo risveglia, si fa coinvolgere e almeno per un attimo distoglie lo sguardo dall’abisso – se non a parole, si comporta come se. Un passo dopo però l’impulso vitale, qualunque forma abbia preso, immancabilmente implode e la storia si esaurisce in uno stato di rinuncia esistenziale che è simile a quello da cui eravamo partiti, ma ancora più radicale, più disperato. Stilizzando, potremmo riassumere così: disperazione/speranza/fallimento/disperazione ancora peggiore.

Succede a Bruno in Le Particelle Elementari, che sembra aver finalmente trovato l’amore in/con Christiane, ma poi lei si ammala, perde l’uso delle gambe e si suicida. Simile la storia di Michel in Piattaforma. Incontra Valérie, costruisce una qualche sorta di complicità e stabilità emotiva. Ma poi lei viene uccisa in un attentato terroristico. Ne La possibilità di un’isola il catalogo si amplia, i tentativi relazionali sono due: l’amore stabile che però non regge al logorio del tempo con Isabelle e quello asimmetrico, impossibile da principio, con la giovane Esther. Sostanza e intensità diverse, naufragano comunque entrambi.

Da qui in poi Houellebecq sperimenta nuove soluzioni, stanco di cercare l’amore in forma letterale, si ritira nel campo delle sublimazioni. Nei romanzi successivi il fallimento relazionale è dato all’inizio – non è più la storia di per sé, ne diventa premessa – e allora si cerca soddisfazione altrove: nell’arte (La carta e il territorio), nella politica e nella carriera (Sottomissione) e infine il passaggio ultimo e più estremo, la sublimazione alla lettera, la repressione definitiva di qualunque pretesa vitale: un’esistenza invisibile, lo stato gassoso (Serotonina). Anche qui però se ne cava poco, nel migliore dei casi il protagonista si annulla in un sistema di riconoscimenti superficiali, si conforma, nel peggiore si annulla e basta. Alla fine una cosa rimane invariata dal primo Houellebecq al secondo: quasi ogni personaggio, nella parte alta come in quella bassa della bibliografia, finisce col suicidarsi, o comunque si arrende a considerare l’idea.

4. Il passaggio dalla relazione alla sublimazione ci permette di mettere a fuoco un punto, che pare il vero cardine di tutta la produzione letteraria houellebecquiana. Per Houellebecq la modernità ha lasciato all’essere umano un unico strumento di conservazione, controllo del reale, riduzione della sofferenza: la tecnica. Non importa quanto i nostri tentativi in questo senso si rivelino ogni volta più goffi, meno efficaci, sia dal punto di vista estetico che da quello pratico, o addirittura morale: non siamo più in grado di farci venire idee migliori. Da Annientare: «La vita umana è fatta di una successione di difficoltà amministrative e tecniche, intervallate da problemi medici; man mano che si invecchia, gli aspetti medici prendono il sopravvento». Sintetizzando, potremmo dire che ogni suo romanzo parla in fondo di come l’uomo contemporaneo non riesca a evitare di ridurre ogni dinamica a meccanismo, nel tentativo, vacuo, di addomesticare le interazioni, l’umano desiderio di contatto, il fatto che in un modo o nell’altro non possiamo fare a meno di metterci insieme – in varie forme, pubbliche e private, cercando di sfuggire alla sofferenza, alla solitudine e alla morte. E di come tutto questo raffreddare e annacquare i processi non abbia fatto che renderci più infelici.

L’ossessione tecnica è un po’ ovunque. Per cominciare, tutti o quasi i protagonisti di Houellebecq sono appunto tecnici o scienziati, come d’altra parte era lui stesso prima di sfondare come romanziere (nasce perito agrario). C’è un programmatore informatico, un biologo molecolare, due funzionari ministeriali e un ingegnere agricolo. François in Sottomissione è un accademico che insegna letteratura, e sembra fare eccezione, ma non è vero: stringi stringi, che cos’è un accademico se non uno scienziato delle lettere? E infine, persino Jed Martin di La carta e il territorio, che in teoria fa l’artista, ottiene il riconoscimento sociale, la fama, rielaborando mappe e cartine – cioè di fatto riducendo l’arte alla sua riproducibilità tecnica. Non solo, Houellebecq sembra anche avere una specie di mania feticista per le grandi – ma anche non così grandi, a dire il vero – scuole tecniche francesi, o per istituzioni iperspecialistiche di controllo con enormi capacità tecnologiche, tipo i servizi segreti. Acronimi che rimandano a questo tipo di agenzie e istituti affollano i suoi romanzi con cadenza assillante, una vera fissa: ENS, INA, ENA, DST, DCRI, DGSI, e potremmo continuare all’infinito.

Sigle a parte, l’autore francese mette costantemente in mostra una generale (e ambivalente) fascinazione per i tentativi di organizzazione della vita e delle risorse sociali, per questo finisce poi sempre a tirare in mezzo il mercato, unico vero luogo di aggregazione in quest’epoca di relazioni che sono ormai solo transazioni. In fondo il mercato altro non è che la sede dell’ultimo – ad oggi – tentativo di regolazione e organizzazione tecnica dei bisogni e delle risorse umane. Lo dice d’altra parte proprio Houellebecq in uno dei suoi Interventi che il commercio vorrebbe permettere, almeno nelle intenzioni dei suoi promotori, «una conciliazione ragionata degli egoismi» – scelta di termini interessante, che mescola anche qui, alla sua maniera, la dimensione socioeconomica e quella individuale, interiore quasi: il mercato come spazio, ovviamente fallito, di ricomposizione di tutte le fratture narcisistiche degli attori coinvolti, del mondo intero.

I suoi due romanzi più potenti, Piattaforma e La possibilità di un’isola, sono interamente costruiti su queste idee. Il primo immagina un nuovo stadio di mercificazione del sesso, dell’intimità primaria, fisica: la pretesa di organizzare in maniera efficiente le risorse del piacere e del desiderio – sempre anche con un pizzico di violenza, perché tutto il desiderio è fatto pure di violenza e come diceva Hegel la violenza è il motore della storia (Annientare, p. 571). Il secondo affronta invece il tema dell’immortalità, o meglio del superamento di esperienze come morte, malattia e generale logorio del corpo proprio attraverso la scienza e la tecnica. Messi vicino questi due romanzi e questi due temi – la ricerca del piacere e la riduzione della sofferenza, che non sono esattamente la stessa cosa – evocano un secondo nodo che chiudendosi sul primo sta soffocando il mondo occidentale: la nostra non è solamente una società apertamente edonista, ma anche ossessivamente profilattica. Non vogliamo solo tutto il piacere possibile, lo pretendiamo anche in massima sicurezza. Eccitarci in controllo, amare senza morire.

A un livello puramente teorico, scienza e tecnica rispondono a questa doppia esigenza, ci danno l’illusione di un lavoro pulito. Ma la combinazione è appunto illusoria, perché al freddo i corpi si conservano meglio, ma smettono di sentire – giusto un vago bruciore, che segnala la stortura, il pericolo. È il quadro finale in La possibilità di un’isola: la rimozione dell’elemento che prima di ogni altro definisce l’umano, la morte e la sua consapevolezza, porta a una simmetrica scomparsa della risposta umana allo stare nel mondo, l’emozione. Fondamentalmente, si tratta di una variazione sul solito tema: organizzare il desiderio significa di fatto inibirlo. L’essere umano vive per sempre ma si ritrova inorganico, non fosse che l’uomo non può davvero essere inorganico e quindi l’azzeramento di ogni tensione crea in fin dei conti più angoscia di quanta ne risolve, e torna la tensione.

(Tanto che l’umanità inorganica alla fine de La possibilità di un’isola non è esattamente un nuovo stadio della specie, è transitoria. Riempie il vuoto in attesa dell’arrivo dei futuri: l’uomo nuovo, quello vero.)

5. Annientare, l’ultimo libro di Michel Houellebecq, è tutto costruito su un certo senso di sospensione, la storia si sviluppa interamente in un tempo di mezzo. La Francia si trova tra due governi, ed eleggerà un presidente di passaggio – l’epilogo sembra addirittura suggerire una svolta post-democratica imminente. Il matrimonio di Paul, il protagonista, è congelato da dieci anni. Lui e la moglie vivono in ali separate della casa, non si incontrano, non si parlano. Non sono divorziati, tecnicamente non si sono manco lasciati, ma non hanno alcuna relazione. E infine, anche suo padre è in stato vegetativo. Non è morto, ma non è nemmeno davvero vivo. In due su tre di queste ramificazioni della storia – il subplot politico funziona in maniera leggermente diversa, e rimane aperto – non si tratta neppure di vere e proprie transizioni, più nuovi stati delle cose. Stati ibridi. Come in La possibilità di un’isola: nuove soglie di umanità, forse.

Poi però succede una cosa strana. Paul e Prudence si riavvicinano e fanno ripartire la loro storia, ricominciano, ma non nel senso che cancellano l’interruzione, non fanno finta che non esista, ripartono proprio da lì. Si innamorano di nuovo, o forse non hanno mai smesso, sono solo passati attraverso stadi alternati di mancanza e desiderio che possiamo comunque chiamare amore. Che Houellebecq stia invecchiando? È diventato più buono e riesce a immaginare la speranza senza doverla abbattere? Non proprio. Alla fine Paul si ammala, e muore. Però ecco, sembra già tutto un altro mondo, perché per una volta non muore solo.

 

 

 

ENDOXA - BIMESTRALE LETTERATURA

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