BAMBINI CON TRE GENITORI? LE TECNICHE DI SOSTITUZIONE MITOCONDRIALE E I SENSAZIONALISMI FILOSOFICI

9358026938_f6756d4c6a_bMATTEO GALLETTI

È ormai noto che le nuove tecnologie riproduttive hanno contribuito a ridefinire i modi con cui si può diventare genitori. Se, tradizionalmente, la riproduzione naturale era l’unico modo possibile per diventare genitori, adesso è possibile farlo anche ricorrendo alla vita tecnologica; inoltre, alcune pratiche riproduttive hanno anche moltiplicato il numero delle figure che possono contribuire alla nascita di un figlio. Ad esempio, la fecondazione con seme di donatore include nel processo generativo una terza persona, ossia colui o colei che sceglie di mettere a disposizione i propri gameti (sperma o ovuli) per consentire a una coppia di realizzare il proprio desiderio procreativo. Ma si possono immaginare scenari ancora più complessi. Una coppia non riesce ad avere un figlio per via naturale perché la donna corre il rischio di trasmettere una malattia genetica alla prole e gli spermatozoi dell’uomo è affetto da azoospermia, poiché non possiede spermatozoi nel liquido seminale; inoltre, la madre ha una malformazione all’utero che non le consentirebbe comunque di avere una gravidanza. Immaginiamo che questa coppia sfortunata ricorra al seme di un donatore e all’ovulo di una donatrice per dare vita a un embrione che poi sarà impiantato nell’utero di una madre portatrice. In questo modo sono presenti sulla scena ben cinque figure che hanno dato il loro apporto affinché nascesse un figlio: alcune, come la donna e l’uomo, danno un contributo “intenzionale” poiché è grazie alla loro decisione che la cooperazione riproduttiva ha inizio; altre, come la donatrice e il donatore, danno un contributo “biologico”, perché mettono a disposizione il materiale che consente la formazione dell’embrione; e la donna portatrice che dà un contributo “gestazionale”, perché porta in grembo il feto che sarà poi il figlio o la figlia. Al di là dell’immaginazione richiesta per figurarsi questo caso, sono rilevanti la complessità che le tecnologie riproduttive possono generare e l’esigenza di chiarezza sui diversi ruoli che le persone possono assumere sulla scena riproduttiva. Ciò che è opportuno rigettare, quindi, sono i tentativi di semplificare e di racchiudere in formule a effetto, efficaci sul piano retorico, ma poco funzionali a una reale comprensione dei fenomeni implicati.

Uno di questi tentativi è senza dubbio la dicitura “figli con tre genitori” riservata ai nati da tecniche di sostituzione mitocondriale (TSM). In ogni cellula del corpo umano è possibile distinguere il nucleo, che contiene DNA nucleare, e i mitocondri che contengono invece quello mitocondriale. Le malattie mitocondriali si trasmettono per via materna perché derivano da un’alterazione del DNA mitocondriale contenuto negli ovuli. Se una donna con alterazioni mitocondriali e un uomo intendono avere un figlio, possono procedere usando un ovulo di una donatrice. L’ovulo verrà privato del suo nucleo che sarà sostituito da quello sano della donna che vuole procreare. L’ovulo risultante sarà composto dal DNA nucleare della “madre” e da quello mitocondriale della donatrice e non presenterà così alterazioni. Occorre precisare che le caratteristiche fisiche che distinguono ciascuno di noi sono frutto del DNA nucleare; a livello biologico, però, le cellule del figlio o della figlia che nascerà grazie all’uso di quell’ovulo conterranno il DNA nucleare dalla donna e dal suo partner e il DNA mitocondriale dalla donatrice.

È per questo motivo che si è parlato di figli con “tre genitori”, perché sono tre le figure che contribuiscono con il loro materiali biologico a far nascere una bambina o un bambino: un’espressione che ha avuto molta fortuna giornalistica e che, sebbene riesca a rappresentare la complessità identitaria e relazionale del quadro, intende inevitabilmente suscitare preoccupazione e sgomento per la moltiplicazione delle figure genitoriali. Ovviamente, questo effetto è possibile solo se sullo sfondo si presuppone la validità del modello familiare che prevede la presenza di due soli genitori (magari di diverso genere, eterosessuali e legalmente uniti).

Ma oltre alla sua comparsa in titoli di giornali e siti web, l’espressione ha avuto anche un suo successo su riviste scientifiche. Ad esempio, Françoise Baylis ha denunciato le implicazioni della nascita da tre genitori in un saggio pubblicato qualche anno fa. Secondo Baylis, sebbene le nostre caratteristiche fisiche dipendano dal DNA nucleare, esse non esauriscono la nostra identità personale, che è invece più complessa. Infatti, essa comprende consiste soprattutto nelle relazioni che ciascuno di noi intrattiene con il mondo e con le altre persone e, quindi, dalle esperienze che facciamo. Salute e malattia non sono semplicemente condizioni fisiologiche dell’organismo, ma stati che modellano la nostra identità, esperienze che ci rendono chi siamo. Perciò, il contributo della donatrice non irrilevante per l’identità di chi nasce: sebbene il DNA mitocondriale non incida sui tratti fisici individuali, nel caso delle TMS, la prevenzione della malattia incide sulla narrazione biografica della persona che nascerà. Pertanto, la donatrice non si limita a cedere materiale biologico, ma contribuisce a plasmare l’identità futura della prole e quindi può essere considerata alla stregua di un genitore.

Sebbene la concezione dell’identità proposta da Baylis sia condivisibile, la sua conclusione non è convincente. In primo luogo, non è chiaro in che modo salute e malattia plasmano l’identità biografica. Presumibilmente, non in quanto semplici stati “biologici” della persona, ma in quanto condizioni mediate dall’ambiente sociale e relazionale, dato che Baylis precisa che un bambino nato con una patologia mitocondriale avrà una narrazione di vita molto diversa da un bambino che nasce senza tale malattia. Anche su questo non c’è niente da eccepire, ma appare del tutto irrilevante sul piano morale e, soprattutto, del tutto irrilevante per attribuire ruoli di genitorialità. Senza dubbio le figure che chiamiamo “genitori” contribuiscono a formare le identità dei figli, ma si tratta di un processo continuo, caratterizzato da decisioni distribuite nel tempo e costellato di successi e insuccessi e quindi di qualcosa di molto diverso dalla scelta di donare un ovulo. E poi anche lo staff sanitario che farà nascere la bambina o il bambino contribuirà a eliminare potenziali fonti di malattia. Dovremmo ritenere anche loro in egual misura responsabili della sua narrazione di vita e quindi genitori?

È altrettanto ineccepibile che il materiale biologico che rende possibile causalmente la nascita del bambino proverrà da tre individui anziché due, ma anche qui le implicazioni tratte da Baylis non sono chiare, perché è fuorviante l’uso del termine “genitorialità”. Tanto il termine “genitore” quanto il termine inglese “parent” hanno come significato originario quello di “generatore”, derivando il primo dal termine latino gignere, generare, e il secondo da parere, anch’esso traducibile con generare. Da questo punto di vista l’uso di “genitore sociale” è piuttosto fuorviante, perché non vi è alcuna “generazione” sul piano sociale ma un’assunzione di responsabilità basata sul consenso alla riproduzione e alla disponibilità a prendersi cura del bambino. Ora, sostenere che un bambino nato da sostituzione mitocondriale è un bambino con tre genitori rischia di occultare la distinzione tra mero contributo causale e contributo intenzionale e di equiparare indebitamente l’apporto che le tre figure danno alla creazione e alla cura del figlio. Da un punto di vista retrospettivo, questo particolare bambino non sarebbe esistito se una delle tre parti non avesse contribuito, ma sul piano sociale sono solo due le figure che presteranno attenzione alla sua crescita. L’apporto della terza figura è meramente causale e, se vogliamo promuovere un modello narrativo-relazionale di identità, l’esclusione di essa dall’insieme di criteri sufficienti per essere riconosciuti come “genitori” è del tutto legittima.

Inoltre, nonostante Baylis difenda una concezione “biografica” dell’identità, è comunque implicita nella sua posizione una concezione “naturalistica” della genitorialità. In questo contesto intendiamo il termine “naturale” non in quanto opposto al termine “artificiale”, ma in quanto opposto a “istituzionale”. Una concezione naturalistica ritiene che lo status di “genitore”, con il catalogo di diritti e di doveri che sono associati a questo status, sia attribuito solo in base alle caratteristiche e alle capacità naturali dei soggetti. Quindi, si è genitori se si ha la capacità o il potere di plasmare l’identità del nascituro oppure la capacità o il potere di causare l’esistenza di una nuova persona. Una concezione istituzionale della genitorialità ritiene una o più di queste capacità sia necessaria ma non sufficiente perché sia attribuito lo status: occorre anche che vi sia un riconoscimento collettivo che assegni il ruolo preso in considerazione. Come scrive John Searle (La costruzione della realtà sociale, Raffaello Cortina 2010), “La caratteristica distintiva della realtà sociale umana, il modo in cui essa differisce dalle altre forme di realtà animale a me note, è che gli esseri umani hanno la capacità di imporre funzioni a oggetti e persone là dove oggetti e persone non possono svolgere quelle funzioni soltanto in virtù della propria struttura fisica. Lo svolgimento di una funzione richiede che lo status della persona o dell’oggetto sia riconosciuto collettivamente ed è solo in virtù di tale status che la persona o l’oggetto può svolgere la funzione in questione”.

Ovviamente, la funzione riproduttiva è connessa alla natura biologica umana e pertanto è sufficiente avere un apparato riproduttore in ordine per poterla esercitare (più altre condizioni esterne che siano soddisfatte, come la disponibilità di una/un partner). Ma l’“essere genitori” è uno status più complesso, perché deriva sia da capacità fisiche, sia da riconoscimenti sociali. Una donatrice di ovulo concorre causalmente alla generazione di un bambino non affetto da patologie mitocondriali, ma perché essa possa essere “genitore” deve essere riconosciuta come tale dal complesso di istituzioni che regolano, nelle nostre società, le attività riproduttive. E, generalmente, tale status viene attribuito non in base al semplice coinvolgimento causale, ma in base al consenso, all’intenzione o alla disponibilità a prendersi cura della persona messa al mondo. La qualifica di “donatrice”, che generalmente viene utilizzata in questi casi, implica un riconoscimento del suo ruolo non in quanto genitore, ma in quanto persona che, in certe condizioni, fornisce assistenza alla riproduzione.

Per questi motivi appare non solo sensazionalistico e retorico, ma anche filosoficamente scorretto parlare di “bambini con tre genitori” nel caso di bambini nati da tecniche di sostituzione mitocondriale. In questo caso, allora, la tecnologia non stravolge il quadro della genitorialità ma si limita a offrire un ausilio per non trasmettere terribili patologie ai propri figli e, quindi, prendersi cura del loro benessere.

Parenthood” by Neil. Moralee is marked with CC BY-NC-ND 2.0.

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