NELL’ABISSO DELL’ANIMA: LUTERO E TAULERO

VALENTINA DORDOLO

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Nel cammino di studi e di fede di Lutero a rivelarsi determinanti furono senza ombra di dubbio S. Agostino, Bernardo di Chiaravalle e Taulero. Lutero ebbe modo di leggere in modo molto approfondito Sant’Agostino precedentemente alla conoscenza dei suoi scritti antipelagiani, ossia già prima del 1515, dato che lo studio di opere quali il De Trinitate e il De Civitate Dei può essere fatto risalire con un certo margine di certezza verso il 1509. Allo stesso periodo risale anche l’ammirazione espressa per le Confessiones, considerate una vera fonte di conoscenza spirituale in merito alla esperienza di Dio nella meditazione narrata in quelle pagine.

Bernardo di Chiaravalle ebbe un ruolo importante nella formazione della mentalità religiosa di Lutero, soprattutto con le prediche relative al Cantico dei Cantici, giudicate addirittura superiori rispetto a quelle di Agostino. In Bernardo l’esperienza personale di Dio viene riferita in maniera più diretta a Cristo, soprattutto con il commento e l’esegesi dei Salmi. Egli, infatti, avrebbe avuto il merito di trasformare il testo dei Salmi in esperienza affettiva, attingendo da questa sorgente la pienezza della sua eruditio (nel senso di formazione) religiosa. Più che in qualsiasi altra opera di interpretazione dei testi biblici, in questi scritti si troverebbe chiaramente espressa la consapevolezza che la fede deve guardare al Cristo crocifisso per cogliere in profondità e verità la misericordia di Dio.

Nei primi anni di studio Lutero ebbe modo di considerare anche l’ampia corrente della tradizione mistica derivante dagli scritti dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita, forse tramite la lettura stessa delle opere dell’Areopagita e della sua Mystica Theologia in particolare. Sino al 1513-1514 Lutero mantenne un giudizio sostanzialmente positivo sulla via proposta dalla mistica dell’Areopagita relativa alla unificazione con l’essere puro di Dio nascosto in un’oscurità impenetrabile, ineffabile e di cui si può parlare solo per negazione (via apofatica). Ma, in un secondo momento, questo iniziale entusiasmo lasciò il posto ad una visione decisamente più critica, soprattutto quando egli arrivò ad elaborare la convinzione che la pienezza della Salvezza per l’esperienza di fede dell’uomo è data solo ed esclusivamente nella Kénosis, nel Figlio di Dio fattosi uomo.

Il rifiuto, ormai consapevole e strutturato, per la mistica dionisiana ebbe modo di consolidarsi nel periodo in cui Lutero ebbe l’opportunità di leggere le opere di Taulero. Egli espresse chiaramente la propria ammirazione per l’autore, dicendo: “Ego plus in eo reperi theologiae solidae et sincerae quam in universis omnium universitatum scholasticis doctoribus repertum est, aut reperiri possit in suis sententiis”. (DTC XV, 75). Inoltre, nel 1516 fece pubblicare un trattato anonimo di edificazione, attribuito a ragione all’ambito dell’influenza tardo-medievale di Taulero e, due anni dopo, venuto a conoscenza di una versione più completa dello stesso trattato, la fece stampare. Ciò che più aveva colpito Lutero delle parole del suo nuovo maestro era il discorso sulle tentazioni intese come solitudine e assenza di Dio, dove il credente può trovare come unica forza l’aiuto di Cristo: infatti, è solo dal Signore crocifisso dei Vangeli che egli comprende come Dio non l’abbia rifiutato. Dio stesso si nasconde nel Signore crocifisso e chi crede veramente potrà affidarsi solo al Signore, abbandonandosi alla Sua volontà, sopportando la pena dolorosissima  della lontananza da Dio e sperando nel Suo sollievo.

Riguardo a Giovanni Taulero non abbiamo molte notizie precise relativamente alla sua vita, ma alcuni dati certi o facilmente ricostruibili dal contesto storico e culturale dell’epoca aiutano a delinearne un profilo abbastanza esaustivo. È certo che appartenesse al convento dei domenicani di Strasburgo nella prima metà del sec. XIV e la presenza di una famiglia Tauler trova riscontro nei documenti della città alsaziana. Da una lettera del domenicano Venturino da Bergamo al confratello Egenolf di Ehenheim, coetaneo di Taulero, si deduce che dovrebbe essere nato ai primi del Trecento e che la sua entrata nel convento dei domenicani della sua città, dove avrebbe seguito il corso di studi filosofici e teologici prescritto dagli statuti dell’Ordine per sette-otto anni, sarebbe avvenuta intorno ai quattordici anni. Non compì gli studi superiori, quindi non fu mai docente universitario, ma sicuramente si distinse quale eccezionale predicatore, come testimonia l’appellativo di “maestro” a lui attribuito dalla letteratura contemporanea e non, legato senz’altro alla sua autorità spirituale. La formazione ricevuta era quella propria del tempo, in un Ordine che si richiamava apertamente a San Tommaso d’Aquino, ma è innegabile l’influenza dei maestri tedeschi, ossia della scuola domenicana germanica caratterizzata dalla figura di Alberto Magno, quindi legata al neoplatonismo. Decisivo si rivelò l’incontro con il confratello Meister Eckhart, che si trovava a Strasburgo tra il 1314 ed il 1324  in qualità di predicatore e consigliere spirituale. Assieme a Suso, altro suo confratello, Taulero divenne il principale discepolo di Eckhart e lo definì “l’amabile maestro” che “parlava dal punto di vista dell’eternità”, difendendo in maniera ferma e decisa il suo insegnamento, nel Sermone XV: “Su ciò vi ha istruito e parlato un amabile maestro e voi non avete compreso. Egli parlava dal punto di vista dell’eternità e voi avete inteso secondo il tempo”. Secondo quanto riportato nell’opera Giovanni Taulero. Ambiente di vita e dottrina mistica di L. Gnӓdinger (1997), monografia esemplare dedicata al mistico, Taulero avrebbe ribadito in maniera ancor più chiara il suo profondo legame con l’Ordine e con le grandi figure, oltre a San Domenico, che avrebbero realizzato l’unione mistica con Dio: “Di questa nobiltà interiore nascosta nel fondo hanno parlato molti maestri, sia antichi sia recenti: il vescovo Alberto, maestro Teodorico, maestro Eckhart. Uno parla di scintilla dell’anima, un altro di fondo o cima, uno di principio, e il vescovo Alberto la definisce un’immagine in cui è raffigurata ed è presente la Santa Trinità”.

Legato al movimento degli Amici di Dio e, soprattutto, ad Enrico di Nӧrdlingen, Margherita e Cristina Ebner, Taulero si dedicò alla predicazione in volgare, difendendo la legittimità dell’esperienza mistica delle beghine e degli Amici di Dio, attaccando i religiosi indifferenti e paghi delle osservanze esteriori: “Ma di fronte a tale contatto due categorie di persone si comportano in due differenti modi. Le prime si servono della loro abilità naturale, con immagini razionali e cose elevate, per mezzo delle quali turbano questo fondo; fanno tacere il desiderio perché vogliono ascoltare e comprendere quelle grandi cose, sentono in ciò una grande pace e pensano di essere una Gerusalemme nell’attività delle loro immaginazioni razionali e di aver pace. Altre persone vogliono preparare il loro fondo mediante i loro proponimenti, i loro modi di agire, sia nella preghiera che nella meditazione, o così come esse stesse l’intendono, oppure come lo vedono fare da altri, e vogliono trovare in ciò la pace; sembra loro di essere diventate completamente una Gerusalemme, trovano nei loro modi di agire e nelle loro opere grande pace, e solo in queste loro pratiche e proponimenti. Che tale pace sia falsa, si può scorgere dal fatto che, ciò nonostante, esse restano nei propri difetti, si tratti di orgoglio o di piacere del corpo, della carne o di soddisfazione dei sensi o delle creature, o di sospetti nel giudizio, e se si facesse loro qualcosa reagirebbero subito col disprezzo o ingiurie o odio o sgarbatezze e molte imperfezioni simili, rimaste in loro volontariamente; così si riconoscerà che tali persone vogliono preparare da sé il loro fondo, lavorarvi senza l’opera di Dio; e perciò la loro pace è falsa ed esse non si sono veramente innalzate” (Sermone V). Solo chi lascia preparare a Dio il fondo dell’anima, abbandonandosi alla Sua volontà e spogliandosi di ogni falsa immagine, potrà conoscere la vera Gerusalemme, ossia la vera pace interiore: “Qualsiasi cosa Dio voglia sono contenti, nella pace e nel turbamento, perché piace loro solo la buona e dilettevole volontà di Dio. Di queste persone si può dire quello che disse nostro Signore ai suoi discepoli, quando lo chiamarono per andare alla festa: Andate voi, il vostro tempo è sempre pronto, ma il mio tempo non è ancora venuto (Vangelo di Giovanni 7, 6-8). Il tempo di queste persone è ogni tempo: è sempre per esse tempo di pazientare e abbandonarsi; ma non sempre è il Suo tempo, quando cioè Egli deve o vuole illuminare; esse abbandonano ciò alla Sua divina volontà con una magnanimità rassegnata e paziente”.

L’uomo deve guardare dentro di sé con diligenza e perseveranza, unendo a questa ricerca spirituale un cammino di spoliazione del proprio sé, per liberarlo da ogni falsa immagine di Dio o da ogni costruzione della mente, che spesso porta ad un’osservanza dei precetti religiosi vicina a quella dei farisei e ben lontana dalla quiete ricercata senza posa dall’anima. Il fondo dell’anima è spesso nascosto ed oscurato dalla presunzione e da una falsa conoscenza di Dio, quindi è necessario mondare lo spirito da quanto lo ottenebra. Il cammino di fede autentica attraversa tre momenti ben distinti e necessari, l’uno legato indissolubilmente all’altro, verso l’unione con Dio. La prima fase è quella della conversione, intendendo in senso pieno il termine metanoia, ossia rovesciamento, capovolgimento di ogni logica precedente. Nasce, di conseguenza, l’esigenza di una purificazione, di una via purgativa che porti a liberarsi dell’attaccamento alle cose, dell’indolenza presente nell’uomo a causa del peccato originale. Segue la fase detta dei “proficienti”, ossia di quanti, liberati dall’egocentrismo e dalla volontà propria, iniziano a scorgere la possibilità di un’illuminazione. In questo momento sarà necessaria la capacità del discernimento, che verrà a costituire la via illuminativa, ossia l’uomo, guardando dentro di sé, si dedicherà ad eliminare tutto ciò che non è diretto a Dio. Nella terza ed ultima fase l’uomo riesce a lasciare definitivamente la parte animale e quella razionale per incamminarsi sul monte di Dio con la sola parte spirituale. Sarà unicamente l’uomo gemut (spirito), ossia l’uomo figlio, che può scalare i sentieri di questo monte. Si tratta del cammino della via unitiva, che porta all’unione con Dio, dove l’uomo si immerge totalmente in Dio con la parte divina di se stesso: il bagliore sarà tale da non riuscire a scorgere più nulla e tutto sarà avvolto nella tenebra luminosa: “In queste persone libere dalle immagini risplende il sole divino; esse sono talmente sottratte a se stesse e a tutte le cose, avendo consegnato la propria volontà, se stesse ed ogni cosa alla volontà divina in cui sono involte, sono così deliziosamente attirate sotto il giogo di Dio, che dimenticano le cose; di conseguenza queste appaiono loro piccine; e le cose eterne sono loro vicine perché sono interiori e appaiono loro grandi a causa della loro vicinanza; le possiedono senza schermo e arrivano a gustarne la dolcezza”. (Sermone VI) In tale assunzione dell’aspetto divino l’uomo vive la sua unione mistica: l’unica differenza tra l’uomo e Dio consiste nel fatto che Dio è Dio per natura, l’uomo è Dio per grazia. Ma tale unione mistica non intacca la teologia trinitaria, né, tantomeno, la cristologia. Taulero ribadisce che Cristo è Archetipo insuperabile, irraggiungibile: “L’uomo non sarà mai così perfetto da non doversi tenere sempre in umile timore. Al più alto grado, egli deve sempre parlare e pensare così: Fiat Voluntas Tua. (Sermone V)

Di Taulero Lutero colse soprattutto la descrizione del cammino di Salvezza sotto una duplice veste: da un lato, il rigetto della pretesa umana di poter seguire attivamente e positivamente questo cammino, ossia di potersi salvare con le proprie forze, dimenticando la centralità della croce di Cristo; dall’altro, l’importanza assoluta attribuita all’opera salvifica di Dio e di Dio soltanto, per cui all’uomo spetta unicamente la disponibilità ad accettare sempre e comunque la volontà divina, fino alla dannazione eterna, nella consapevolezza del proprio non-essere. Sicuramente Lutero rilevò l’aspetto etico e psicologico delle parole di Taulero, ma è innegabile che non seguì completamente quanto evidenziato nel suo nucleo spirituale relativamente alla nascita di Dio nell’anima. La giustizia di Dio per Lutero, infatti, era externa et aliena, ossia la Salvezza di Dio per l’uomo è al di fuori dell’uomo. L’eredità tauleriana nel mondo tedesco fu coltivata in maniera senz’altro più fedele ed evidente dal poeta mistico Angelo Silesio (1624-1677) nell’opera Il pellegrino cherubico, che ha in Taulero il suo modello di riferimento, come dimostrato anche dalle frequenti parafrasi presenti nella composizione. Da ricordare, ancora, che la dottrina del fondo dell’anima e di quanto espresso da Taulero è riscontrabile anche in San Giovanni della Croce, il quale evidenzia la necessità dello svuotamento dell’anima affinché Dio si effonda in essa.

ENDOXA - BIMESTRALE RELIGIONE STORIA DELLE IDEE TEOLOGIA

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