ARTE, INGEGNERIA GENETICA E BIOLOGIA: IL CASO DELLA BIOARTE

Rabbit Alba

ROSANGELA BARCARO

Con il presente contributo intendo fornire una sintesi di considerazioni e critiche sul significato, il ruolo della bioarte, le sue potenzialità e debolezze, ed i suoi rapporti con la bioetica.

La definizione di bioetica offerta nel 1970 da Van R. Potter come ponte tra scienze biologiche e valori morali per la sopravvivenza della vita sulla terra, dal mio punto di vista, apre una nuova via per l’esplorazione  sulle biotecnologie, alla quale la bioarte può portare contributi originali.

Durante gli ultimi decenni del XX secolo l’interesse per la biologia molecolare e le biotecnologie  in generale è andato crescendo. Molte tecnologie derivanti dall’acquisizione di  conoscenze scientifiche legate al DNA e alle sue funzioni ricombinanti hanno trovato applicazione in settori come biomedicina e farmaceutica con finalità terapeutiche, e in ambiti produttivi ed alimentari quali zootecnia ed agricoltura.

Di fronte alle potenzialità inedite che le biotecnologie hanno mostrato, alcuni pensatori hanno avanzato l’ipotesi di  impiegare l’ingegneria genetica  per  realizzare la clonazione di individui, il loro potenziamento psico-fisico o la riproduzione di specie estinte. Le aspettative ed  i successi conseguiti nel contrastare e guarire alcune patologie che affliggono la nostra società sono enfatizzati dagli scienziati e dai ricercatori: si è molto dibattuto di creazione di embrioni in vitro, diagnostica prenatale e selezione degli embrioni in vitro al fine di  eliminare malattie genetiche. La riflessione bioetica su questi temi è molto vivace, e non vi è un ampio consenso sulla liceità morale di tali pratiche.

L’attenzione per le biotecnologie sembra dunque concentrata sui problemi della salute, e la bioetica ha a lungo tralasciato di considerare un fenomeno che può essere ritenuto “frivolo”:  quello della bioarte.  In tal modo si è tralasciato di interrogarsi sulla eticità e moralità di operazioni che prevedono l’impiego di strumenti e competenze propri dell’indagine scientifico-tecnologica, della biologia molecolare, dell’ingegneria genetica  per creare oggetti, performance, esseri viventi e semi-viventi a scopo  artistico.

Ma che cosa è la bioarte? Si tratta di una espressione artistica che nasce dall’incontro tra arte e scienze biologiche e biotecnologiche, ed utilizza materiali e processi biologici  per dare vita a creazioni artistiche. Secondo Eduardo Kac, bioartista e scrittore di origine brasiliana, naturalizzato statunitense,  conosciuto a livello internazionale, e ideatore del neologismo “bioarte”, dopo le esperienze artistiche degli anni Sessanta e Settanta con la video-arte, degli anni Ottanta con la computer-art e degli anni Novanta con la digital art, la bioarte è  un passaggio logico nel panorama dell’arte contemporanea. A partire da materiale vivente, come cellule, tessuti, sangue,  batteri e virus, impiegati come medium in sostituzione di pennelli, colori, marmo o argilla, il bioartista manipola la materia vivente per creare non soltanto un oggetto d’arte, ma esseri viventi di diversa complessità, che sono in se stessi forme d’arte.

Dopo un lungo silenzio, in tempi relativamente recenti, l’attenzione degli studiosi di bioetica si è concentrata sul fenomeno della bioarte in occasione di due congressi mondiali.

Questa “dimenticanza” è tanto più sorprendente se si pensa che, al fine di realizzare le loro creazioni,  i bioartisti hanno spesso bisogno della collaborazione di scienziati e biotecnologi, quando non sono essi stessi biotecnologi, o hanno acquisito le appropriate conoscenze e competenze per procedere in prima persona nella loro attività  bioartistica.

Per la prima volta in assoluto, durante il 9th World Congress of Bioethics, svoltosi a Rijecka (Fiume) in Croazia nel luglio 2008, è stata ospitata un’esibizione artistica tenutasi durante un convegno di bioetica. Aperta ai congressisti e al pubblico interessato, essa è stata  pensata con l’intento di esplorare i legami bioetici tra arte, ingegneria genetica e clonazione. L’esposizione ha raccolto creazioni “tradizionali”, dipinti, installazioni, fotografie, e non propriamente opere bioartistiche. Il contesto dell’esposizione è significativo in quanto ha mostrato il contributo che l’arte può offrire alla riflessione bioetica su temi non facili da illustrare all’opinione pubblica generale.

Nel corso del 10th World Congress of Bioethics, tenutosi a Singapore nel luglio 2010, si è parlato dei rapporti tra arte e bioetica in un simposio dedicato al tema Arts and Bioethics: Ethical Challenges from “Hybrid Art”. In questo caso specifico, l’attenzione è stata dedicata ad un movimento artistico, la Hybrid Art, che opera e sperimenta con tecnologie emergenti, biologia, robotica, intelligenza artificiale, telecomunicazioni, nanotecnologie. La Hybrid Art ha un approccio vasto ed incorpora la bioarte, senza essere limitata ad essa. Anche in questo caso durante il simposio è stato riconosciuto il ruolo fondamentale dell’attività artistica ai fini di un dibattito pubblico, e confermato come da sempre nella storia gli artisti siano e siano stati all’interno della società interpreti, critici, oppositori o sostenitori delle forme di potere religioso, economico, scientifico, politico, economico.

Le produzioni bioartistiche si sono moltiplicate nel corso delle ultime due decadi, e esposizioni sono state realizzate in Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Paesi Bassi, solo per menzionare il contesto europeo, ma i bioartisti sono attivi in tutti i continenti, con vari gradi di coinvolgimento in università ed istituzioni di ricerca.

Nel 2000 il primo laboratorio di ricerca dedicato alla bioarte, chiamato SymbioticA, nacque ufficialmente in Australia, presso la University of Western Australia, dove già dalla metà degli anni Novanta due artisti, Ionat Zurr e Oron Catts, avevano iniziato la loro collaborazione in The Tissue Culture and Art Project (TC&A). In quegli anni ancora non si parlava di bioarte, bensì di wet art, per indicare la confluenza di biologia, ingegneria genetica, arte, ma il tipo di attività intrapresa era già quello proprio della bioarte.

SymbioticA ha lo scopo di costituire uno spazio di incontro e lavoro per artisti, scienziati,  ricercatori per riflettere in modo critico sulle idee e sperimentare con strumenti biotecnologici le procedure di manipolazione della vita, nonché affrontare gli interrogativi morali, culturali, sociali e politici che esse sottendono.

Eduardo Kac, ha ideato un progetto bioartistico, denominato GFP Bunny (2000), articolato in tre fasi. Tale progetto ha richiesto, tra le molte necessarie,  competenze di biologia molecolare ed ingegneria genetica, finalizzate nel caso specifico alla creazione di un essere vivente transgenico. Da una sua idea nei  laboratori dell’Institut National de la Recherche Agronomique (INRA) in Francia è nato il primo coniglio albino transgenico, chiamato  Alba. I ricercatori francesi che hanno collaborato con Kac hanno modificato il genoma di un coniglio albino affinché il suo DNA contenesse un gene (potenziato) della medusa Aequorea Victoria, comunemente impiegata nei laboratori di ricerca in tutto il mondo, e ciò è stato fatto affinché l’animale esposto ai raggi UV presentasse una caratteristica bioluminescenza verde.  Questa prima fase del progetto di Kac è stata seguita da una seconda fase, che ha previsto il coinvolgimento del pubblico in una discussione politica, sociale ed etica relativa al ruolo degli scienziati e al potere che essi hanno acquisito nel manipolare il genoma e produrre le mutazioni genetiche desiderate.

La terza fase del progetto, mai realizzata, avrebbe previsto il trasferimento di Alba nella famiglia di Kac, dove avrebbe avuto il ruolo di animale da compagnia. Lo scopo dichiarato da Kac per tale parte del progetto era di sollevare un dibattito sulla vita sociale degli animali da laboratorio, che in genere trascorrono tutta la loro esistenza entro i limitati confini degli stabulari e dei laboratori nei quali sono oggetto di ricerca e sperimentazione.

La presentazione pubblica di Alba avrebbe  dovuto avere luogo nel giugno 2000, ad Avignone nell’ambito dell’Avignon Numerique Festival. L’INRA però non consegnò l’animale a Kac, il quale avviò la campagna stampa Free Alba!, e sulla sua pagina web aprì un guestbook (attivo tra il 2000 e il 2004) per raccogliere le reazioni del pubblico internazionale e fare pressioni sul laboratorio francese per ottenere l’animale e portarlo negli Stati Uniti d’America. Da  tale campagna stampa scaturì un nuovo progetto artistico, con l’esposizione a Chicago di fotografie, disegni, stampe, oggetti in ceramica, t-shirt aventi per soggetto Alba, e successivo loro merchandising.

Kac è autore di numerosi articoli e saggi sulla bioarte, ed ha illustrato diffusamente i suoi propositi, sia nel caso di GFP Bunny,  sia in altre attività bioartistiche che hanno richiesto l’ingegneria genetica. Una di esse, ad esempio, ha portato alla creazione di un fiore attraverso l’ingegnerizzazione di una petunia, che esprime alcuni tratti del DNA di Kac, chiamata Edunia.

Secondo il bioartista la relazione tra essere umano e vita in generale deve essere ripensata alla luce delle possibilità creative offerte dalle biotecnologie. Lo scambio tra diversi ambiti del sapere (scienze, arte, filosofia, scienze sociali, tra le altre) in dialogo sul rapporto tra genetica, organismi ed ambiente, sui concetti di biodiversità ed evoluzione, sulle nozioni di normalità, eterogeneità, purezza, ibridazione ed alterità, sulla permeabilità dei confini tra naturale ed artificiale è fondamentale per gli scopi della bioarte.

Ma non solo. I temi ora indicati appartengono anche alla riflessione bioetica, e sono fonti di profonde controversie etico-filosofiche. Essi fanno parte di un’analisi consolidata negli ultimi quarant’anni, alla quale ha contribuito ad esempio Joanna Zylinska, filosofia, scrittrice ed artista impegnata nell’indagine su nuovi media, nuove tecnologie, etica ed arte. Zylinska coglie dal dibattito bioetico l’interrogativo critico circa il diritto dei bioartisti di manipolare la materia vivente, nella consapevolezza che “vita”, “natura” ed “essere umano” sono connotati da valore morale, sia pure espresso secondo orientamenti filosofici differenti dai diversi pensatori. Secondo Zylinska è però necessario un approccio alternativo a quello del “diritto”, quello della “responsabilità per la vita”. Attraverso tale approccio, la pensatrice intende “rispondere ad un insieme ampliato di obblighi che riguardano l’essere umano, gli permettono di differenziare il mondo che lo circonda e di dare una risposta che non sia esclusivamente  una reazione”. Gli obblighi creano una responsabilità e attraverso di essa è possibile affrontare “l’intricata rete di connessioni e relazioni quotidiane”, sia nei confronti degli altri esseri umani, sia dei viventi in generale, seguendo i gradi diversi di responsabilità nei confronti della vita e del vivente.

Alla luce di questa proposta è possibile provare a sciogliere quel paradosso che, a mio modo di vedere, si evidenzia nell’opera di Kac e di altri bioartisti: criticare l’operato di scienziati, bioingegneri e ricercatori ricorrendo però, per realizzare creazioni bioartistiche, ai loro “servizi”, ai loro laboratori, conoscenze e strumenti. In altre parole viene criticato (ma non rifiutato) un insieme di pratiche le quali  sono però funzionali rispetto agli intenti del bioartista. Ad un occhio superficiale, senza la riflessione offerta da Zylinska, le opere dei bioartisti apparirebbero come risultato della supremazia creativa dell’ingegneria genetica. Diventa dunque imprescindibile un’opera pedagogica nei confronti dell’opinione pubblica: occorre fornire ad essa gli strumenti concettuali che possano aiutarla a comprendere e andare oltre “l’apparenza”.

La bioarte presenta vari aspetti problematici, uno dei quali  era stato messo in evidenza dallo scrittore ed attivista statunitense Jeremy Rifkin nel 2003 in un articolo pubblicato su un quotidiano inglese: le multinazionali farmaceutiche e biotecnologiche potrebbero ricorrere all’opera dei bioartisti per convincere l’opinione pubblica a valutare positivamente pratiche, invenzioni ed innovazioni controverse. Un’accoglienza pubblica favorevole, promossa attraverso espressioni bioartistiche opportunamente finanziate, potrebbe aggirare il dibattito democratico. Anche l’indipendenza di espressione dei bioartisti potrebbe risultarne fortemente limitata e soggiogata alla necessità di disporre di risorse economiche per le loro creazioni. In tal modo verrebbe meno la dimensione genuinamente critica della bioarte.

È dunque significativo che già nel 2007 la Commissione Europea abbia istituito un programma denominato Creative Europe, attraverso il quale  ha stanziato finanziamenti per la ricerca e l’attività bioartistica con l’intento di  stabilire un confronto tra diverse aree del sapere – tecnica, scientifica, sociale, artistica – e creare occasioni di incontro, collaborazione e scambio transnazionale attraverso esposizioni, workshop, soggiorni di studio e pratica sul campo. In circa un decennio di attività, attraverso Creative Europe sono state finanziate molte iniziative, quali ad esempio i soggiorni di studio nell’ambito del progetto Field_Notes presso la Stazione Biologica di Kilpisjärvi nella Lapponia sub-artica in Finlandia. Artisti, giornalisti e scienziati in visita, individualmente e in gruppi di lavoro, hanno usufruito di strutture, strumenti, laboratori ed equipaggiamenti per fare esperienze e ricerche hands-on. L’intento era di sviluppare, testare e valutare approcci interdisciplinari sul tema Ecology of Senses (EOS). I fenomeni naturali di un ecosistema complesso, quale quello di un ambiente “estremo”, hanno fatto da sfondo ad una serie di osservazioni ed esperienze che sono state registrate nel blog EOS.

Le esperienze che i bioartisti possono effettuare attraverso un finanziamento pubblico permettono di evitare pressioni esercitate dalle logiche commerciali e mercantilistiche dell’economia globale, le quali, come sopra menzionato, potrebbero esporre i bioartisti al pericolo di indebite ingerenze nella loro libertà di espressione.

Il percorso comune per bioetica e bioarte è avviato ed in futuro potrebbe avvicinare concettualmente e visivamente l’opinione pubblica ad  una riflessione interdisciplinare su temi per loro natura complessi, quali quelli presentati in questa sede.

BIOTECNOLOGIE Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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