LE LETTERE LUTERANE DI PIER PAOLO PASOLINI

PAOLO CASCAVILLA

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Fu Pasolini a indicare il titolo Lettere luterane per un libro postumo che raccoglie articoli usciti sul Corriere della Sera  e Il Mondo  nel 1975. È diviso in due sezioni: I giovani infelici e Lettere luterane. L’aggettivo “luterano” lo troviamo nel titolo dell’ultimo articolo pubblicato su Il Mondo del 30 Ottobre (Lettera luterana a Italo Calvino) e in chiusura a quello sul Corriere della Sera: Le mie proposte su scuola e Tv  (in risposta alle critiche di Alberto Moravia) del 29 Ottobre.

Le lettere sono una requisitoria diretta, forte, appassionata sull’Italia del 1975, profondamente cambiata rispetto a una decina di anni prima e distrutta più che nel 1945. Allora macerie materiali ora etiche e culturali. Un declino inarrestabile: crisi di valori sociali, corsa verso il consumismo, conformismo, che non risparmia intellettuali e pensatori progressisti. Pasolini affronta con rabbia e sincerità, in solitudine, le questioni aperte della vita politica e culturale.

Pasolini, San Paolo, Lutero. L’anno prima della morte, nel 1974, Pasolini torna sul “Progetto per un film su San Paolo”, cui teneva particolarmente e che aveva ampiamente abbozzato nel 1968. Pareva che potesse entrare in cantiere, ma le case di produzione rinunciarono: costi troppo alti per un soggetto rischioso.

Il progetto di Pasolini trasporta l’intera vicenda diSan Paolo nei nostri giorni, senza alterare o manomettere la lettera stessa della sua predicazione. Perché questo interesse per la figura diSan Paolo e perché fare un film? San Paolo è attuale, ed è “alla nostra società che si rivolge; è la nostra società che egli piange e ama, minaccia e perdona, aggredisce e teneramente abbraccia”. Nell’attività dell’apostolo, che combatte contro il conformismo e il ristagno morale del proprio tempo, Pasolini coglie caratteristiche simili alla battaglia civile e culturale che egli pure conduceva.

L’adattamento temporale e culturale richiede varie trasformazioni. La prima è quella di “sostituire il conformismo dei tempi di Paolo (o meglio i due conformismi quello dei Giudei e quello dei Gentili) con un conformismo contemporaneo: che sarà quello tipico dell’attuale civiltà borghese, sia nel suo aspetto ipocritamente e convenzionalmente religioso (analogo a quello dei Giudei), sia nel suo aspetto laico, liberale e materialista (analogo a quello dei Gentili)”.

Nel film, il mondo nel quale vive e opera Paolo è quello del Novecento e quindi tutta la toponomastica e i suoi viaggi mutano: Gerusalemme, Roma, Atene, Antiochia sono sostituite da New York, Parigi, Londra, Roma… Passando poi alla realtà storico-sociale San Paolo demolisce “con la semplice forza del suo messaggio religioso, un tipo di società fondata sulla violenza di classe, l’imperialismo e soprattutto lo schiavismo”. Il fatto nuovo e originale del film è che le domande che gli evangelizzati del ‘900 porranno a San Paolo “saranno domande di uomini moderni, specifiche, circostanziate, problematiche, politiche, formulate con un linguaggio tipico dei nostri giorni; le risposte di San Paolo, invece, saranno quelle che sono: cioè esclusivamente religiose, e per di più formulate nel linguaggio tipico di San Paolo, “universale ed eterno, ma inattuale (in senso stretto)”.

Con la predicazione del Vangelo in Palestina e nel mondo ellenistico si presentava una questione di principio: si poteva aderire al cristianesimo senza giudaismo?  Il cristianesimo: movimento interno al giudaismo o religione nuova? La radicale opposizione al cristianesimo giudaizzante assunta dall’apostolo era causa ed effetto di un profondo processo di revisione religiosa. La legge, la Torah, la tradizione religiosa aveva assunto per San Paolo un valore negativo, di fredda ed appariscente legalità. Lui l’aveva seguita in modo completo e totale, ma ne era seguita una traumatica crisi e una conversione che lo aveva portato a contrapporre alla Religione del precetto, della regola, del rito la forza creatrice del trascendente che irrompe nella vita del credente in Cristo. All’Israele storico un nuovo Israele, un nuovo Patto, con valori nuovi: libertà rituale, la gioia, l’amore fraterno. Le Epistole esprimono questi contenuti e hanno avuto un grande fascino presso tutti gli innovatori.

Lutero si alimenta alla dottrina di San Paolo e alla tradizione agostiniana. Numerose le testimonianze dell’attenzione e del rispetto con cui Lutero parla delle Epistole, i cui commenti costituiscono tappe importanti del cammino della Riforma.

La stessa sfida di San Paolo era per Lutero. Una riforma interna (diritto canonico, indulgenze…) o un cambiamento strutturale? Ma lo stesso per Pasolini. Di fronte al problema che lo angosciava: la distruzione dell’Italia, il genocidio culturale, le macerie morali e la barbarie… parziali soluzioni riformistiche e di rattoppo o un capovolgimento, una rottura chiara: abolizione della scuola pubblica e della televisione, processo alla Democrazia cristiana? Di fronte alle strutture di potere in Italia e a un assenza di responsabilità consapevole si affacciava forse il rimpianto di una mancata Riforma (rivoluzione) luterana.

Lettere luterane si aprono con uno scritto inedito: Giovani infelici. È degli inizi del 1975. Nella tragedia greca i figli sono puniti per le colpe dei padri. In Italia i padri sono stati responsabili del fascismo, di un regime clerico fascista e infine hanno accettato le nuove forme di potere, quello dei consumi, “ultima delle rovine, la rovina delle rovine”. La colpa dei padri che i figli devono pagare è quindi il fascismo nelle forme arcaiche e nelle sue nuove forme. Pasolini avverte nei confronti dei figli una “cessazione di amore”, che “non dà luogo a odio ma a condanna”. Non si limita a capirli. Accontentarsi di capire implica indifferenza. E’ l’agire che qualifica. Un padre che ama deve agire.

La sua azione è dire la verità: i figli, specialmente i più giovani, gli adolescenti sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante o è fastidiosamente infelice. Non c’è gruppo di ragazzi, incontrato per strada, che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno luce negli occhi, non sanno sorridere o ridere, sanno solo ghignare e sghignazzare. Dunque sono puniti per le colpe dei padri per una metà (non sono stati capaci di liberarsene), per l’altra metà sono responsabili essi stessi, incapaci di opporsi alla omologazione di borghesi e proletari.

 

Un’ansia di conformismo avvolge tutti: la signora fascista, l’extraparlamentare, l’intellettuale di sinistra, il markettaro. Succede spesso che un uomo borghese, cattolico, un po’ fascista… per questa ansia conformista diviene un progressista, persino comunista. Il potere consumista è più efficace di qualsiasi potere. La persuasione a seguire una concezione edonistica della vita non trova ostacoli. L’azione degli intellettuali di sinistra per “sconsacrare” e “de-sentimentalizzare la vita” è inutile o è utile al potere. Poteva andare bene nella vecchia società clerico fascista. E allora il suo insegnamento a Gennariello, un immaginario ragazzo delle periferie di Napoli, è rivolto a non temere la sacralità e i sentimenti di cui il laicismo consumista ha privato gli uomini, trasformandoli in brutti e stupidi automi; dando importanza e attenzione solo a chi è dentro il Palazzo. Ciò che è fuori è “minutaglia, brulichio, informità, seconda qualità”.

 

Genocidio. L’Italia del 1975 è cresciuta economicamente, ma una valanga di delitti la sommergono. Ci sono periferie e zone di città dove vi è il coprifuoco. La liberalizzazione sessuale anziché dare leggerezza e felicità ha dato infelicità. Non ci sono macerie di case e monumenti, ma di valori, umanistici e popolari.

Tra il 1961 e 1975 si è verificato un genocidio. Si è distrutta culturalmente una popolazione. “Se io oggi volessi rigirare Accattone, non potrei più farlo. Non troverei più un solo giovane che fosse nel suo corpo neanche lontanamente simile ai giovani che hanno rappresentato se stessi in Accattone. Non troverei più un solo giovane che sapesse dire, con quella voce, quelle battute”. Il genocidio ha cancellato dalla terra quei personaggi. A New York, Parigi, Londra c’è delinquenza, malavita, ma ci sono ospedali, musei, cinema, scuole che funzionano… L’acculturazione è avvenuta in altro modo.

La rivoluzione consumista è stata manipolata dai governanti italiani in un modo e in un contesto criminale. Il nuovo modo di produzione, la nuova forma di cultura ha portato al genocidio di culture particolaristiche. I giovani sottoproletari romani hanno perduto la loro cultura e cioè il loro modo di comportarsi, di parlare, di giudicare la realtà e a loro è stato fornito un modello di vita borghese. La loro connotazione di classe è puramente economica, non culturale. La cultura delle classi subalterne non esiste più. “E ho ripetuto già una infinità di volte in questi miei maledetti articoli che l’atroce infelicità e aggressività criminale dei giovani proletari e sottoproletari deriva appunto dallo scompenso tra cultura e condizione economica: dall’impossibilità di realizzare (se non mimeticamente) modelli culturali borghesi a causa della persistente povertà mascherata da un illusorio miglioramento del tenore di vita”.

 

Processo (metaforico) alla Democrazia cristiana, che ha governato negli ultimi 30 anni. L’accusa: disprezzo dei cittadini, convivenza con la mafia, uso illegale di Enti dello Stato, responsabilità di stragi, distruzione del paesaggio, delle città, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (responsabilità aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità della condizione delle scuole, ospedali, abbandono selvaggio delle campagne…

I 30 anni di potere sono divisi da Pasolini in due parti. Nei primi 20 (1945-1965) amministrare significava farlo in relazione al vecchio potere clerico fascista, e i reati sono quelli classici, e dunque “non reati” e perpetrati con il consenso.  Negli ultimi 10 il quadro storico, sociale, culturale muta e il mal governo è consistito nel “non aver saputo far sì che i beni superflui fossero un fatto positivo, ma che al contrario fossero un fatto corruttore, di selvaggia distruzione di valori, di deterioramento antropologico, ecologico, civile”. In Italia non c’è una vocazione a governare. C’è in Italia una vocazione al potere. Senza responsabilità. Tutto è stato calato dall’alto. Anche la tolleranza e i valori civici “moderni”: non conquistati, ma permessi perché faceva comodo alla nuova cultura e al nuovo potere. “I beni superflui possono essere permessi e concessi, assumendo a contesto, diciamo spirituale, l’Edonè, il Piacere, solo a patto che siano assicurati i beni necessari: case, scuole, ospedali, e tutti gli altri servizi pubblici”. Come vediamo in altri paesi europei.

 

Abolire Tv e Scuola dell’Obbligo. Con la Tv si conclude l’era della pietà e inizia quella dell’edonè. “Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme della irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino all’infelicità”.

Nei loro “visi scavati, pericolosi, penosi, infelici, indecifrabili, scostanti, sinistri, deboli, presuntuosi”, non si vede connotazione di classe e non si scorge il conflitto interiore bene-male. Ne deriva l’impietrimento, la fine della pietà. Sono infelici sia i delinquenti che i bravi ragazzi, e l’infelicità non è una colpa minore.

 

Lettera luterana a Calvino. Nella notte tra il 29-30 settembre 1975 avviene il massacro del Circeo. Un fatto ampiamente divulgato, che suscita indignazione e interrogativi. Ne scrive anche Italo Calvino (Corriere della sera, 8 Ottobre). Pasolini riprende quell’articolo… Tu dici che “i responsabili sono in molti e si comportano come se quello che hanno fatto fosse perfettamente naturale, come se avessero dietro di loro un ambiente e una mentalità che li comprende e li ammira”. Ma perché questo? Tu dici: “Nella Roma di oggi… questi esercizi mostruosi avvengono nel clima della permissività assoluta…”. Ma perché questo? Tu parli “del pericolo dell’estendersi di strati cancerosi… di irresponsabilità sociale…” Ma perché?

Sono tematiche su cui Pasolini insisteva da anni, e in quel 1975 con ostinata ed estrema urgenza, ma alle sue provocazioni nessuno rispondeva. “Nessuno è intervenuto ad aiutarmi ad andare avanti”. Si è fatto invece il processo al suo retroterra cattolico. “Ora è il silenzio che è cattolico… e anche il tuo silenzio (Calvino) alle mie lettere pubbliche è cattolico… Non è cattolico, invece, chi parla, tenta di dare spiegazioni dal vivo e nel silenzio”. Pasolini ha da ridire sul ‘cahier de doléances’ di Calvino e sui capri espiatori individuati (“parte della borghesia”, “Roma”, “neofascisti”). I poveri delle borgate romane, i giovani del popolo possono fare e fanno le stesse cose (orge, droghe…) dei giovani dei Parioli. La fonte della corruzione è più vasta, non solo la borghesia, è il paese intero che è contagiato. E’ cambiato il modo di produzione, vi è una nuova cultura, alcuni fanno e altri imitano. La salvezza? Né la politica, né l’informazione, né i sindacati, né gli intellettuali (la gran parte sono cortigiani). La salvezza? “Oggi pare che solo platonici intellettuali (aggiungo: marxisti) abbiano qualche probabilità di intuire il senso di ciò che sta veramente succedendo”. A condizione che quelle intuizioni siano tradotte nei termini dell’unica scienza “certa”: l’Economia Politica.

Questa lettera venne pubblicata su Il Mondo del 30 Ottobre. Il 2 Novembre fu assassinato sul lido di Ostia.

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